mercoledì 5 settembre 2012

ormeggiando Arturo


Un ormeggio di formaggio,
che sia in giugno oppure in maggio,
non è un posto assai sicuro
per farci sostare Arturo.

Così Arturo l’ho spostato,
con la nave sono salpato,
e il formaggio che ho ormeggiato
per la fame l’ho mangiato. 

lunedì 3 settembre 2012

torno per tantare


Tanto per tornare
o torno per tantare,
e se non tanto, almeno ci tento.
Mi sono allenato alle prove di tanto,
ero per gioco alle prove di poco,
non mi han convinto, le ho viste smunte,
c’eran due mucche e passando le ho munte,
c’era una vespa e per sbaglio le ha punte,
ma era divieto e si è presa due multe.
Era un divieto che in centro a Forlì,
diceva proprio ma proprio così:
vietato punger le mucche da latte,
vietato vietare o diventano matte. 

tanto per tornare


Queste righe sono poche
per parlare delle oche
che starnazzano di giorno,
di sicuro non ci torno.

Torno dove?
Che ne so?
Fiori piove!
E invece no!

Fuori luccica la pioggia,
chi ha un ombrello se lo sfoggia,
chi ha il cappuccio se lo beve,
se si scioglie non dà neve,

da soltanto del caffè,
parapiri parapè
aggrappato al parapetto,
vedo il sole sotto il letto,

questo sole sta nell’aria,
dice la mia amica Daria,
questo sole si respira,
sta nel cuore di chi ammira.

Cosa ammira? Me lo chiedi?
Forse il cielo, forse i piedi?
Se anche piove, sulla roccia
brilla il sole in ogni goccia. 

venerdì 24 agosto 2012

Filastrocca di Pan di Spagna


Filastrocca di Pan di Spagna
La canto ora che sono in montagna
Prima vi dico, cantavo al mare
La filastrocca di zucchero e sale.

Zucchero, sale e pan di Spagna,
ti ci ho condito una bella lasagna,
se te la mangi sopra un bel prato
non saprei dire se mi sarai grato.

Filastrocca di pane francese,
se me la mangio è già fine mese
però l’assaggio, senza pretese,
ne do anche un pezzo a chi me lo chiese.

Filastrocca di Pane Ostrogoto,
aroma cordiale, ma un po’ meno noto,
per riportarlo un po’ alla ribalta,
gli ho costruito un cestino di malta.

Col suo cestino, spicca e troneggia,
e la cucina ti pare una reggia,
grande abbastanza per ospitare,
pani, lasagne, zucchero e sale.

mercoledì 8 agosto 2012

la mezza storia di nonno pio


La filastrocca che vado a cantare
Inizia qui ma finisce al mare
Se di aspettare però non vi va
io ve ne lascio la prima metà:

voi la finite, o anche iniziate,
magari intera, magari a rate,
la prima rata la pago io,
ed è la storia di nonno Pio:

LA MAGICA STORIA DI NONNO PIO

Questa è la storia di nonno Pio
Che quando parla non parlo io,
quando io parlo lui se ne va,
talvolta pure in un’altra città.

Là da lontano, guardo e gli chiedo:
“Nonno, mi senti? Non so se mi spiego!”
Quello guardandomi ondeggia la testa,
e fa una palla di cartapesta.

Con questa palla, che farà poi?
Io vado al mare, ditelo voi!!!


...buone vacanze a tutti!!!!

martedì 7 agosto 2012

il fachiro


Conosco un fachiro
su un’asse da stiro,
che stira per ore
e non prova dolore:

Si stira le unghie,
(le ama bislunghe),
si stira i capelli
(gli sembran più belli),

si stira e poi dorme,
prendendo le forme
di tanti fachiri
nel regno dei ghiri. 

giovedì 2 agosto 2012

la città di Gustate


Un giorno, il signor Gustavo, si stufò di gustare al passato, e decise di incominciare finalmente a gustare al presente. Il suo nome divenne così Gusto.
Il signor Gusto si gustava il sole, si gustava la luce del giorno e, appena il giorno finiva, si incantava a gustare la stelle, il rumore delle cicale, persino il buio luminoso della notte.
La soddisfazione era grandissima, ma, dopo un po’ di tempo, il signor Gusto dovette rendersi conto che, accanto a tutto il resto, stava iniziando a gustare il sapore della solitudine.
Non si tirò indietro, perché la bellezza conosciuta fino a quel momento, lo aveva reso molto coraggioso.
Iniziò tuttavia a desiderare di poter condividere con altri la sua piccola scoperta, che aveva mutato il suo nome e, piano piano, anche il suo cuore.
Come fare, però, non lo sapeva ancora: il mondo è pieno di persone che non provano a gustare nemmeno le cose belle, solo per il timore che un giorno, queste, possano svanire. Il signor Gusto sapeva bene che c’è sempre un gusto nuovo, anche se il sapore è spesso ignoto, e che l’ignoto stesso costituisce un sapore inebriante e frizzantino.
Per un certo tempo, il suo desiderio rimase così insoddisfatto. La sua intensità, tuttavia, era tale che, a un dato punto, il suo nome mutò improvvisamente in “Gustate”.
Gustate, tuttavia, l’avrete capito da voi, non era più un signore: era una città intera, che sorgeva tra Carate Brianza e Lentate sul Seveso, su una riva dove poco prima era seduto il signor Gusto.
La riva era quella del fiume Serio, e la città dovette necessariamente chiamarsi “Gustate sul Serio”.
A Gustate, il clima era sempre fresco, i colori brillavano, le forme danzavano nell’aria improvvisandosi alberi, nuvole, risate. Tutti, a Gustate, erano felici.
Col tempo, il sentimento che aveva animato il signor Gusto, che ormai era divenuto vero e proprio amore, si fece così forte che tanti altri signori, o se preferite tante altre città, incominciarono a essere contagiati e mutarono il proprio nome proprio nello stesso modo.
Sorsero così Gustate sul Lambro, Gustate sul Ticino, Gustate sul fiume Po e poi perché no, Gustate sul Tevere, ma Gustate anche sul Missisipi, sul Nilo, Gustate Sui Torrenti, Gustate Sulle Montagne, Gustatevi Tutto Di Questa Terra Magnifica (Frazione di Gustate di Cuore); Gustate in Comune, Gustate Mibene, Gustate Attenti A Nondimenticarenessuno (gemellata con Tihocercato Sul Naviglio), Gustate Inpace, Gustate Uniti.
Qualcuno conosce altre città da fondare? Ne vedo un’infinità, scintillano come la luce di un unico giorno e, se la memoria non mi inganna, presto diverranno una nazione.
Perché questa storia è iniziata ieri, ma non finisce oggi: il presente è già ricco di uomini che sanno amare come intere città. Questi uomini popoleranno la terra, e dentro di loro tutti gli altri potranno abitare, finché ogni uomo, che una volta era solo una persona piccina piccina, diventerà un’enorme città e la terra diventerà immensa, perché farà posto ad ognuno di loro.

