domenica 15 aprile 2012

il pilota automagico


Mentre guido un po’ stanchino,
per le strade di Pechino,
mi verrebbe assai pratico
un pilota automatico.

Ma automatico manca,
guida troppo e si stanca.
Se non è troppo tragico,
ne ho qui uno AUTOMAGICO.

Inserisco il contante,
premo a fondo il pulsante,
che comincia a pulsare
verso un viaggio stellare.

Così mentre è buio pesto,
e il cuscino mi riassesto,
son finito su Plutone,
dentro un campo di pallone.

Son finito poi su Marte
recitando la mia parte
di terrestre un po' bizzarro
sotto il fitto del tabarro.

Il tabarro è sì piaciuto,
ma per via di uno starnuto,
storce il naso anche il marziano,
ma ormai sono già su Urano.

Certo il tempo qui è migliore,
ci son mille ed un colore,
cento stelle che si chiamano,
vedi bene che si amano.

Tendo la mano per salutare,
ma è già cambiato sistema solare!
In un pianeta con sette soli,
quattordicimila girasoli

salutano l’alba, poi l’alba, poi l’alba,
e neanche una che sembri scialba.
Certo i colori sono un po’ strani,
son gialli i fiumi e verdine le mani.

Sciacquo le mani con grande attenzione,
e son sulla Terra, alla stazione.
Mi aspetta il treno: Pechino-Vercelli,
mi si apriranno tutti i cancelli!

Faccio per scendere e sono esitante,
mi fermo a guardare il bel pulsante,
e sì che a schiacciarlo non serve moneta,
ma chiudere gli occhi e cambiare pianeta. 

sabato 14 aprile 2012

la strada vecchia


Chi lascia la vecchia strada per la nuova, 
sa quello che lascia ma non sa quello che trova!

Borbottò un borbottone nato e cresciuto a Borbottiamo Milanese.

A voi sta bene? 
Ecco appunto, proviamo così: 

Chi lascia la vecchia strada per la nuova, 
potrebbe inciampare in un cesto di uova

«Non mi pare che miglioriamo!»
Dammi tempo!

Le uova, perdinci, erano tutte d’oro,
spesso si inciampa in un grande tesoro!

Benissimo! 
Il brontolone lo abbiamo sistemato, ma abbiamo qui il signor Tommaso Dinci che reclama le sue uova. (e allora io cosa ci sono inciampato a fare? E sì che ne avevo già data una in acconto per comprarmi il motorino). 
Va bene va bene, rifacciamo. Signor Dinci si sieda lì e stia buono. Anzi, ascolti: 

Chi lascia la vecchia nuova per la strada, 
lascia il tempo che trova ma non trova quel che sa.

Ma la signora Rosalina, nonna di Giuseppe e Gualtiero, che nessuno ha mai visto ne conosciuto prima e che pertanto è una Vecchia Nuova a tutti gli effetti, obietta sul fatto che non la si può lasciare in strada: soffre di reumatismi, inoltre deve filare a casa a preparare la merenda.

Figuriamoci! Che ne dici di questa?

Chi lascia la strada nuova per la vecchia,
può perdere saltando questa orecchia,
sia mai che ne ritrovi un’altra uguale,
e gliela porga quel furbo di Pasquale.

Niente da fare neanche questa volta: Pasquale, per quanto furbo, è Pasquale solo a Pasqua. A Natale è Natale e per il resto dell’anno cambia tanti nomi quante stelle nel cielo. 

Inizia a finire lo spazio. Quante pagine ci avevano dato? Due? Un signore un po’ sbrigativo, che avevo incontrato un giorno non so dove, potrebbe anche dire che:

Chi lascia la vecchia strada per la nuova,
forse sarebbe meglio che si muova!
La vecchia è solcata da somari,
che muovon mille passi sempre uguali!

Un tantino brusco, in effetti. 
Alla fin fine, un mio amico veramente paziente, mi ha fatto scrivere così:

Alla strada vecchia, per dove mi ha portato,
non posso che rimanere grato,
ma chi ne prende una nuova o anche un sentiero,
riscopre da capo il mondo intero. 

giovedì 12 aprile 2012

il mar Antonio


“Se una biglia più mezza biglia fa una triglia, quante mezze biglie ci vogliono per popolare il mar Morto?”
Antonino si pone la domanda con sincera compassione.
Sulla disgrazia del povero mar Morto, c’è chi dice che sia trattato di cause naturali, altri sono invece certi che non sia stata altro che una pungente nostalgia: senza un pesce neanche a pescarlo, il povero mare si trovò mano a mano sempre meno ridente, e a poco valsero il tam tam dell’Oceano Indiano o i discorsi di fratellanza del suo compagno Pacifico. Il suo spirito di acqua cristallina aveva così finito per allontanarsi per cercare compagnia, lasciando a quelle acque l’appellativo di mar Morto.
Il piccolo Antonio, tuttavia, ha quasi finito di segare le sue biglie di legno, siede sulla riva e pregusta il momento in cui lancerà in acqua il sacchetto intero per chetare la solitudine di tutto il mare.

