giovedì 9 febbraio 2012

il non diminutivo


Signori,
dopo ore, mesi e settimane,
l’Accademia degli errori, preventivamente consultati l’iperprofessor Fanfaronio Cilecca, il dottor Giorniglione Riposalba e il decantropo Pirillero Bugiardi e ciononostante nella certezza di sbagliare esclusivamente con grande simpatia, desidera portare alla vostra attenzione la forma non diminutiva della parola “donzella”, che riteniamo essere univocamente:

DONZA.

Da cui:
Cosa ti donza in pentola?

Piuttosto robusta quella donza, non trovi? Però ha un bel sorriso!

Un gionzo chiusi una donza in una stonza, ma dopo mi sentii molto in conza.

La donzelletta vien dalla campagna, dove la donza si era presa una sbronza.

Mi concede l’onore di questa donza?

Ma ora basta vi prego, perché le donze, forse per via del diminutivo del quale si sentono derubate, sono molto permalose. 

mercoledì 8 febbraio 2012

tavolarmente parlando


Un giorno Gualtiero decise di posare le posate sul suo tavolo preferito.
Poiché erano posate molto posate, ebbe timore di chiedere loro se fossero sposate, e quindi potessero sentirsi in qualche modo in pericolo rimanendo sole sul tavolino, alla mercé di mestoli, taglieri e cavatappi di dubbia provenienza.
Le posate, che erano sì posate ma non molto riposate, si limitarono a chiedere a Gualtiero un astuccio di velluto in cui potessero fare un bel sonno durante il tempo della loro separazione.
Gualtiero, e il come poi non lo so, rispose sia sì che no. 

immaginazione culinaria parte seconda: la dieta


Adelmo chiese una torta, ma una torta era troppa.
Era a dieta e, avendola davanti tutta intera, l’avrebbe certamente finita.
Così chiese una pezzo di una fetta,
ma pareva ancora troppo, troppo troppo.
Allora chiese una parte di un pezzo della fetta di torta.
Ancora non c’eravamo.  
Così fu divisa la parte del pezzo della fetta in quattro fette, ogni sottofetta in sette spicchi, ogni spicchio in 5 acini, ogni acino in 5 nuvolette rosa.
Da queste, si poteva grossomodo immaginare il sapore. E Adelmo lo immaginò buonissimo.  

lunedì 6 febbraio 2012

ora di colazione


C’è una torta gialla a fette
e ogni fetta fa per sette:
quattro fette le han mangiate
i cugini di Segrate,
otto fette divorate
le prozie delle cognate.
Una fetta per metà,
va a chi ridere non sa.
Quattro fette e un rosmarino
al compare di Zio pino:
la piantina fa buon pro,
ma per cosa non lo so.
Se ogni fetta riempie il cuore
certo cura il raffreddore,
non tralascia il mal di pancia
che decolla dalla plancia,
non tralascia il gorgonzola,
per la torta di zia viola,
che la vuole un po’ salata
e che sappia di frittata.
Questa torta è gialla e strana,
chi la mangia torna rana,
perché il principe la aspetti
e la baci tra i confetti,
i confetti sono tanti
che non saprei dire quanti,
sono cento ad ogni fetta,
che si gusta in bicicletta,
che si gusta su un trenino,
prima a sera e poi a mattino!


Per chi avesse già mangiato, è possibile immaginare il sapore della torta. Se lo immaginate sbagliato, riprovate finché non sentite il giallo sul palato. 



domenica 5 febbraio 2012

la nascita della calvizie


Un giorno, un signore che spaccava il capello in quattro, incontrò un signore che aveva un diavolo per capello.
Il primo, per niente impressionato, iniziò a tempo record la sua meticolosa opera di vivisezione: ogni capello venne spaccato in due e poi ancora in due. 
L'operazione coinvolse ovviamente tutti gli abitanti della chioma. A quei tempi nessuno aveva in mente che i diavoli per capello, che si alimentano già normalmente di litigi e divisioni, se tagliati a pezzettini, proliferano. 
Il secondo signore aveva esattamente 5 miliardi 127 milioni e 51 capelli: ne risultarono 20 miliardi 508 milioni e 204 diavoletti.
La confusione fu tale che per diminuire il rischio che si verificassero altri episodi simili, fu inventata la calvizie.
I bambini ne sono immuni, perché non si fanno tanti problemi come i grandi, mentre è noto che quando un adulto inizia a preoccuparsi troppo, i capelli cadono come se li portasse via il vento.  

Fu in questa occasione che nacque il detto “fare il diavolo a quattro”. 

venerdì 3 febbraio 2012

Il paese che dico io


Nel paese che dico io, l’occupazione funziona diversamente:
l’architetto non è costretto ad occuparsi di tutte le case, ma progetta solo gli archi e i tetti. Il resto delle case viene prodotto nei caseifici, che però il lunedì mattina sono chiusi (ricordatevelo, se decidete per una casa nuova nel fine settimana).
Per opere più colossali, come i ponti, si convocano schiere di pontefici.  
Ma non è tutto: ai carabinieri sono state tolte tutte le carabine e al loro posto sono stati dati dei fuochi d’artificio, per stupire i malviventi con la loro bellezza.
Tutto questo succede nel paese che dico io. E in quello che dite voi?

qualcuno ha trovato il mio venerdì?


Ho un amico colibrì
a cui manca un venerdì.

Lo ha cercato lì per lì,
tra Pasquetta e giovedì:
giovedì non l’ha trovato,
sul Natale è scivolato,

ha provato anche al mercato
dove forse era già stato...
Ma era il mercato del lunedì,
non lo poteva trovare lì!

Mentre cerca per davvero
Dentro il faggio e sotto il pero,
gli sentenzia un gufo saggio
come un etto di formaggio:


“Tu che voli con più amore
del più docile ascensore,
vai cercando un altro giorno,
ma non te ne fai un corno!

Te lo dico in confidenza,
a Parigi ho una credenza
su cui poggia un colibrì
che ha diciotto venerdì.

Non ti dico no se è sì,
ma dal peso di quei dì
che gli poggian sulle spalle
corre sempre verso valle:

la salita non può farla,
di volar non se ne parla
e se dico non commento
non mi par così contento!”

Così ha smesso il colibrì
di cercare il venerdì,
ma è partito per la Francia,
saltellando sulla pancia:

porta un carro elevatore,
per lenire il gran dolore
di quell’altro colibrì
che ha un po' troppi venerdì.