lunedì 30 luglio 2012

una storia di 10 secondi


Pollettina aveva 10 secondi per inventare una favola intera:
Nel primo mise un bacio, che le parve un ottimo saluto.
Nel secondo strizzò un occhio, ma poiché un occhio non le pareva abbastanza, li strizzò tutti e due e andò a sbattere il naso sulla cassettiera.
Nel terzo si massaggiò il naso, con vigore, e lo mise sotto l’acqua fresca per attenuare il dolore.
Nel quarto secondo incontrò un pesce, che nuotava nell’acqua fresca, e le presentò la sua famiglia.
Nel quinto il cuginetto del pesce, che era un pesce pagliaccio, vide il suo naso tutto arrossato e la scambiò per una parente.
Nel sesto, Pollettina e il pesce pagliaccio montarono un circo di stuzzicadenti nel lavandino, per potersi esibire come si deve.
Nel settimo, Pollettina divenne piccina piccina, altrimenti nel lavandino non ci sarebbe mai entrata.
Nell’ottavo secondo, gli applausi e le grida di giubilo per l’esibizione sarebbero stati incredibili, ma il pubblico era fatto di pesci e non si sentì un bel niente!
Nel nono secondo, Pollettina chiuse l’acqua perché il naso non le faceva più male, salutò tutti i pesci e uscì a fare una passeggiata.
Il decimo lo impiegò per raccontare la storia alla sua amica Rosina. Fu una storia splendida, perché era vera come la fantasia. 

giovedì 26 luglio 2012

la regina Dindirinda


Dindirinda è una regina,
che ho incontrato stamattina,
sì regale, ma piccina,
sembra proprio una fatina!

Per sfamarla, quanto prima,
le ho comprato una tortina.
Ma era via la reginetta,
e il pacchetto più etichetta

l’ho lasciato al servitore,
che lo prese con stupore,
e leggendo la scrittina
esclamò: "Per Dirindina!"









La filastrocca della regina Dirindinda contiene in effetti uno splendido errore, probabilmente dovuto al fatto che Gennaro, il servitore, aveva dimenticato gli occhiali nel cassetto della sala del trono. 

Un sentito grazie a Gennaro per questo errore inaspettato con cui festeggiamo la duecentesima storia
dell'Accademia degli errori!
Un abbraccio anche a tutti quelli che fanno un salto ogni tanto a cercare un sorriso, per tutte le volte che lo trovano, dando un senso meraviglioso a quello che non sarebbe, altrimenti, che un ammasso di paroline senza vita.
Grazie di cuore,

Andrea

i piedi di piombo


C’era un tale che andava coi piedi di piombo.
Per sicurezza, una volta all’anno andava da un piombatore di piedi di Piombino a farseli controllare. 
“Come va la piombatura, signor Rinaldo, ha tenuto?”
“Ha tenuto, ha tenuto, giusto una passatina e siamo a posto per un altro anno!”
E in effetti, la piombatura era fatta così bene che il signore mica ci credeva; o meglio: non lo negava, ma per sicurezza, portava i suoi piedi di piombo da un altro piombatore di piedi poco fuori Piombino.
Per essere sicuro sicuro, però, si fermava anche, dagli altri piombatori lungo la strada per Varese (era lì che abitava il signore!). Ce n’erano in totale 118 e, quanto finalmente arrivava a casa e appoggiava i suoi piedi in piombo fiammante sulla sedia, un anno era quasi passato e di lì a poco era costretto a riniziare il giro.
Una volta, mentre rifletteva sull'opportunità delle sue riflessioni, fu distratto dal cinguettio degli uccelli, dalle foglie e dal sole. D’un tratto sentì un impulso fortissimo di lanciarsi su un prato e fare milioni di capriole. Certo, magari bisognava prima pensarci un attimo. Quel prato era sicuro? Il verde gli sarebbe rimasto sui pantaloni? Le scarpe di piombo gli avrebbero dato noia sulla terra umida?
Così se le tolse e, l’avreste mai detto? Da lì a un istante stava volando nel cielo infinito, di un blu più blu del quale c’erano solo i suoi pensieri. 

sabato 21 luglio 2012

il mulino a tempo


C’era una volta un mulino, ovvero un mulo piccolo piccolo, ma con delle pale enormi. Erano così grosse e pesavano così tanto, che il piccolo mulo scrisse una raccomandata spiegando al Ministero dei muli da giardino che lui non se la sentiva di andare avanti per molto a fare il mulino.
Per uno strano errore, tuttavia, la busta non arrivò al ministero, ma al MINISTEREO che stava sulla mensola: era così piccolo, pensate, che la musica intorno si sentiva a malapena, ma quantomeno non aveva pale giganti da sostenere! il ministereo fu molto comprensivo e rispose al mulino che, per quanto lo riguardava, poteva smettere già dalla settimana successiva.
Per qualche giorno il nostro eroe rimase così un mulino a tempo, ma la domenica stessa si trasformò in un robusto muletto, che trasportava energicamente pale, pali, polli, palle e ogni altro peso ci si potesse immaginare.
Fu una fortuna: poco lontano, dove molte case erano cadute dopo un furibondo terremoto, il nostro muletto trasportò la bellezza di centoquattordicimila mattoni, finché non fu ricostruito l’intero paese. 


il mulino


Viaggiavo su un mulo,
ma proprio un mulino,
mi sento un po’ matto
sarà che è mattino.

Sarà forse un caso?
Di certo un casino!
Non so se era Pinco,
di certo Pallino!

giovedì 19 luglio 2012

le scarpe di Marietta Polpetta


Questa è la storia delle scarpe di Marietta Polpetta, una donnina niente male, che amava i tacchi e i vestiti eleganti, ma che aveva il piede piccolo piccolo (anche l'altro: li aveva piccoli tutti e due).
Sotto le sue scarpette un tacco intero non ci stava e così, dopo aver provato con una cannuccia per l’aranciata, uno stuzzicadenti, lo stelo di un girasole, sempre senza successo, il gran calzolaio di Cannonate Brianza annunciò con fare declamatorio che l’unico tacco possibile per simili calzature dovesse essere un tacchino. 
Non confondiamoci, andare bene è sempre un concetto relativo, infatti i tacchini (erano due, proprio come le scarpe e come i piedi) erano molto prodighi di lamentele, sostenendo che desse loro impiccio non tanto il peso di Marietta Polpetta (che era una donnina esile, lo avrete capito da voi), quanto il fatto di non prendere mai il sole sulla testa. 
In compenso bisogna dire che i tacchini ai piedi davano alla signora Polpetta un aspetto molto slanciato, rendendola piuttosto soddisfatta. 
Volete sapere come finì la storia?
La voce si diffuse e, si sa come vanno queste cose, di due tacchini interi che si diceva avesse ai piedi all’inizio, presto non rimasero che un paio di alette, cosicché la voce di una donnina con le ali ai piedi fece rapidamente il giro del cielo e della terra.
Proprio l’altro giorno un certo Mercurio, che in quel momento aveva i sandali dal veterinario, gliele chiese in prestito e credo che dovrebbe rendergliele dopo l’estate.
Per questo se in pieno agosto, dalla spiaggia, vedete un ragazzo volteggiare sopra le onde con la faccia di uno che ha un messaggio importante per chissà chi, lasciate stare la faccia e controllate, invece, che non abbia ai piedi le scarpe di Marietta Polpetta. 

mercoledì 18 luglio 2012

l'autostrana


Viaggiavo per la strada,
ho incontrato un casello
che era come una casa,
ma con poco cervello.

