giovedì 7 febbraio 2013

Il poeta silvestre

C'era una volta un poeta silvestre, che va molto distinto dal poeta Silvestro, che va molto d'istinto nel senso che è istintivo. Il poeta Silvestro, del poeta silvestre ne ha sentito parlare ma non gliene importa poi molto, dato che lui sta in città. Ma dato che è istintivo, gli ha spedito due lettere molto distinte, nel senso che una è una A, l'altra invece una F. Con la F il poeta silvestre ci ha arato un campo, divenendo così un poeta agreste, ma poiché era un campo visivo dovette recarsi da un ottico per smettere di vedere tutto a righe. L'ottico, però, per una fortunata coincidenza era un fiorista e dopo la seduta il poeta silvestre vide finalmente tutto rose e fiori. La sua poesia ne guadagnò moltissimo, perché diventò viva come è viva la vera bellezza. Per ringraziare il poeta Silvestro, rispose alla sua lettera dichiarando che la A ricevuta era era la A di amico, la F quella di Fratello e che tra campagna e città non c'è nessuna differenza se solo c'è in comune un po' di poesia.

mercoledì 6 febbraio 2013

Filastrocca gialla gialla


Filastrocca tutta gialla,
per chi corre gambe in spalla,
vede il sole e i raggi gialli,
guarda il cielo e pesta i calli,

sono amici delle calle,
(ovviamente calle gialle).
Giallo giallo e profumato,
è lo scialle che ho comprato,

l’ho pagato in oro giallo,
giallo ride e canta il gallo,
canta forte sullo scialle
e son tutte note gialle! 

domenica 3 febbraio 2013

Arrestare il sistema


Ho in mente un bel computer
fatto a forma di mondo,
solo che se si guasta,
siamo noi che andiamo a fondo.

“La prego, signor tecnico,
non vede che problema?”
“Signora, qui non resta
che arrestare il sistema.

Poi mentre è tutto spento,
pian piano mettiamo a posto,
ma intanto attenta bene,
non tocchi il tasto rosso.

Se no il suo apparecchietto,
in meno di un momento,
sarà fuso per sempre,
altro che solo spento!"

Così questo sistema
(non è il solo che abbiamo)
o lo arrestiamo subito
o siam noi che ce ne andiamo.

Poi quando lo arrestiamo,
sta a noi metterlo al fresco
(magari guardato a vista
da un pastore tedesco)

oppure stiparlo bene
su un’astronave di scorta
dargli un calcio, ma forte
e chiudere la porta. 

La filastroppa


Filavo della stoppa,
mi uscì una filastroppa.
“Non sarà mica troppa?"
mi disse un'albicocca

“Io proprio non saprei”
continuò sempre lei.
Così ne feci meno,
e dal mio filastreno

staccai sette vagoni
(valevano milioni), 
ma ne valse la pena,
perché in capo alla schiena

mi uscì una filascotta
al gusto di ricotta.
Di colpo l’assaggiai...
Ci credi? mi scottai!

Pagai così lo scotto
di un piatto troppo cotto
che per restare saldo
si finse troppo caldo.

Però saldò anche il prezzo
di questo brutto vezzo
e tra duemila fusa
mi chiese filascusa!

sabato 2 febbraio 2013

La gucca


C’era una volta una mucca sana come un pesce. Un’altra volta c’era un pesce sano come una mucca, che però era malata. Non solo: il pesce come cui la mucca era sana, era un pesce gatto, e poiché il gatto si è mangiato il pesce, è rimasto solo un gatto, per quanto bello sazio.
Dunque abbiamo un pesce (gatto o topo, a piacere) malato come una mucca e una mucca sana come un gatto.
Ma così si rischia di fare confusione, è cioè:
una mucca più un gatto fa matto, o affamatto, cioè un matto affabile, o affamato, cioè un affabile del Mato Grosso, o comunque non proprio piccolo.
Gatto più mucca fa gucca, che quando guggisce fa: “Guuuuuuuuuuuu” e la si sente in Tanzania e in Perù.
In Tanzania però non ci sono le mucche, che sono rimaste a casa giacché malate, né gucche, rimaste a casa perché galate, né zucche, rimaste sotto lo zerbino per via di una zuccata che non era proprio zucchero. In compenso, il Perù è pieno di Zulù che si sono trasferiti (un bel problema, perché per trasguarire dovrebbero trascurarsi, ma il risultato è tutto l’opposto) su consiglio della mucca che se già stava male prima, capite voi quanto sarà stata a pensarci. Difatti non ci ha pensato, ma a volte le decisioni migliori si prendono proprio così.

martedì 29 gennaio 2013

Il naso di raso


Avevo un naso verde,
ma del color del raso,
se sbucan dei peletti,
io subito li raso.

Hai reso rosa il raso,
e dopo me l’hai reso,
così col naso rosa,
insù mi son proteso.

Ma tanto mi protesi,
che fu protesi all’anca,
di giorno ho i panni stesi
ne cerco uno che manca:

un panno color panna,
la forma di una pinna,
ci scrissi sopra a penna,
la firma di zia Anna.

Così ho un capo firmato,
tra fronte e cervelletto,
di raso come il naso,
però color confetto.

lunedì 28 gennaio 2013

Lo scaccianoci


C’era una volta uno schiaccianoci che, anziché schiacciare le noci, le scacciava. Un bel problema, perché dopo averle scacciate non poteva più schiacciarne neanche una, con grande fame, per conseguenza, dei pargoletti golosi di casa Andersen (così si chiamava la magione dove abitava lo scorbutico schiaccianoci).
La storia si complicò quando arrivò un caccianoci, che non era un cacciatore di noci, ma uno che infilava le noci in tutti gli angoli. Un passatempo alquanto nocivo, infatti si sa bene, e sa bene la brava massaia di casa Andersen, che gli angoli sono i più difficili da pulire.
Tornò quindi in scena il nostro eroe che, per quanto di indole un po’ dura, aveva simpatia per la povera signora di casa Andersen. Lo schiaccianoci, che ormai si poteva chiamare a pieno titolo scaccianoci, si portò balzellonando all’angolo della stanza con l’idea di scacciare una noce e lasciare il pavimento bello pulito. Scoprì però con sorpresa che, essendo stata messa all’angolo, la noce non riusciva a scappare.
A questo punto tirò un sospiro e decise una volta per tutte di ritornare a fare il suo mestiere, schiacciando non solo noci, ma anche noccioline, arachidi e a volte anche qualche dito dei golosi bambini di casa Andersen.