mercoledì 4 aprile 2012

una storia per sommi capi


PRIMO CAPOVERSO
Una volta, il capo di Luigi, pensò di scrivere un magnifico verso su un foglio. A lui pareva quasi uguale a uno di Montale, ma a Luigi sembrava piuttosto il verso del maiale (oink) o di un gatto col mal di stomaco (miahi!).

IL GRATTACAPO
Non era la prima volta che succedeva, e Luigi non ce la faceva più a sopportare tanti versi in ufficio: a lui serviva concentrazione per finire le pratiche entro sera. Ecco un bel grattacapo, direte voi. Ma grattare il capo, non aiutò per niente.
Al capo, che non aveva alcun prurito, una grattata così, su due piedi, parve piuttosto scortese.  
Si diede quindi a scrivere i primi versi di un’altra importante poesia in sette strofe. Tema: la scortesia.

IL ROMPICAPO
Luigi, che dovette leggerla tutta, non fece in tempo a sbrigare le pratiche prima di sera. Al capo non interessava molto, intento com’era a declamare la sua splendida (diceva lui) poesia per telefono ad un importante fornitore, ma a Luigi dispiacque proprio. Iniziò così a inventare un terribile rompicapo, ma il capo, anziché rompersi, lo risolse subito e per festeggiare, compose una poesia in otto ottave sulla propria intelligenza.

Il CAPOSTIPITE
Al colmo dell’esasperazione, Luigi dichiarò che avrebbe preferito essere dipendente del quadro sul muro, o della maniglia della porta, o persino degli stipiti. Ma lo stipite, gentilmente, declinò l’invito e lo mise alla porta.
Dietro la porta c’era il capo, che aveva scritto un attimo prima un poema in due atti: uno era scrivere, l’altro cantare. Inutile dire che, alle povere orecchie di Luigi, parve un canto terribilmente stonato.  

PUNTO A CAPO
Mentre il capo cantava, infatti, si punse con il fermacarte, con cui stava fermando alcune carte. Cercando di far sentire il capo almeno un po’ in colpa, gli mostrò il punto in cui si era punto, ma il capo, neanche se ne accorse.
Scrisse invece un lamento in trentatrè trentine, e tutte e trentatrè si lamentavano tremendamente.

CAPOLINEA
Così Luigi, poco prima di iniziare a piangere, tirò una linea per separarlo per sempre dal capo. Si accorse però che, mentre il suo poetante superiore rimaneva lì accanto, la linea gli aveva appena separato la testa dalle spalle. Inutile dire che la cancellò in men che non si dica. E che bello spavento!

A quanti di voi è capitato di tirare una linea per separarsi da un insopportabile poeta silvestre e ritrovarsi a dover cercare sul soffitto la propria mano, o il naso, un ginocchio destro e magari persino un pezzetto del proprio magnifico cuore?

Su questa riflessione, il capo ci scrisse un poemetto in due etti. Fu una bella lavorata, ma quello – persino Luigi dovette ammetterlo – fu veramente un CAPOLAVORO.




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