Il cervello rimasto,
lo ha saltato una rana,
senza troppo contrasto,
imboccai un’AUTOSTRANA,

che è come un’autostrada,
solo, tanto diversa,
esempio: se esci a Praga
puoi trovarti ad Anversa!

Per dar maggior risalto
a un bel bosco di faggi,
invece dell’asfalto
c’è il sole coi suoi raggi.

Se abbassi il finestrino,
entra l’acqua del mare;
se vedi lo zio Pino
mica può conversare!

Difatti dice: “oh bella!
c’è la manutenzione!
Lucida quella stella,
canta quella canzone!”

“Dico! Ma niente strada?
Non sente la mancanza?”
La fretta non mi aggrada:
rimango qui in vacanza!

la piastrella


Ho sognato una piastrella,
molto lucida e anche bella,

per il canto non ha orecchio
ma ha ambizioni come specchio:

rifletteva il rubinetto,
che scorreva in un cassetto,

rifletteva il lavandino,
dove sguazza un pesciolino,

rifletteva anche il bidet,
ma non so come e perché.

E la cosa un filo strana,
come parve a chi la lesse,

fu che ognuno rifletteva
sul perché lei riflettesse.

lunedì 16 luglio 2012

la storia


È questa la storia di un eroe molto antico,
si racconta da sola, nientemeno vi dico,
niente meno e nessuno, se vi piace di più,
non sostate lì sotto, ma piuttosto quassù.

Da quassù lo vedete che non siete di meno,
se vi date la mano, in un battibaleno,
si è percorsa la storia, l’avventura più antica,
ma è una storia di oggi, una storia tua amica. 

la ceramica


Questa è la storia di una ceramica, che però non c’era mica. Fortuna che, quando c’era, ci era amica e questo ci metteva molta serenità. Era una ceramica veramente gioviale: non era solo amica nostra, ma anche della cera. 
A volte, quando la cera faceva tardi alla sera, affidava alla ceramica il cerino, che a quei tempi era solo un bambino ma che si accendeva di gioia appena la mamma tornava a casa.
Per festeggiare, il cerino saltava in braccio alla mamma, che per ringraziarla saltava in braccio alla ceramica. La ceramica allora prendeva la forma di un suadente piedistallo, la cera si stiracchiava diventando una lunga e gentile candela e il cerino, che proprio in quel momento baciava la mamma sulla punta dello stoppino, illuminava tutta la stanza di una luce speciale. 

venerdì 13 luglio 2012

Piripicchio Saltalena


Piripicchio Saltalena
salta un poco ma di schiena,
salta quanto è addormentato,
salta e vola sopra il prato.

Sopra il prato c’è un coniglio,
piripicchio uno sbadiglio,
se sbadirglielo non basta,
Piripicchio fa una pasta.

Sulla pasta risbadiglia,
se non cade la si piglia,
se la piglio non la picchio,
se la mangia Piripicchio. 

giovedì 12 luglio 2012

filastrocca al volo (altri gusti: finiti)


Filastrocca di sette minuti,
sono partiti 5 starnuti,
e con il sesto, il sesto da solo,
sono riuscito a prendere il volo.

Il volo preso l’ho messo in tasca,
mi sono detto: "così non casca",
ma dalla tasca un buco di cielo
ha preso al volo il suo fido destriero.

Volava il cielo, volava dritto
Volava in terra e sotto il soffitto
Volava in tasca, volava in un occhio
Tutta la terra è solo il suo cocchio!


lunedì 9 luglio 2012

a rotta di pollo


Conosco una gallina, corre a rotta di pollo,
ci è inciampato re Mida; da quest’oggi: Midollo.
Or che il pollo si è rotto, la gallina è "cascata",
e già scorre felice, dalla zia sua cognata.

Ma Felice è un ruscello, che nell’aia ristagna,
stagna un “AHIA! nell’aria, se ti do una castagna.
Nel frattempo Midollo, re di tutte le brame, 
ha dorato gli incerti, deodorato il pollame.


Le galline più incerte: “non ci sono cascate!”
e a cercarle, di corsa, sono già belle che andate.
Han trovato, per forza, quella prima compagna,
che da zia Guendalina, ci si fa una lasagna.

Fu scritto alla lasagna, per non dimenticarlo:
“ha abdicato Midollo, è arrivato re Carlo!”
Gli rispose lasagna, con la carta da bollo:
“Mi ha avanzata re Carlo, preferivo Midollo!”

la sgangherocca


Filastrocca sgangherata
sgangherocca ritagliata,
ritagliocca filastrata
l’ho avvitata e si è svitata.

Tutta sporca dentro al bagno,
tutta d’oro ma era stagno,
nello stagno si è asciugata
digerito ha una frittata

(però non l’aveva mangiata mica,
l’ha digerita per una sua amica!)

Pianta i piedi sul soffitto,
fa una curva sul diritto,
sa diritto ma era storia
sa di se-samo e cicoria.

E sesamo o se non samo
Non lo so ma intanto andiamo.
Quando torna non è andata
Se lo ha fatto non è stata

Se sa-lute o se non sa,
Lute passa e se ne va,
va con lui la sgangerocca
forse storta, ma non sciocca!

domenica 8 luglio 2012

il mondo va così


Un’ascella e un ascesso, senza neanche il permesso,
contemplavano un piatto con un cavolo lesso.

Sosteneva la prima: “questo cavolo olezza!”
La seguiva il secondo: “una vera bellezza!”

Ma ancor prima, vi dico, di poterlo addentare,  
giunse un angolo giro, e li fece arrestare.

Mentre quello girava, sempre lì su se stesso,
venne assolta l’ascella, condannato l’ascesso.

