martedì 13 marzo 2012

il nonnostante


Un volta, mentre contraddicevo garbatamente un tizio incontrato per strada, mi uscì per sbaglio, invece che un nonostante, un NONNOSTANTE.
Di preciso mi uscì dalla borsa, dove faceva troppo caldo. Uscì con la sua barba bianca color delle perle del mare. Era un NONNO magnifico. Essendo però uscito, non poteva più chiamarsi NONNO-STANTE. Si sarebbe dovuto chiamare, che so, Nonnuscito, o NONNANDANTE. E infatti andava che era un piacere: con uno zaino sulle spalle si era deciso a girare il mondo, e partì sotto i miei occhi con un sorriso cordiale da cercare sotto la barba. Era finito, per lui, il tempo della tracolla in attesa di improbabili errori di dizione!
Mentre si allontanava, diverse volte cercarono di ostacolarlo; poco prima della decima, di fronte al NONO OSTANTE, con un sol colpo il nonno ne fece una parola unica e me la restituì per il corretto inserimento nella frase.
Quella frase, però, l’avevo dimenticata da tempo. 
Chi di voi se la ricordi, anche se ha una dizione perfetta, dovrebbe ripeterla sbagliata: un nonno potrebbe sonnecchiare in una tasca e, ora che è quasi primavera, è arrivato il momento di liberarlo. 

venerdì 9 marzo 2012

il pelato immaginario


C’era una volta, tra capo e collo,
un uomo alto come un francobollo.
Forse per la sua altezza non distinta,
forse perché la giacca si era stinta,

si disse con un discorso proprio bello,
di non avere più neanche un capello.
Peccato che gli abitasse sulla testa,
un bosco intero e tutta una foresta!

Gli animali, con grande convinzione,
fecero coi capelli un minestrone,
convinti che una nuotata sopra un cranio
valesse più di un vaso di geranio.

Geranio era anche il nome di un bambino,
all'apparenza un poco birichino:
prese l’omino dalla parte giusta,
lo leccò e lo mise su una busta. 

mercoledì 7 marzo 2012

la maglia di Battipaglia


C’era un ragazzo di Battipaglia,
prediligeva il lavoro a maglia,
ma poiché presto arrivò l’estate,
con quella maglia, sai che sudate?

A volte contava fino a otto,
e in un torrone di panbiscotto,
rideva forte, come chi sbaglia
ma quantomeno ha tolto la maglia.

Venne l’estate, l’inverno e un pollo,
gli consigliò di allungarsi il collo,
una giraffa ne aveva troppo
perché lo allungava con lo sciroppo.

Ora che ha un collo di sette piani
non può coprirselo con le mani,
ma ha utilizzato una calzamaglia
quel ragazzotto di Battipaglia.

martedì 6 marzo 2012

un pensiero per volare


Ci siamo trovati pochi giorni fa, io e un gruppo di amici. Erano amici d’oro, che brillavano come la luce del giorno. Uno di loro, tuttavia, era un po’ cupo. Aveva un problema, e in questo problema ci si era impigliato in modo tale, che a risolverlo non ci riusciva.
Così ci siamo messi tutti d’impegno, e abbiamo cercato nel giardino dei nostri ricordi, sfogliando i petali di ogni fiore a caccia dei ricordi felici. L’idea era che, un petalo dopo l’altro, il problema si sarebbe visto da lontano e facilmente risolto.
Di ricordi felici, gliene abbiamo regalato uno ciascuno.
Vi dico il mio:
c’è un bimbo che ha due anni e mezzo precisi, una montagna di riccioli e due occhi che scintillano come la punta dell’arcobaleno.
Uno dei suoi giochi preferiti inizia prendendo la ricorsa e correndo per tutto il corridoio; in fondo al corridoio ci sono io, che siedo per terra a gambe incrociate spalancando le braccia. La corsa finisce con una risata matta, mentre lo abbraccio forte. A volte fingo di cadere all’indietro per il contraccolpo, così ride ancora di più; ma questo capita solo qualche volta.
Il gioco dura all’infinito, o finché non mi fanno male le ginocchia.
Quel piccolino ha a disposizione tutta la gioia del mondo, e la cede per un abbraccio che a te sembra minuscolo, ma forse a lui gigantesco.

