martedì 29 gennaio 2013

Il naso di raso


Avevo un naso verde,
ma del color del raso,
se sbucan dei peletti,
io subito li raso.

Hai reso rosa il raso,
e dopo me l’hai reso,
così col naso rosa,
insù mi son proteso.

Ma tanto mi protesi,
che fu protesi all’anca,
di giorno ho i panni stesi
ne cerco uno che manca:

un panno color panna,
la forma di una pinna,
ci scrissi sopra a penna,
la firma di zia Anna.

Così ho un capo firmato,
tra fronte e cervelletto,
di raso come il naso,
però color confetto.

lunedì 28 gennaio 2013

Lo scaccianoci


C’era una volta uno schiaccianoci che, anziché schiacciare le noci, le scacciava. Un bel problema, perché dopo averle scacciate non poteva più schiacciarne neanche una, con grande fame, per conseguenza, dei pargoletti golosi di casa Andersen (così si chiamava la magione dove abitava lo scorbutico schiaccianoci).
La storia si complicò quando arrivò un caccianoci, che non era un cacciatore di noci, ma uno che infilava le noci in tutti gli angoli. Un passatempo alquanto nocivo, infatti si sa bene, e sa bene la brava massaia di casa Andersen, che gli angoli sono i più difficili da pulire.
Tornò quindi in scena il nostro eroe che, per quanto di indole un po’ dura, aveva simpatia per la povera signora di casa Andersen. Lo schiaccianoci, che ormai si poteva chiamare a pieno titolo scaccianoci, si portò balzellonando all’angolo della stanza con l’idea di scacciare una noce e lasciare il pavimento bello pulito. Scoprì però con sorpresa che, essendo stata messa all’angolo, la noce non riusciva a scappare.
A questo punto tirò un sospiro e decise una volta per tutte di ritornare a fare il suo mestiere, schiacciando non solo noci, ma anche noccioline, arachidi e a volte anche qualche dito dei golosi bambini di casa Andersen.

La minestra


Ho cucinato una minestra alla zucca, ma la zucca non la voleva, per cui è saltata dalla finestra atterrando sulla zucca di Adelmo, che ha in testa un elmo. Un elmo a forma di colle. Un elmo colle. Dal peso di quell’elmo, Adelmo stava “felmo”, che non è proprio “fermo”, ma è fermo per un elmo. Come un elmo concepisca la fermezza, non glielo si può chiedere, ma si può imparare appoggiandolo e standolo a guardare. Per ingannare la noia, si può sottoporle uno scioglilingua, ma non è detto che la noia ci caschi, come non è detto che la lingua si sciolga, come non è detto che l’elmo stia fermo, o felmo, o Adelmo passi oppure vada via. In particolare, Adelmo non è passato, non è andato via, non ha capito un cavolo ma con quel cavolo, anche se Adelmo non l'ha capito, si è arricchita la minestra dandole un saporino niente male, come ci conferma la zucca con un sorriso soddisfatto. 

Il clavicembalo


“La verità è che non sono per niente organizzato” disse il clavicembalo all’organo.
Ma l’organo era un polmone, anzi due (c’era il due per uno: due) e entrambi i polmoni, o tutto l’organo, gli risposero:
“Caro cembalo, per chiarirti le idee, dovresti diventare un claricembalo, ma un claricembalo molto pulito – noi polmoni (o io organo, a piacere) siamo molto precisi con l’igiene – e quindi un clarinetto.
Ma il clavicembalo non voleva diventare un clarinetto. Dopo lunga discussione, trovarono comunque un accordo: un re minore. Fortunatamente, il re accettò melodiosamente di essere minore: poiché gli era invisa la divisa, non avrebbe mai sopportato di essere maggiore, né generale, né specifico.
E in re minore (e profondamente pacifista), si intonò una magnifica strofa:
primo esecutore: il clavicembalo.
Secondo esecutore: l’organo.
Ma poiché l’organo era un polmone, anzi due, si intonò un canto a pieni polmoni, che faceva così:

Non sarò proprio perfetto,
e non sono clarinetto,
se son disorganizzato,
prenderò il sole sul prato
e il calor mi aiuterà,
trallallero trallallà.

Seguono applausi, strette di mano, il saluto commosso della mamma, gesti di solidarietà da tutti gli strumenti, ma proprio tutti, persino i cacciaviti e le pinze (questi ultimi, che suonano una musica diversa ma altrettanto nobile: quella del costruire).  

Il cormorano


Sulla strada x Cormano,
incontrai un cormorano,

proseguivo contromano
(se non altro andavo piano)

e il volatile mi disse:
"contromano cerchi risse

 o ti basta un incidente
 e il trapianto di un tuo dente?"

Gli risposi con un canto:
"se é già mio, cosa trapianto?

Io non cerco rissa alcuna,
ma quel dosso è più una duna,

io non cerco alcuna rissa,
però, lei, cos'è che fissa?"

È così che il cormorano
dalla strada per Cormano,

prese quella dello zoo
e si volatilizzò.

venerdì 25 gennaio 2013

La mucchite



Per ogni mucca che bruca c’è un bruco che mucca. Non solo: quel bruco ha la mucchite, malattia che viene indistintamente a tutti i bruchi che muccano. Nessuna mucca, invece, ha mai preso una bruchite nonostante bruchi a più non posso e se più non posso io, magari lei bruca ancora e anche molto, alla fine che ne sappiamo? E poi io che c’entro?
È quel che dice anche il bruco:
“Scusa che c’entri tu?” si lamenta, “Sono io che ho la mucchite! Chiamate un dottore, per dinci!”
“Signor bruco”, gli faccio notare con pazienza, “così si da la zappa sui piedi! Se lo il dottore lo chiamiamo per Dinci, nessuno curerà più lei!”
Ma il bruco ha ben altri problemi: si è dato la zappa sui piedi senza avere i piedi, e questo gli sembra ancora peggio della mucchite!
“Fossi stato almeno un millepiedi...” sospira il bruco.
“Fossi stato un millebruchi...” sospira il piede.
“Fossi stato un millezappe...”, sospira il millepiedi “avrei dissodato i campi da qui alla Pennsylvania, senza dimenticare le spiagge e i fondali.”
Nella terra dissodata si sarebbe poi seminato con cura, dalla cura mille piante verdi sarebbero nate, dalla loro nascita un sorriso per la terra e dalla terra dei bruchi il volo di mille farfalle. 

La sciarpa


Una volta, una suonatrice di arpa molto infreddolita, appoggiò la sua arpa su un paio di sci. Ed ecco che apparve una sciarpa che la metà bastava! Poiché la metà bastava, regalò l'altra metà ad un altro signore infreddolito. Questo signore, tuttavia, era un po' meno infreddolito della suonatrice di arpa e regalò metà della sua sciarpa a una signorina che coglieva, proprio in quel momento, un bel fiore arancione. Teresa, così si chiamava quest'ultima, non aveva proprio freddo, ma tenne metà sciarpa per simpatia e ne regalò metà al suo nipotino, che ne regalò un pezzo ad ogni suo amico della scuola materna. Ognuno di questi bambini, tornato a casa, divise il proprio dono in due parti e diede quella più grande alla mamma. Le mamme sorridevano intenerite e non sappiamo cosa fecero di quei minuscoli pezzi di sciarpa: di sicuro, piccoli com'erano, non potevano molto contro il vento dell'inverno, in compenso scaldavano il fondo del cuore.