Come stanno, mi dite? È così che va il mondo:
deodorata la prima, medicato il secondo. 

di prima mattina


Partiamo dall’ A-B-C.
La bici?
Ma si dai, una bella bici la cui cletta se n’è andata per la fretta. 
Quando? 
Di prima mattina, che è una matta minuscola ma simpaticissima. Suo fratello si chiama Mattino, un tale strano che gira sempre con l’oro in bocca.
Loro chi?
Non saprei, mica li conosco. Saranno amici suoi.
Ah! Proprio un bel tipo questo mattino, non vorrei mai esser suo amico!
Quel Mattino invece non aveva mai mangiato nessuno, ma aveva 17 denti d’oro e quanto sorrideva sembrava una miniera dello Yukon.
Solo quel mattino? No no, tutta la settimana, persino qualche pomeriggio, che è un noto verbo di indecisione: difatti un po’ meriggio, un po’ no, preferirei pensarci ancora, dice che posso prendermi un mattino per pensarci?
Chieda alla mattina, forse doveva andare con lui a trovare la mamma.
La mattina però è tutta fusa, e per risposta fa le fusa. Non solo: le fusa e le getta.
Ele chi? E cosa getta? Ma sì la Ele, l’amica dell’Eli, erano andati in vacanza con l’Ale ma erano tornati con l'Ali. Ai piedi?
All’inizio, poi hanno litigato perché la Ali ai piedi non ci voleva stare, e la misero sul capo. Il capo però la licenziò e così fu anche meno contenta di prima.
Quella prima però non era una prima qualunque, perché veniva anche prima di quella prima. Se quella prima avesse avuto le ante, si sarebbe potuto dire che fosse un’anteprima. Questo, però, non era dato di saperlo prima. Prima di cosa? 
Prima del colpo di scena! La prima non era infatti la prima della Scala, che aveva finito da giorni i pioli - che sono degli oli, forse anche essenziali, che quando li metti ai pulcini questi rispondono “pio”.
“Sfido, cosa dovrebbero rispondere?” disse una voce. Stavo per aprire bocca ma mi accorsi che non stava parlando a me ma proprio a Sfido, che era il suo Scane.
Lo scane è un cane che avevano provato a scacciare con la scacciacani, ma lui non aveva avuto nessuna paura. Era sordo, in realtà, e ululava spesso in sordina, un’altra piccola sorda, o forse era una suora, Suor Dina. 
Una suora sorda? Una suorda? 
Una suorda non è un'orda di suore? Ma no, quella e un ordora, e ora di quell'ora sarò già a scuola. Ma insomma che faceva questo cane con non so chi? 
Banchettavano. 
Un banchetto! E cosa vendevano? A parte che chi vende vano, ovvero vanamente, può fare anche a meno di mettercisi, a meno che non venda un vano, ma anche lì bisogna vedere chi lo compra. Comunque loro mangiavano insieme, mangiavano delle sardine. Capirete com'erano contenti i sardi! Va be' che le sarde sono piccoline, ma non è un buon motivo perché un cane sordo e compagnia se le mangino impunemente! Quelli poi sono vendicativi. 
Vendicattivi?? Ma i cattivi non si vendono! Sfido, chi li comprerebbe? 
Sfido il cane? Sì sì, il cane. Difatti ti dicevo che quel cane fu additato come un eroe e insignito di una S al valore, perché l’evento non fosse mai dimenticato, e così divenne uno scane svero e proprio, ed ecco sverato l'arcano. "L'arca no!" lo disse anche un tale Noè, che all'inizio era un po' svogliato. Il vecchio testamento è ricco di queste storie arcane. Attenzione però a non confondere l'arcane, che è un cane molto vecchio e sibillino, con l'argatto, che è un complemento di termine romano. Lo scane e l'arcane, invece, finiscono sempre in viale Sarca a fare non so che. 
Tornando invece al colpo di scena, posso confermare che la prima non era una prima donna, né una seconda bimba né una terza incomoda; invece era, pensate un po', proprio una prima mattina, la capostipite di tutte le mattine che successivamente vennero sugli stipiti. Se questo vi lascia un po’ stipiti, non preoccupatevi, ci vuole un attimo a imboccare la porta. Non che la porta non sappia mangiare da sola, in qualche modo potrebbe anche arrangiarsi, ma difetta drammaticamente di mani. Me le ha chieste tante volte, ma se gliele DO, mi diventano subito DO-MANI e quindi è chiaro che oggi non le potrà mai ricevere. Magari le ricefalse, ma vi assicuro che tra il vero e il falso, la differenza spicca, e spesso rispicca per ripicca, e anche ripicchia perché non guardava dove andava né la prima né la seconda volta e nemmeno la stravolta, che, è la massima volta possibile, anche se non nascondo che è parecchio stanca, quando è stanca poi tende a chiudersi. Per aprirla, serve una chiave di Volta, ma Alessandro, quel distratto, ha lasciato il portachiavi attaccato alla presa proprio questa mattina. La mattina però intanto sta finendo. 
È mezzogiorno? 
Ma no, ha quasi finito di parlare. I dottori e gli infermieri (che erano infermi ieri, ma oggi stanno bene e si impegnano ad aiutare chi potrebbe stare bene domani), dicevo gli infermieri e dottori di tutta la clinica, che forse avrebbero dovuto curarla, a curarla non pensano proprio e invece la ascoltano tutti incantati, non saprei dire se come vecchi dischi o come bimbi stupiti. 

giovedì 5 luglio 2012

sempre a proposito di tori



Un giorno il professore di elettronica chiese alla signorina Perdiana, interrogata senza il congruo preavviso, di spiegargli brevemente cosa si intendesse per "generatori".
Questa fu la risposta:
«Per generatori, intendiamo ovviamente le mogli dei tori, cioè le tore. »
Il professore tentò di interromperla.
«Aspetti aspetti che le spiego meglio! So che le sembra che non c’entri, e in effetti è vero che le tore sono solo le mogli, ma, successivamente, se va tutto bene, possono diventare anche le mamme dei tori e quindi generatori. Questo tuttavia, avviene solamente se prima si trovano in stato interessante! »
L'uomo la guardò attonito, ma Perdiana era già su una nuvola che fantasticava:
«Lo stato interessante, però, fa sorgere un problema: ipotizziamo che a me interessi, per esempio, la Francia. Se dopo dovesse non interessarmi più, cosa ne sarebbe delle povere tore? Possiamo immaginare la tristezza della tora e della torella, che è la tora sua sorella (si sa che le fanciulle si lamentano spesso in coppia), che già immaginavano di giocare con il piccolo torino e invece si sono dovute fermare ad Alba. Proseguendo verso il TRAMONTO, ovvero inseguendo l’idea non tanto di un tram molto “onto” (che sarebbe “unto” con un po’ di sconto) quanto invece di MONTARE un TRAM mi ci vorrà, io credo, una scatola da almeno cinquanta milioni di pezzi. Montando invece SUL tram, risparmierei parecchi pezzi, ma il tram non sarebbe mai stato montato e rischierei di cadere pestando il naso per terra.»
Il salto mentale era così acrobatico che il professore di ginnastica, che passava proprio in quel momento, le mise un più sul registro. 
In elettronica, invece, ci fu un insufficienza.
Fortunatamente ottenne una “o” da un toro, che ne aveva due di cui non sapeva che farsi. O meglio: lo sapeva all'inizio, quando pianificava di farci giocare il piccolo torino (pensavate che fosse una storia inventata?) ma, poiché la Francia non interessava alla signorina Perdiana e la tora sua compagna si trovava proprio lì, non se ne era fatto più nulla. Così mentre la tora pianificava di spostarsi in Italia, stato probabilmente più interessante, la signorina Perdiana utilizzò la “o” per trasformare il brutto voto in una morbida INSOFFICIENZA, di fronte a cui la mamma non riuscì ad arrabbiarsi. 

tutti in rima!


