C’era una volta un flauto che si ostinava a dir le frasi
tutte d’un fiato. Anche i suoi amici erano ostinati, e difatti facevano gli
osti. Gli dicevano: vieni a fare l’oste con noi, invece di ostinarti a dire le
frasi tutte d’un fiato. Ma avevano fatto i conti senza l’oste, cioè li avevano
fatti giusti, dato che il flauto non andò mai a fare l’oste.
Invece rimase senza fiato tutto d’un tratto. Fu un momento
fatale: vide tutto dissolversi e in un attimo si ritrovò nell’OLTRETROMBA.
Nell’oltretromba, oltre alla tromba, c’erano un clavicembalo
e un paio di maracas del Portorico.
Cercò subito la complicità dei suoi compagni e mostrò tutta
la sua decisione: “Per andarcene di qui, ci vuole un piano!”.
Il clavicembalo indicò un piano a coda, che si trovava su un
forte poco distante, dove era arrivato piano piano (forse per via della coda).
Il pianoforte salutò in Do maggiore, una nota molto grave che la maestra gli
aveva dato per via di una sviolinata fatta a una tastiera. Il violino né era
rimasto tanto contrariato che per il resto della lezione non aveva più preso appunti,
ma solo cocenti disappunti.
Per inciso, per cuocere un disappunto, bisogna innanzitutto lavare
col sapone l’espressione torva di chi lo prova, beninteso che se, dopo averlo
provato, non gli piace, può benissimo lasciarlo lì. Con un po’ di mira lo
lascia proprio a noi, che volevamo per l’appunto cuocerlo.
Per ancora più inciso, non so perché dovessimo cuocere il
disappunto per l’appunto e non piuttosto, l’appunto per il disappunto, forse perché
non eravamo disappuntiti e per questo si sarebbe dovuto temperarci. Per farlo
prendemmo esempio dal clima: chi ha temperato la primavera, ci chiedemmo? Che si
sia temperata da sola? Incuriositi, andammo dalla primavera a chiederglielo.
Per errore, prima della primavera, incappammo in una dopofalsa,
che però era falsa. Dunque una falsa dopo falsa, ovvero una vera dopo vera, ben
distinta da una vera dopo falsa, o moto falsa, che neanche si accende, o topo
sfalsa, e a dirla tutta un topo che faceva lo sfalsario una volta l’ho
conosciuto. Lo sfalsario, per capirci, è un tale (un topo in questo caso, ma
magari anche in altri) dotato di un’enorme gomma, che cancella le banconote false
fino a trasformarle in splendidi bloc notes.
Tornando al flauto, il cembalo (prima era un clavicembalo,
ma ora aveva smarrito le clavi) gli spiegò delicatamente che non sentivano
alcun bisogno di andarsene perché nell’oltretromba, oltre alla tromba, c’era
tutta gente simpatica e si respirava un’atmosfera molto armonica: si trattava in
effetti di una fisarmonica satellitare. Di preciso un’armonica a bocca, che quella
volta però non abboccò e nondimeno (anche perché non so poi cosa avrei dovuto dimenare)
tutti la respiravano lo stesso.
Il flauto capì e accettò di buon grado la nuova
collocazione. Per sicurezza, tuttavia, rimase sempre un po’ in campana e, col tempo, divenne molto amica del batacchio.
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