Una storia bellissima, penserebbero i più gentili. Ma ora vi dico un segreto che dovete promettere di dire a tutti: questa storia non l’ho inventata, la vita è davvero così. 

lunedì 5 marzo 2012

non c'è due senza treno


Non c’è due senza treno. Ma ora che c’è il treno, e che c’è il due, mi chiedo dove sia l’uno su cui appoggiare sia il due che il treno. Perché fosse per il due, dico io, ce la si potrebbe anche fare, ma un due con un treno sulla capoccia, prova tu a sostenerlo. La situazione si aggrava perché il treno è in orario, e non sappiamo dire se un treno in orario pesi di più o di meno di uno in ritardo. Secondo alcuni di più, perché è proprio il peso a conferire quella serietà che impedisce il ritardo, ma secondo altri non pesa niente, perché pesa meno dei ritardi  che non sono poi così pesanti  e se li mangia in un sol boccone.
Nella corsa tra il treno e il ritardo, entrambi con una buffa pettorina, vinse la tartaruga, quella che andava piano, sano e lontano mentre la lepre dormiva sotto l’albero. Non si sarà svegliata per il fischio del treno? E quel treno, sarà stato in orario o in ritardo? E in entrambi i casi, sarà poggiato su un 2 o su un 17?
L’unico modo per scoprirlo, è interrogare il lettore. Lettore?
Lettore?
Che fai lì? Parla, diccelo tu! Tu lo sai, e se non sai di saperlo, conta fino a tre con le dita e dimmi se non ti trovi tra le mani almeno un vagone. 

bisunto e trisunto


Unto, bisunto e trisunto.
Ma trisunto che vuol dire? Unto come tre, oppure unto anche come due più uno. Ma attenzione: Marietta ha confuso un trisunto con un riassunto, e la maestra si è ritrovata con le mani così sporche che per poco non sveniva.
Come si fa a svenire? È come venire, ma al contrario. Quindi bisogna andare via?
Dipende se eri stanco di star lì. La maestra, ad esempio, si sarà sentita stanca?
Ho sentito anche sostenere, o forse era scritto sul riassunto che è tutt’ora in bella mostra sotto il banco di Marietta, che il termine stanca sia nato proprio come le montagne, da un grande scontro tra due zolle di terra. Le zolle in questo caso si chiamavano STORTA e ANCA, per questa ragione la maestra quando è stanca sembra anche che zoppichi un po’. Zoppicava andando via, cioè svenendo, per un riassunto bisunto che le ha dato un sussulto. “Su, su!” le dice il bidello, “c’è una lezione da finire qui, lo sa? Guardi la classe come la guarda.”
E la classe la guardava come se questa giostra di parole fosse la cosa più naturale del mondo. 

il teletrasporco


Un giorno il pluridecorato inventore Archigorico Pitamede, si ingegnò notte e giorno per inventare il teletrasporto.
Non gli venne certo in mente, nel momento in cui montava l’ultima vite che lo separava dal successo, di non essersi lavato le mani quantomeno dalla mattina precedente.
Il risultato fu che, senza quasi accorgersene, inventò il TELETRASPORCO, una trovata che avrebbe potuto anche rivoluzionare la storia dei trasporti del mondo, MA:
durante il giro primo giro di prova, Gigetto Gigetti, che si era fatto teletrasporcare dal bagno alla cucina per la cena, arrivò con le mani così nere che la mamma gli diede una strigliata che se la ricorda ancora.
Nel secondo caso, Gigliola Alogigli, una bambina che era sempre stata bionda come il sole, arrivò a scuola con una particolare sfumatura biondo cenere. La particolarità era che se le davi una pacca sulla testa, un tremendo sbuffo nero si diffondeva per tutta la classe facendo tossire la maestra.
Non solo: il papà di Peppino, che faceva l’astronauta, fece il suo primo viaggio interstellare in meno di un istante ma, all’arrivo su Marte, la sua tuta sembrava un puzzle di macchie di pomodoro, così che i marziani si precipitarono a cercargli del sapone (che su Marte non esiste), rinviando per chissà quanto l’occasione di una bella chiacchierata.
Forse per questa ragione, forse per altre,  il teletrasporco se ne è volato via. Nelle notti di luna piena, se vedete la luna diventare di colpo mezza, o addirittura sparire, potete immaginare che si tratti del teletrasporco, che atterra tra enormi nuvole grigie per riposarsi un attimo mentre cerca qua e là tra le stelle un popolo meno fissato con l’igiene. Che io sappia, non l’ha ancora trovato.