“Insomma Matilde, questi bambini hanno bisogno di essere MESSI IN RIGA!” sbottò Paolo. 
Ma Matilde, a cui non solo non andava di essere troppo severa, ma era dispettosa quanto loro, decise di METTERLI IN RIMA, che era quanto di più lontano dalla riga riuscisse a immaginare.
E così:

Il piccolo Marco,
se ne andò al parco,
Il biondo Gaetano,
su un deltaplano.
La Carlottina
filò in cantina,
e l’ultimo, Pino,
su passeggino
filò da sé
alla corte del re.

Una volta arrivato alla corte del re, il re gli chiese di farla corta. Ma lui la fece cortissima, infatti non sapeva neanche parlare. Parlare no, ma piangere sì! Pianse così forte, che al re si rizzarono tutti i capelli in testa e gli cadde la corona.
Tutti gridarono: “È caduta la corona! È caduta la corona! Evviva la democrazia!!!”
E hai voglia il re a spiegare che si era trattato solo di un piccolo incidente. Di fronte all'entusiasmo del suo popolo, finì per abdicare davvero a favore di un intero parlamento. In questo parlamento però non parlava solo il mento, ma proprio tutti, persino i contadini, gli idraulici e, ovviamente, tutti i bambini del mondo!

mercoledì 4 luglio 2012

a volo di palla


Conosco una palla, su un prato folle
che al posto dell’erba ha quintali di molle
e se la palla si arrischia e rotola,
lo fa nascosta sotto una ciotola,

giacché se le molle la vedon passare,
rischia di fare un volo orbitale!
Vero che gli astri le piaccion parecchio
ma lo spazio aperto le da il mal d’orecchio


Poiché a saltare non è disposta, 
si è fatta tutto l’inverno nascosta
(per consolarsi, dietro una foglia,
divorò un chilo di pasta sfoglia).  

Ma ieri passa e ha cambiato aspetto,
usa la ciotola come caschetto, 
il mal d’orecchio se l’è curato,
pronta a salire nel cielo stellato! 

martedì 3 luglio 2012

il fiore di lavanda


C’è un fiore di lavanda,
che poggia su una Panda,
ma un panda innamorato
lo trova impolverato.

Così di questo fiore,
fa una bella lavanda,
lo coglie con amore
e poi glielo rimanda.

domenica 1 luglio 2012

l'anticiprato


Mi hanno richiesto il pagamento anticiprato, suppongo un anticipo su un prato, che potrebbe essere un sacchetto di semi, o un se-metto di sacchi,  ma se metto dei sacchi bisogna intanto vedere dove li metto, magari sull’anticiprato, che però per adesso è solo un sacchetto di semi. Tra l’altro, servirà stare ben attenti che da anticiprato non si redima e diventi un condiscendente ciprato, come il ciprato di sodio, che nella tavola degli elementi si trova tra il piatto di portata e il sodiato di Cipro, non so poi chi lo sodiasse tanto, a me sembrava un tipo simpatico. Anche il posto, poi, niente da dire, solo che quando ci sono arrivato ero in anticipro e è finita che i ciprioti  se la sono presa. Non solo, ma dopo essersela presa l’hanno nascosta e nessuno l’ha mai più trovata. Narra poi la leggenda che non fosse una sola ma molte, tutte nascoste, ma se nasco oste, dico io, mi interesserà ben poco dei nascondigli (digli cosa, chissà) dei ciprioti,  e molto più di quel beato senso di convivialità che potrebbe rendere sereni i miei ospiti. 

mercoledì 27 giugno 2012

come cambia la storia


Un giorno, nel libro di storia di Gino successe un tremendo pasticcio.
Ci cadde sopra lo yogurt, il gelato e un latte e menta con tutta una cannuccia. Forse fu proprio per questo, che i Nibelunghi si trovarono d’improvviso quasi dimezzati e divennero Nibecorti.
Dei Visigoti, giacché lo yogurt aveva coperto gran parte dei viso, non rimase che una squadriglia di Nasigoti.
I Longobardi pure dovettero cambiare nome perché i bardi si erano del tutto scoloriti, fortuna che si trovarono un paio di pifferai a pagina 7 e con il tamburo della corte di Carlo Martello misero su una piccola Longobanda.
Più in generale, a causa di due pagine che si incollarono, i barbari del secondo capitolo divennero i barbarletta, che, forse per via della barba, faticarono parecchio a dimostrare di non costituire una barzelletta.
Solo una pagina fu intaccata nella storia moderna, ma sufficiente a far diventare gli Americani dei morbidi Amerigatti (che, se non altro, hanno ben gradito il latte e menta). Questo tra l’altro rese i cretesi, a cui i cani forse non piacevano, molto più crilassati.
Non entrerò ora nel merito del rapporto tra Creta e i cani, o tra i gatti e le Canarie; questa storia, infatti, serve soltanto per dimostrare alla maestra di Gino e a tutta la classe che in questo momento lo fissa col naso all’insù, che per cambiare la storia, anche quella che pareva già scritta, si può partire anche solo da una dieta equilibrata. 

cacciatore e raccoglimore


Una volta, l’uomo era cacciatore.
I cacciatori cacciavano i tori e, poiché li cacciavano via in malo modo, i tori, che erano molto permalosi, si nascondevano nel sottosuolo.
Per incontrarne uno, non dico tanto ma almeno per farci due chiacchiere, bisognava raccoglierlo da terra tirandoli per il singolare ciuffetto che spesso spuntava dal prato (si distingueva dall’erba perché era fatto di corna).
Così gli uomini divennero raccoglitori.
Una volta diventati raccoglitori, arrivò non so quale impiegato a metterli in bell’ordine sulle mensole, chi con dentro le fatture, chi gli scontrini del gelataio.
Nel corso dell’evoluzione, gli uomini capirono che a stare troppo tempo in ufficio si perdono le ore migliori del giorno e non vollero più essere neanche raccoglitori. Fecero così definitivamente pace coi tori, divenendo accoglitori (non solo accoglienti, ma proprio accoglitori professionisti).
Qualcosa però bisognava pur raccogliere, e ci furono discrete evoluzioni anche in questo senso: gli innamorati diventarono raccoglifiori, ma quelli non si potevano mangiare, specie dopo essere stati donati come pegno d’amore (si dice anzi che, per meglio conservarli, la donne li seccassero con interminabili discorsi sulle mode preistoriche).
L’uomo primitivo, che oramai avrà anche fatto in tempo a diventare seconditivo, si improvvisò così raccoglimore e, poiché di more in quel periodo ce n’erano parecchie (alcune proprio carine), se ne fecero una bella scorpacciata. 

martedì 26 giugno 2012

la piripera


Nel paese degli uomini di pera,
a nessuno serviva una dentiera.
Per suonare si usava una tastiera
Che suonava una bella piripera,

sarebbe poi quella nenia leggera,
che ballano gli uomini di pera
quando la notte arriva sorridendo
e alcuni canticchiano dormendo. 