Per sapere com’è finita la storia, provate un po’ a mettervi nei panni del mar Morto: non sareste forse tornati di corsa, portando con voi un bel nome nuovo?
Ad esempio: Mar Giulivo, Mar Grato, Mar Tedì, Mar Imango (per questa volta), o anche mar Triglio.
L’interessato, invece, decise di chiamarsi mar Antonio.

mercoledì 11 aprile 2012

di parole in mondi


Conoscevo un bambino che gridava sempre “ioooooooo” e un giorno, una simpaticissima tempesta di vento gli separò tutte le O l’una dall’altra (così: o o o o o o o o o o  o  o  o  o  o)
In quel momento si accorse che tutte le O del suo "io" non erano che meravigliose bolle di sapone:
alcune riflettevano il cielo, altre il prato sotto i piedi di Luca, altre gli occhi dolci dei bambini che le guardano. Ma erano tutte bolle di sapone, e lo salutavano partendo alla volta del mare. 
Ormai che le bolle erano volate via, il bimbo si fermò a guardare la i, interrogandosi sugli inspiegabili equilibri che mantenevano il puntino sospeso nel nulla.
Forse con l’idea di riacciuffare qualcuna delle sue O prima che scoppiasse in una risata di bollicine, si lanciò subito in aria volando anche lui verso il mare, poi verso il cielo, poi verso il mare e il cielo insieme.
Incontrò una L, e si accorse che da qualunque parte la girasse, c’era sempre un comodo schienale a cui appoggiarsi. Ci si appoggiò, ma per poco (stava proprio inseguendo le O, che ora filavano come missili). Si pettinò con una F perché il vento gli aveva scompigliato i capelli, poi si scompigliò i capelli perché, senza che se ne accorgesse, la F glieli aveva tutti pettinati.
Incontrò anche un'altra O, così maiuscola che sembrava grande come tutto il mondo; poi una M, e, ora che la guardava bene, capì subito che le montagne non iniziano per M, ma sono delle M tutte intere. La M poi è la montagna perfetta, perché sono due montagne diverse che si guardano in faccia.

Vi è mai capitato di trovarvi in cima ad un monte, un vostro amico sul monte vicino e farvi i segnali con lo specchio? Se vi è piaciuto, pensate che le montagne della M lo possono fare sempre e senza bisogno di specchi, con tutti i sassi che hanno e tutto il sole che ci batte addosso. 

In ogni caso, il nostro eroe ha appena scoperto, da quanto è arrivato in alto, l’umanità intera in uno sguardo solo:
a vederla da qui non si distinguono i bronci, gli sgambetti e le note sul registro e vien
pr o o o o o (altre bolle di sapone) o o o prio voglia di abbracciare tutti, come se fosse lui stesso un raggio di sole.
Certo, qualcuno obietterà con i soliti MA:

MA dove sono finite le tue O? Se perdi tempo non le avrai più indietro.

MA perché ora che sei così in alto non passi il tempo a far le capriole e gli altri li lasci perdere?

MA ti ricordi o no di quando Luisotto ti ha rubato la merenda e ti ha anche accusato di essertela rubata da solo?

Ma il segreto che il bambino magico, quello che ha perso tutte le O in uno sciame di bolle di sapone, vede bene da qui sopra è che la nostra piccola
UMANITA’,
tolti tutti questi
MA
(che, non a caso, pesano come montagne)
altro non è che una sola, magnifica
UNITA’.

Immaginatevi una bolla di sapone, una sola ma che è tutto il mondo, e il sole ci passa attraverso brillando con tutti i colori dell’arcobaleno.

amici per l'Apelle


Apollo, padre di Apelle,
si divertiva a guardare le stelle.
E tutte le stelle stavano in aria
a guadare la faccia di Apollo,
padre di Apelle, con le stampelle.

Difatti, guardando le stelle al posto della strada, era caduto e si era storto una caviglia. 

Apelle, figlio di Apollo,
stava a Rapallo a parlare col gallo,
che era un po’ rosso,
ma anche un po’ giallo.

Non era verde, perché non conosceva l’invidia. Però conosceva Rosa e Giordano, e insieme a loro amava stare sul prato. Però non era verde lo stesso.

Apelle, simpatico a pelle,
e Apollo, vestito da pollo,
andarono in palla cercando una falla
nella nave-stalla dalle vele a farfalla
dove il saggio Noè, sorseggiava il suo tè.

