mercoledì 18 aprile 2012

le trombe di Arturo


Questa è la storia delle trombe di Arturo, ed è una storia che dura un giorno solo. Quel giorno, difatti, Eustachio era ammalato: si era preso un raffreddore coi fiocchi per il cambio di stagione e per non lasciare il posto di lavoro sguarnito aveva chiesto a suo cugino Arturo di sostituirlo.
Questi aveva accettato di buon grado, solo che le trombe di Eustachio, che con Eustachio funzionavano benissimo, in mano ad Arturo non suonavano più.
Come sia possibile che le orecchie ci sentano meglio quando Eustachio è al suo posto che strombazza a destra e a manca, confesso che non l’ho mai capito.
Secondo me non l’aveva capito neanche Arturo che, ragionando in maniera più logica, anziché soffiare nelle trombe, aspirava con tutte le forze.
Forse per questo non suonavano, o perché avevano nostalgia del loro legittimo proprietario, o forse per semplice puntiglio. Fatto sta che la mattina seguente Giannino, che possedeva le orecchie in questione ed era uso ascoltare le trombe con grande attenzione, tirò un bel respiro di sollievo. 

martedì 17 aprile 2012

poi o prima


C’è un bel signore: Pierprimo Passalacqua,
che prima beve e dopo versa l’acqua.

L'avrà imparato dalla prozia Carlona,
che prima lava e dopo si insapona?

Un altro abita in zona Caracalla
e prima segna e poi tira la palla.

La stessa palla, un cugino che sta al mare,
la usa per giorni e poi la va a comprare.

Non solo: quello che qui vi è appena detto,
Pierino l’ha già imparato, ma mai letto.

lunedì 16 aprile 2012

la macchina che va a sorrisi


La macchina di Giovanni va a sorrisi.
Col sole impenna, col brutto tempo rallenta, ma se rallentando fa salire qualcuno che era in ritardo, subito riparte di gran carriera.
Come ruota di scorta, ha un volume di barzellette. Come crick, la polvere magica di Campanellino, che solleva in volo chiunque ha pensieri felici. 
Come se servisse la polvere di stelle per prendere il volo in seguito a un sorriso... Ma su su avanti, c’è l’arcobaleno e Giovanni già quasi non lo vedi più. Ora, ad esempio, è sopra una nuvola: la sua macchina non ha le ruote, ma un radar che cerca nell’arco di 10 milioni di miglia il modo di far sorridere il pilota, i passeggeri, gli autostoppisti, quelli con cui si parla al telefono, i passanti che si salutano e quelli che stanno a casa a dormire e che quindi non passano, ma si sa mai che passino, all’1 o alle 2.
La macchina di Giovanni qualche volta si ferma, come se finisse improvvisamente le batterie, ma mai c’è stata a memoria d'uomo una volta in cui non sia ripartita. 

tanto per intenderci


“Chi ha tende per intendere in tenda, gli altri nelle orecchie”.
Ma ecco che tra le orecchie ci fu una vera insurrezione. Erano così scontente della frase che, tre righe fa, non so chi aveva pronunciato, che iniziarono a tirarsi l’una con l’altra e a fare i capricci come i bambini piccoli.
"Andrebbe meglio se andassero nei nasi?", le interrogò il vocione fuori campo che aveva parlato anche all'inizio.
“Nei nasi, certamente!”, fecero quelle.
Ma pensate forse voi che una simile soluzione potesse andar bene? 
Difatti, tutti i nasi del circondario iniziarono a protestare con argomentazioni precise: ciò che entra da un orecchio esce spesso dall’altro, ma quel che entra nel naso, ci resta! E le teste dei rispettivi nasi non si sarebbero mai potute permettere di sopportare il peso di tanti sconosciuti.
La voce provò allora a chiedere alle labbra, ma queste gli apparvero subito tutte imbronciate.
Agli occhi, ma quelli potete figurarveli,  piangono già come matti per un solo bruscolino!
Fortunatamente, tutti (chissà poi chi erano) avevano delle tende, e per quella volta il pericolo fu scongiurato. 

il gatto delle Sabrine

AVVISO: attenti che questa si legge dopo quella prima e quella prima si legge prima di quella dopo, cioè questa.