sabato 23 giugno 2012

il comandante


Ho messo un abito un po’ andante ma mi sono ritrovato in coma.
Sono così divenuto comandante.
Come andante mi trovavo anche bene, ma quanto al coma, non so come, non mi andava. Certo, magari un pochino mi mandava, e così ho conosciuto il mandante. Dall’incontro tra il mandante e il verso della gallina (per i distratti, non è cambiato, ma è sempre coccodè), è frequente ottenere:
un CO-mandante
un CCO-mandante (immagino un comandante del corpo dei carabinieri)
un DEmandante.
La faccenda tende così a complicarsi perché, se abbiamo un altro comandante, mentre il comandante ero io, finché non esco dal coma siamo per forza in due, e quindi due cocomandanti.
Se però si considera che il comandante mio antagonista (protagonista, in caso di aerofagia) lavora già a braccio con il ccomandante e tra di loro fanno un coccomandante, la cosa si complica moltissimo. Da un lato, bisognerebbe capire questo cocco dove lo mandino, e noi ci auguriamo tutti che sia nelle migliori scuole a ricevere un’educazione consona al rango dei due ufficiali, di cui si può ben dire che sia il cocchino, che con le ruotine, i cavallini e il cocchierino si vede spesso girare a Lilliput, dove peraltro dovrebbe arrivare il Vagabondoput e coronare un sogno di amore. Chiaramente un amore putativo, ma chi siamo noi per dare giudizi avventati? Meglio togliere un po’ di vento, difatti, da questi giudizi, e che se ne stiano un po’ con i piedi per terra (anche se, dall’altro lato, vedere volare un po’ di giudizi via per sempre sarebbe una non magra soddisfazione, giovando a una fazione intera, quella degli essere umani).
Dall’altro lato, si diceva, il secondo comandante sarebbe coccomandante con il suo amico ma anche cocomandante con me, così che sarebbe complesso definire se tutti in quattro si formerebbe un co-coccomandante o piuttosto si sformerebbe un coco-cocco-mandante, che sarebbe evidentemente un comandante con la balbuzie.
Per combattere definitivamente la balbuzie e portarmela via lontano, magari facendo vela proprio sul vento che potrebbe sventare i giudizi avventati prima che qualcuno li avventi con un sorriso a trentadue venti, mi sono deciso così a svegliarmi dal coma e, sempre rimanendo comandante, al cui grado mi ero affezionato, semplicemente me ne sono andato a Como, lasciando gli altri due (anzi tre, perché c’era anche il demandante, che quindi potrebbe essere il tremandante, ma non si sa perché tremi, dato che nell’andare nulla dovrebbe fare più paura che nel restare), dicevo sono andato a Como lasciando gli altri due su un comignolo, sperando che facciano la dovuta attenzione a non schiacciarselo sbattendo la coporta. Infatti potete  immaginare da voi che, se qualcuno la comanda, qualcun altro per forza di cose  la coporta. 

venerdì 22 giugno 2012

un po' di respiro

Se Daria si fa un giro,
si crea un bel giro Daria,
ho assaggiato un bel fiore,
l’Amanita Muscaria. 

L’ho finita da poco,
ho leccato anche il dito,
ma è finita che bene
non mi sono sentito.

Non sentendomi bene,
la finestra ho socchiuso,
ho chiamato qui Ilaria,
ed ho fatto un po’ il muso.

Non è stato un bel gesto,
l’ho un pochino influenzata,
ma è così che ho ottenuto
Ilaria condizionata. 


giovedì 21 giugno 2012

c'è poco e poco


Una volta Simonetto decise che voleva cambiare il mondo.
"Per cambiare il mondo", pensava, "non ci vorrà tantissimo. Mi basterà sorridere tanto che la gente guardandomi pensi che è già cambiato, e magari si giri a cercare il motivo per cui sorrido. “Cercandolo”, pensava, “non potrà che trovarlo”.  
Passava un tizio a cui i sorrisi davano il prurito (ce ne sono e, anche se loro non lo sanno, il rimedio è sorridergli finché non gli passa). 
Gli disse:
“Tanto non ci riesci!”
“Non voglio riuscirci tanto, ma poco”, fu la risposta. 
Quel poco però non era un poco qualsiasi, ma un “poco per volta”; ed è proprio con quelli che il mondo si cambia davvero.

pensando (pensare quando?)


Ho tra per la testa mille pensieri
ma sono tutti pensieri di ieri,
a ben guardare molti son strani
ma sono pensieri di domani.

Penso pensieri che neanche si sanno,
che avranno luogo magari tra un anno.
Ma se ne hai uno, il migliore, e lo sfoggi,
quello è soltanto un pensiero di oggi. 

a correre senza guardare


Molta gente, cosa frequente, se dice non mente, se parla non sente. Se sente borbotta, che barba Carlotta, ma allora barbotta, col botto che botta. Se batti, rimbrotti, se abbatti ti sbatti, se sfratti non sei carino con lei, lei che ci teneva, dai povera Eva, che paga l’affitto su un conto in Egitto, peccato non tuo, ma suona in un duo, e a te che serviva, la guardi è giuliva, che è Giulia che saliva, o Giulia in un oliva, o Olivia che partiva. Allora pronti via, veloce chi tu sia, verdastro il cioccolato su cui il prato è passato, è verde guarigione, verdone parigino, se poi Gino non pari, magari un formaggino, che è Gino per la forma, ma solo dal di fuori, se invece lascia un orma, ci pianterò dei fiori, poi tu li passi a Gino, ed ecco un passeggino, se Gino è un po’ più saggio, ci scapperà un passaggio, se Gino è più malato, mi mangerò un passato, peccato che il presente è assai più divertente.


mercoledì 20 giugno 2012

i grilli per la testa


Un giorno, un signore che aveva molti grilli per la testa, decise che era stufo e si recò in un negozio di grilli per vedere se riusciva a farseli cambiare con dei grilli per i gomiti, o magari anche per i piedi (l’idea dei grilli da piede lo solleticava parecchio, ma se anche pare ecchio, non si sai chi poi sia veramente).
Il negoziante fu molto gentile e, poiché il signore si era presentato con un amico, diede loro un grillo a testa, ma da piede.
Per essere sicuri che i grilli nuovi non gli mettessero i piedi in testa, li testarono in uno speciale testa a testa, dove il primo grillo che dai piedi passasse in testa, perdeva. Come potesse perdere chi passasse in testa, fu duro spiegarlo ai due grilli, che erano molto competitivi. Alla fine persero entrambi la testa, e per ritrovarla partirono a piedi fino ai piedi di un monte. Ma poiché non sopportavano perdere, persero anche le staffe e quelle non le trovarono ai piedi di nessun picco, ma a picco in fondo ad un mare pieno di pesci martello, spauracchio dei grilli parlanti, loro lontani cugini. Per avvertire questi ultimi del grande pericolo, fu inviato come messo proprio il signore dell’inizio, che partì senza fiatare saltellando come un grillo. Se un grillo per la testa, per i piedi o per le sopracciglia, proprio non saprei dire. 

la chioma di berenice



Mentre pensavo al colore rosso,
sono caduto dentro ad un fosso
e per provare a tirarmi fuori
mi sono aggrappato alle foglie dei fiori.

Ma questi fiori mi hanno portato
a capofitto nel cielo stellato.
Certo col sole del primo mattino
ora avrei preso un bel colorino, 

invece è stato la notte di ieri;
se avessi avuto diversi pensieri,
avrei agguantato qualche radice
o anche la chioma di Berenice.

