martedì 2 ottobre 2012

l'oltretromba


C’era una volta un flauto che si ostinava a dir le frasi tutte d’un fiato. Anche i suoi amici erano ostinati, e difatti facevano gli osti. Gli dicevano: vieni a fare l’oste con noi, invece di ostinarti a dire le frasi tutte d’un fiato. Ma avevano fatto i conti senza l’oste, cioè li avevano fatti giusti, dato che il flauto non andò mai a fare l’oste.
Invece rimase senza fiato tutto d’un tratto. Fu un momento fatale: vide tutto dissolversi e in un attimo si ritrovò nell’OLTRETROMBA.
Nell’oltretromba, oltre alla tromba, c’erano un clavicembalo e un paio di maracas del Portorico.
Cercò subito la complicità dei suoi compagni e mostrò tutta la sua decisione: “Per andarcene di qui, ci vuole un piano!”.
Il clavicembalo indicò un piano a coda, che si trovava su un forte poco distante, dove era arrivato piano piano (forse per via della coda). Il pianoforte salutò in Do maggiore, una nota molto grave che la maestra gli aveva dato per via di una sviolinata fatta a una tastiera. Il violino né era rimasto tanto contrariato che per il resto della lezione non aveva più preso appunti, ma solo cocenti disappunti.
Per inciso, per cuocere un disappunto, bisogna innanzitutto lavare col sapone l’espressione torva di chi lo prova, beninteso che se, dopo averlo provato, non gli piace, può benissimo lasciarlo lì. Con un po’ di mira lo lascia proprio a noi, che volevamo per l’appunto cuocerlo.
Per ancora più inciso, non so perché dovessimo cuocere il disappunto per l’appunto e non piuttosto, l’appunto per il disappunto, forse perché non eravamo disappuntiti e per questo si sarebbe dovuto temperarci. Per farlo prendemmo esempio dal clima: chi ha temperato la primavera, ci chiedemmo? Che si sia temperata da sola? Incuriositi, andammo dalla primavera a chiederglielo.
Per errore, prima della primavera, incappammo in una dopofalsa, che però era falsa. Dunque una falsa dopo falsa, ovvero una vera dopo vera, ben distinta da una vera dopo falsa, o moto falsa, che neanche si accende, o topo sfalsa, e a dirla tutta un topo che faceva lo sfalsario una volta l’ho conosciuto. Lo sfalsario, per capirci, è un tale (un topo in questo caso, ma magari anche in altri) dotato di un’enorme gomma, che cancella le banconote false fino a trasformarle in splendidi bloc notes.
Tornando al flauto, il cembalo (prima era un clavicembalo, ma ora aveva smarrito le clavi) gli spiegò delicatamente che non sentivano alcun bisogno di andarsene perché nell’oltretromba, oltre alla tromba, c’era tutta gente simpatica e si respirava un’atmosfera molto armonica: si trattava in effetti di una fisarmonica satellitare. Di preciso un’armonica a bocca, che quella volta però non abboccò e nondimeno (anche perché non so poi cosa avrei dovuto dimenare) tutti la respiravano lo stesso.
Il flauto capì e accettò di buon grado la nuova collocazione. Per sicurezza, tuttavia, rimase sempre un po’ in campana e, col tempo, divenne molto amica del batacchio.

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