Dico io, è mai possibile sorseggiare un tè mentre una nave con tutti gli animali del mondo rischia di andare a fondo?
Ma la falla mica c'era, erano gli altri che la cercavano per scherzo!
E difatti:

rideva Apollo piegando il collo,
rideva Apelle, ma a crepapelle
sghignazza Noè che sembrano tre
e ride anche il gallo, però a pappagallo.

Un mio amico, reduce da un lungo viaggio in un paese esotico, sostiene di aver visto un pappagallo che rideva a gallo e che non sia stato un bello spettacolo. Fortuna che a nessuno dei quattro è venuto in mente durante la filastrocca, e così hanno continuato a ridere a lungo anche dopo la fine.



martedì 10 aprile 2012

l'armamentario


Ho uno spezzato a righe, ma mi si sono spezzate le righe.
Mi chino a raccogliere i cocci, vedo un maresciallo in seconda (doveva essere in terza, ma l’hanno bocciato). Grida: “rompete le righe!”
“Sono già rotte!”
Gli risponde l’esercito intero guardando con simpatia i miei pantaloni.
“Allora scioglietele!” fa quello, ma gli altri restano compatti.
Le righe che dice lui, le hanno già sciolte da tempo, insieme ai cannoni, alle pistole e ai fucili.
Era rimasta giusto qualche lancia, ma l’hanno spezzata a favore a volte di Marco, altre di Luca, operai della fonderia dove è finito tutto l'armamentario. E dato che l’ARMAMENTARIO, forse per via del buonumore generale, sapeva ben più di MENTA che di ARMA, ci fecero una serie interminabile di confetti: alla menta, ovviamente, ma anche all'arcobaleno, alle risate, al vento le volte che soffia divertito e quelle in cui resta impigliato nei capelli. Nei capelli di tutti, persino quelli un po’ imbronciati dei marescialli a cui nessuno ha obbedito.

mercoledì 4 aprile 2012

una storia per sommi capi


PRIMO CAPOVERSO
Una volta, il capo di Luigi, pensò di scrivere un magnifico verso su un foglio. A lui pareva quasi uguale a uno di Montale, ma a Luigi sembrava piuttosto il verso del maiale (oink) o di un gatto col mal di stomaco (miahi!).

IL GRATTACAPO
Non era la prima volta che succedeva, e Luigi non ce la faceva più a sopportare tanti versi in ufficio: a lui serviva concentrazione per finire le pratiche entro sera. Ecco un bel grattacapo, direte voi. Ma grattare il capo, non aiutò per niente.
Al capo, che non aveva alcun prurito, una grattata così, su due piedi, parve piuttosto scortese.  
Si diede quindi a scrivere i primi versi di un’altra importante poesia in sette strofe. Tema: la scortesia.

IL ROMPICAPO
Luigi, che dovette leggerla tutta, non fece in tempo a sbrigare le pratiche prima di sera. Al capo non interessava molto, intento com’era a declamare la sua splendida (diceva lui) poesia per telefono ad un importante fornitore, ma a Luigi dispiacque proprio. Iniziò così a inventare un terribile rompicapo, ma il capo, anziché rompersi, lo risolse subito e per festeggiare, compose una poesia in otto ottave sulla propria intelligenza.

Il CAPOSTIPITE
Al colmo dell’esasperazione, Luigi dichiarò che avrebbe preferito essere dipendente del quadro sul muro, o della maniglia della porta, o persino degli stipiti. Ma lo stipite, gentilmente, declinò l’invito e lo mise alla porta.
Dietro la porta c’era il capo, che aveva scritto un attimo prima un poema in due atti: uno era scrivere, l’altro cantare. Inutile dire che, alle povere orecchie di Luigi, parve un canto terribilmente stonato.  

PUNTO A CAPO
Mentre il capo cantava, infatti, si punse con il fermacarte, con cui stava fermando alcune carte. Cercando di far sentire il capo almeno un po’ in colpa, gli mostrò il punto in cui si era punto, ma il capo, neanche se ne accorse.
Scrisse invece un lamento in trentatrè trentine, e tutte e trentatrè si lamentavano tremendamente.

CAPOLINEA
Così Luigi, poco prima di iniziare a piangere, tirò una linea per separarlo per sempre dal capo. Si accorse però che, mentre il suo poetante superiore rimaneva lì accanto, la linea gli aveva appena separato la testa dalle spalle. Inutile dire che la cancellò in men che non si dica. E che bello spavento!

A quanti di voi è capitato di tirare una linea per separarsi da un insopportabile poeta silvestre e ritrovarsi a dover cercare sul soffitto la propria mano, o il naso, un ginocchio destro e magari persino un pezzetto del proprio magnifico cuore?

Su questa riflessione, il capo ci scrisse un poemetto in due etti. Fu una bella lavorata, ma quello – persino Luigi dovette ammetterlo – fu veramente un CAPOLAVORO.