Ma Berenice cippirimerla,
prende la mira, tira una sberla, 
Quindi ti dice “mica son sorda,
ti serve aiuto? Chiedi una corda!”

Questo mi non è successo davvero,
perché a quell'ora volavo nel cielo,
invece è accaduto, per paradosso
al mio compagno vicino di fosso!



lunedì 18 giugno 2012

il mal di plancia


IL MAL DI PLANCIA

C’era una volta una barca con il mal di plancia. Poiché se ne lamentava parecchio, scricchiolando a poppa e a prua, l’equipaggio impietosito andò a cercare un dottore. Del dottore, però, non c’era neanche l’ombra. Una delusione, perché almeno nell’ombra ci speravano. Ma niente.
Così pensarono di contattare almeno un dotto re. Questo era un po’ più semplice, perché lì vicino c’era una sala da re, dove di re se ne trovavano a iosa. Giangerolamo, che non era che un mozzo, ma aveva preso la cosa molto a cuore, non aveva però la più pallida idea di come distinguere un dotto re da un re con una normale cultura o peggio ancora, da un re del tutto ignorante.

A CACCIA DI IDEE

Per farsi un’idea meno pallida, provò a metterne una al sole, anche se prima dovette scovarne una, dato che, ricorderete, in principio non aveva neanche quella. E anche scovarla non fu facile, poiché dovette sfilarla da sotto una gallina per niente condiscendente.
Una volta ottenutala, si fece un po’ prendere dallo zelo e la piazzò al sole di mezzogiorno, con l’autoabbronzante e senza un briciolo di protezione, così che scoprì verso sera di aver fatto bel un pasticcio: abbronzata com’era, la sua idea non era per niente chiara. In compenso il pasticcio era il suo piatto preferito, e si fece una gran scorpacciata anziché pensare a una soluzione.
Fortuna che la soluzione venne da sé, perché l’idea, che a dirla tutta era un po’ scapigliata, sentì un impellente bisogno di ordine e si tuffò in un secchio di brillantina col solo scopo di farsi la riga di lato.

FINALE LIGURE (erano attraccati lì!)

Così facendo, divenne un’idea sensazionalmente brillante, e diede a tutti preziosi suggerimenti:
riguardo alla barca, chiarì all’istante di dimenticare re di sorta, la cui saggezza si sarebbe conosciuta solo dopo molti anni di governo (il re di Sorta se la prese un po’, perché regnava su Sorta da parecchio e gli pareva di aver fatto un buon lavoro).
Il mal di plancia passò dopo verniciata e una bella festa sul molo, che diede alla barca buonumore sufficiente per navigare ancora molti anni senza scricchiolii.
Quando la barca infine partì, Giangerolamo guardava assorto verso riva e un raggio di sole brillava nella direzione del vento.

domenica 17 giugno 2012

la spilla Camilla


Conosco Camilla
è solo una spilla,
ma vi giuro, brilla
come una scintilla.

C’è pure uno spillo
di nome Camillo,
mi spinge ed oscillo
che sembro un birillo.

Le vuole cantare
il sole ed il mare,
ma nella capocchia
un po’ si impastrocchia.
Perciò l’altro dì
cantava così:

“Camilla sei bella
come una stella
in una padella,
tranquilla però
non ti cuocerò!”

“Camilla sei brava
come una rava,
ti mangerò?
Certo che no!
(Magari ti assaggio
nel mese di maggio
ma giusto un pezzetto
e poi te lo rimetto)”

"Camilla sei bionda
Come una fronda,
e con una fionda
dall’altra sponda
del fiume Po’
ti lancerò.
(dall'altro lato
ti prendo al volo,
e se ti manco
rimango solo)"

Camilla lucente
ho il tartaro a un dente
ma per te giuro
che me lo curo
(vedrai che bello
dopo il dentista
passo il casello
e mi metto in pista)”.

Camilla all’inizio è un po’ orripilata
A ritrovarsi così corteggiata
ma poi brillando, vede un po’ meglio
che Camillino la ama sul serio
(che non è un fiume, ma grande amore
partono insieme, tra poche ore). 

sabato 16 giugno 2012

Ambaraqualcosa


Ambaracociccibabbà
Se sto a casa non son qua
Se sto qua non sono al mare
Dove imparerò a contare
Perché il mare ha un’altra età
Ambaracociccibabbà

Ambarabacciccicoccò
Il dottore ha detto “oibò!”
È guarito alle ore sette
E ha trovato 3 civette
A far cosa non dirò
Ambarabacciccicoccò.

argo pollo


Ho un amico che è un impiastro,
il colore è un po’ olivastro,
se lo chiami parte a nastro
ma farà qualche disastro.

Il suo nome è Pollo Argo,
se non dorme va in letargo,
se è in letargo non è qui
e non ci dirà “buondì!”

Di cognome fa Argo Pollo
ride poi fino al midollo,
il midollo è un po’ allungato,
se dell’acqua ci ha versato.

L’acqua sta sulla credenza
e gli mette sonnolenza.
Quando dorme, perlomeno,
di pasticci ne fa meno!

c'è bugia e bugia


C’era un tale non troppo sincero,
che camminava a mezz’aria nel cielo,
ma le bugie hanno un peso specifico
e cadde giù con un tonfo magnifico.

Bisogna dire, per buona fortuna,
che stava a mezz’aria sulla luna,
così che il tonfo non gli fece niente
e camminò fino al tempo presente.

Cammina cammina fin sulla terra,
gli capita un bollettino di guerra,
e cosa dire? Mica gli piace,
così dice a tutti che è giunta la pace.

Gli credono proprio tutti quanti,
e ai generali che gridano “Avanti!”
La gente risponde “mica ho suonato!”
e si rimette a giocare sul prato.

Così quel tale, nel passeggiare,
si è ritrovato di nuovo a volare,
perché non si mente coi paroloni
se erano buone le intenzioni. 

venerdì 15 giugno 2012

un merluzzo per amico (non un merluzzo per ogni amico, ma proprio un amico merluzzo)


Ho un amico che ha molto fegato, solo è che è fegato di merluzzo. Pertanto, il mio amico è un merluzzo. Lì per lì non l'ha mica presa bene, pensate che all'inizio era convinto di essere un semplice merlo e si stava già preparando a tuffarsi in uno spettacolare volo radente dalla cima del castello. 
Del castello, tuttavia, non riuscì ad essere nemmeno un semplice merlo, perché il ciambellano li aveva appena contati tutti e non ne mancava neanche uno.
Provò allora a farsi un po' più piccolo e a spacciarsi per mago Merlino, ma fu subito scoperto, non tanto perché gli mancava la mano negli incantesimi, quanto per la notevole assenza del cappello azzurro, o della soffice barba bianca indispensabile in queste circostanze.
Tentò altre vie ancora, ma si accorse presto che poteva andargli ancora peggio: nonna Palmira, difatti, stava già iniziando a cucirlo tra i mille merletti del suo ultimo centrino.
Così se la diede a gambe, non so quali poi, dato che nella fuga si tuffò in mare e proprio lì poté constatare, di fronte allo specchio dell’acqua, di essere definitivamente un merluzzo.
Neanche fosse tornato a scuola, fece amicizia con un banco di merluzzi che albergava di poco sotto la superficie dell’acqua. Ma entro poco tempo, decise di salutare tutti e partire alla volta dell’oceano, in un giro infinito di esplorazione degli abissi.
Di sicuro ci voleva un bel fegato, anche se era solo un fegato di merluzzo. 