Un giorno, nel paese delle Sabrine arrivò un gatto tutto intero, con i baffi, il pelo, quattro zampe e anche lui due occhi, che però erano occhi da gatto.
All’inizio si preoccuparono, poi continuarono a preoccuparsi. La ratta Sabrina, forse per la paura, si era defilata. Per trovarla, ci fu bisogno di chiamarla ad alta voce.
Ma prima fecero un bel discorso al gatto delle Sabrine, che li guardava con gli occhi da gatto gialli e blu: 
“In questo paese c’è posto solo per l’amicizia e, a chi non dovesse andare bene, spettano i lavori forzati!”
I lavori forzati, consistono nell’andare in giro con Sabrina tutto il giorno a salutare una per volta tutte, ma proprio tutte, le Sabrine del paese, rimanendoci insieme anche per giorni, mesi o anni, finché qualunque attrito non sia del tutto superato. In genere non ci vuole tanto, perché le Sabrine del paese delle Sabrine sono tutte affabili, simpatiche e devo dire anche belline.
In effetti era bellino anche il ratto delle Sabrine (che in realtà era una ratta), che saltò fuori da un cespuglio completamente rincuorata. Il gatto delle Sabrine, che in realtà era una gatta, abbracciò subito la ratta, mettendo fine a un’inimicizia decennale che forse si era inventato qualcuno che decisamente si sbagliava.
Questo abbraccio fu festeggiato per 55 settimane e alla gatta, per festeggiare ulteriormente, fu assegnato ad honorem il nome di Sabrina. 

il ratto delle Sabrine


Nel paese delle Sabrine, Sabrina filava la lana. Contemporaneamente, Sabrina giocava a palla contro il muro e Sabrina preparava la cena. Sabrina, invece,  salutava tutte le altre dal balcone, mentre prendeva il sole. Sabrina rispondeva subito al saluto, giocando coi riflessi del sole grazie al suo specchietto comprato in quella merceria che avevano aperto da poco, come si chiamava? Ah sì: Sabrina & Sabrina.
Un giorno, nel paese arrivò un ratto. Quelli troppo ferrati in storia, che magari pensavano a un rapimento, dovrebbero subito cambiare storia: questo ratto qui aveva gli occhi da ratto, le orecchie da ratto e persino l’intonazione di voce era quella tipica di un ratto.
Alle Sabrine all’inizio fece un po’ paura: quell’intonazione non l’avevano mai sentita, delle orecchie così, mai viste una volta e persino quegli occhi da ratto, erano qualcosa di decisamente nuovo.
Col tempo, però, fecero amicizia, il ratto imparò a lavarsi sotto il rubinetto e a non spaventare le sabrine sgattaiolando (meglio: srattaiolando) di colpo fuori dai buchi dei muri.
Si scoprì anzi, notizia sensazionale, che non si trattava di un ratto, ma di una ratta femmina! Per festeggiare, decisero di darle subito un nome. Ci pensarono 3 giorni, 2 notti, 8 tramonti, 2 lunghi meriggi e alla fine la chiamarono Sabrina. 

il maniglione antipatico


C’era una volta un maniglione ANTIPATICO. Poverino, lui voleva essere antipanico come tutti gli altri, invece era antipatico a tutti.
Una sera disse una preghiera: non voglio più essere antipatico!
Detto fatto! La mattina dopo era proprio simpatico: le maniglie lo salutavano sollevando il cappello e le chiavi giravano nelle toppe in segno di profonda stima, prima a destra e poi a sinistra (perché nessuno rimanesse chiuso fuori).
Ma purtroppo, non era ancora un maniglione antipanico. Non avendo specificato alcuna richiesta, era diventato un maniglione ANTIPRATICO:
per aprirlo bisognava bussare, fare una giravolta, dire al contrario le lettere dell’alfabeto, piangere, ridere (in entrambi i casi, di gioia), aspettare un passante, fargli una carezza e invitarlo a passare. A quel punto il maniglione scattava automaticamente e la porta si apriva con un sorrisone. L’operazione metteva parecchio buonumore a chi passasse, ma in effetti avrebbe potuto creare qualche complicazione in caso di incendio.
Il maniglione iniziò a pensarci sempre più spesso. Un giorno poi, il fuoco divampò davvero e la gente arrivò correndo davanti a lui, bussava con le lacrime agli occhi per la paura ed il fumo.
Ma il nostro eroe, così colto alla sprovvista, non aveva idea di come fare ad aprirsi! Trattenne il respiro, ma niente, provò a saltare, ma non si mosse di un millimetro. Si concentrò, urlò aprì gli occhi, li chiuse. Niente. Infine scese una lacrima anche a lui.
Non era una lacrima qualunque: era una lacrima di OLIO zecchino, che nasceva dal desiderio sincero di salvare quei poverini. Mica per essere simpatico, o pratico e in fondo neanche antipanico, ma perché gli voleva bene, e teneva tanto alle loro vite. 
Già una goccia di quell'olio, per chi non lo sapesse, sarebbe bastata a far scattare all'unisono tutte le serrature del palazzo. Ma quella lacrima, ragazzi, fece aprire la porta, accompagnò in salvo i presenti, richiuse la porta arginando il fuoco e infine spense l’incendio dalla prima all'ultima fiammella.