giovedì 14 giugno 2012

una banda di parole


Ho sbandierato una bandiera, che non è una venditrice di bande, ma che è una banda dalla parrucchiera.
«Tutta una banda? Una banda colorata o una banda di liutai?»
«Mi scusi, liutai no, il liuto mi dà lo starnuto, inoltre liutai tutto ieri e oggi vorrei fare un po’ di pausa.»
«Una banda colorata, quindi. Di che colore? E cosa ci faceva dal parrucchiere?»
Comprava una parrucca, che è una mucca che voleva fare il parroco, ma fu misconosciuta dalla curia per via della sua incuria e dovette accontentarsi di una pannocchia, che non sarà una parrocchia ma è sempre meglio che non sgranocchiare niente.
La banda era molto verde (credevi che me ne fossi dimenticato?), di preciso verde foglia.
«E la foglia?»
Verde banda, con una venatura violacea, che è una viola un po’ coriacea ma che si va via via ammorbidendo.
Matematicamente si potrebbe dire che, cambiano l’ordine degli ammorbidendi, il bucato non cambia.
«Magari non cambia, ma rimane bucato?»
Rimane bucato finché qualcuno non ci mette una pezza. Bisognerebbe chiamare un pezziere, ma riesco a trovare soltanto tappezzieri, che sono pezzieri molto bassi. O almeno erano pezzieri, speriamo pezzoggino ancora (e non tappezzino invece Gino, come qualcuno potrebbe pensare). In ogni caso restano bassini, per cui c’è da sperare che il bucato non si sia cacciato troppo in alto, o almeno che sbuchi in mano a qualcuno con le mani bucate, da cui il bucato possa cadere a portata di tappezziere.
Ma se ci avete fatto caso, una volta che qualcuno SBUCA, il problema del bucato è risolto senza bisogno delle pezze, con buona soddisfazione di tutti i liutai che erano stati eliminati dalla storia ma con cui siamo rimasti in buoni rapporti, e che ci scrutavano da una collinetta sperando che tutto finisse per il meglio. 


mercoledì 13 giugno 2012

la lingua dei fiori


Ho un amico che si chiama Rodolfo ed è amico di un suo amico, che si chiama Rododendro. Insieme stanno cercando di imparare il linguaggio dei fiori. Meglio: Rododendro sta cercando di insegnarlo a Rodolfo, anche se, a dirla tutta, qualcosina da imparare la ha ancora anche lui.
Rodolfo impara, poco a poco. Ad esempio:
per contattare un girasole, non si può fare altro che parlare la lingua del sole. È una lingua strana, che esce dagli occhi. Per parlarla, dicono che si debba aver inspirato forte tutto l’amore del mondo. Rodolfo sostiene che ne basti anche meno, che basti anche solo un pensiero: "magari i girasoli faranno più fatica a sentirti", dice lui, "ma ti risponderanno in ogni caso con il loro sorriso cortese."
Oppure si può provare a parlare la lingua delle Violette. Per quella, sarebbe meglio chiedere alla mia amica Violetta, che però proprio oggi è fiorita in un prato un po' fuori mano. 
La lingua dei Rododendri è un po’ più semplice perché, come si poteva capire già da prima, questi fiori parlano il linguaggio dell’amicizia.
Ogni fiore parla una lingua diversa, ma ogni fiore scappa appena riesce verso una luce che è sempre la stessa, che è quella del sole. Il sole non si riesce quasi mai a guardare, finisce che bruciano gli occhi e per questo i fiori sbocciano senza nemmeno preoccuparsi di aprirli.
Se è per questo nemmeno il sole li apre, direte voi, o forse dice Rodolfo. 
Non li apre: sboccia ogni giorno ad occhi chiusi sopra tutti i prati, tutte le teste e tutti i pensieri, porta in dono tutti i colori del mondo senza nemmeno sapere chi li riceve.

In questo modo, Rodolfo e Rododendro stanno imparando la lingua dei fiori, e forse molte altre lingue. 

martedì 12 giugno 2012

una strizzata di occhio

Un giorno arrivò un tale e strizzò l’occhio a un altro signore.

«Ahia! »
«Che c’è? »
«Mi ha strizzato l’occhio! Scusi, ma le sembra?»
«Non mi sembra per niente, e a lei cosa sembra?»
«Che mi abbia strizzato l’occhio, mi sembra! Anche sì il mio preferito, mi scusi ma non si poteva strizzare il suo?»
«Ma è proprio quello che ho fatto, non trova?»
«No che non trovo!»
«Male! Non lo sa che le basterebbe cercare?»
«Senta un po’: io non avevo perso niente, lei però l’occhio me l’ha strizzato lo stesso! Aveva almeno lavato le mani?»
E il tale, che non le aveva lavate per niente, levò quantomeno le gambe e se la filò a gambe levate. Ma da allora in poi, per sicurezza, non strizzò più l’occhio a nessuno e salutò tutte le persone facendo semplicemente l’occhiolino.

venerdì 8 giugno 2012

cosa vai cerchiando?

Se trovi cerchi
se cerchi trovi,
se cerchi i cerchi
non trovi i rovi,
ma trovi i cerchi
che poi ritrovi
se li ricerchi. 

Ma se li cerchi 
scopri da te,
era uno solo 
e ora son tre,
concentrazione 
non gliene manca:
son cerchi concentrici
su carta bianca!

giovedì 7 giugno 2012

il guardaboschi


Un giorno, un grande diplomatico, incontrò per caso il procuratore di brindisi. Sfortunatamente, questi non gli procurò neanche un Brindisi, ma appena un aperitivo scarno scarno. Per la delusione, il diplomatico rinunciò al diploma, scambiandolo con una licenza media; così venne in media licenziato. Si accorsero presto, tuttavia, che non si poteva licenziarlo in media: andava licenziato in tronco. La sua licenza media fu quindi sostituita con una licenza da taglialegna. Già che c’era, se la giocò a biglie con un guardiaboschi e vinse anche la licenza di quest’ultimo. Così che oggi, il nostro grande diplomatico, passa la giornata a guardare i boschi, saluta gli scoiattoli quando saltano sui rami e brinda con acqua di sorgente alla luce del giorno.


mercoledì 6 giugno 2012

stati d'animo

Ho un casino in testa che la metà basta
così ho detto basta alla metà che resta.
Bel colpo di testa, mi farò una cresta
proprio a mezza testa.
Ci farò la cresta, mi ci terrò il resto,
mangerò una crosta e se la lancerò,
sarà una crostata ed io la mangerò.