martedì 7 agosto 2012

il fachiro


Conosco un fachiro
su un’asse da stiro,
che stira per ore
e non prova dolore:

Si stira le unghie,
(le ama bislunghe),
si stira i capelli
(gli sembran più belli),

si stira e poi dorme,
prendendo le forme
di tanti fachiri
nel regno dei ghiri. 

giovedì 2 agosto 2012

la città di Gustate


Un giorno, il signor Gustavo, si stufò di gustare al passato, e decise di incominciare finalmente a gustare al presente. Il suo nome divenne così Gusto.
Il signor Gusto si gustava il sole, si gustava la luce del giorno e, appena il giorno finiva, si incantava a gustare la stelle, il rumore delle cicale, persino il buio luminoso della notte.
La soddisfazione era grandissima, ma, dopo un po’ di tempo, il signor Gusto dovette rendersi conto che, accanto a tutto il resto, stava iniziando a gustare il sapore della solitudine.
Non si tirò indietro, perché la bellezza conosciuta fino a quel momento, lo aveva reso molto coraggioso.
Iniziò tuttavia a desiderare di poter condividere con altri la sua piccola scoperta, che aveva mutato il suo nome e, piano piano, anche il suo cuore.
Come fare, però, non lo sapeva ancora: il mondo è pieno di persone che non provano a gustare nemmeno le cose belle, solo per il timore che un giorno, queste, possano svanire. Il signor Gusto sapeva bene che c’è sempre un gusto nuovo, anche se il sapore è spesso ignoto, e che l’ignoto stesso costituisce un sapore inebriante e frizzantino.
Per un certo tempo, il suo desiderio rimase così insoddisfatto. La sua intensità, tuttavia, era tale che, a un dato punto, il suo nome mutò improvvisamente in “Gustate”.
Gustate, tuttavia, l’avrete capito da voi, non era più un signore: era una città intera, che sorgeva tra Carate Brianza e Lentate sul Seveso, su una riva dove poco prima era seduto il signor Gusto.
La riva era quella del fiume Serio, e la città dovette necessariamente chiamarsi “Gustate sul Serio”.
A Gustate, il clima era sempre fresco, i colori brillavano, le forme danzavano nell’aria improvvisandosi alberi, nuvole, risate. Tutti, a Gustate, erano felici.
Col tempo, il sentimento che aveva animato il signor Gusto, che ormai era divenuto vero e proprio amore, si fece così forte che tanti altri signori, o se preferite tante altre città, incominciarono a essere contagiati e mutarono il proprio nome proprio nello stesso modo.
Sorsero così Gustate sul Lambro, Gustate sul Ticino, Gustate sul fiume Po e poi perché no, Gustate sul Tevere, ma Gustate anche sul Missisipi, sul Nilo, Gustate Sui Torrenti, Gustate Sulle Montagne, Gustatevi Tutto Di Questa Terra Magnifica (Frazione di Gustate di Cuore); Gustate in Comune, Gustate Mibene, Gustate Attenti A Nondimenticarenessuno (gemellata con Tihocercato Sul Naviglio), Gustate Inpace, Gustate Uniti.
Qualcuno conosce altre città da fondare? Ne vedo un’infinità, scintillano come la luce di un unico giorno e, se la memoria non mi inganna, presto diverranno una nazione.
Perché questa storia è iniziata ieri, ma non finisce oggi: il presente è già ricco di uomini che sanno amare come intere città. Questi uomini popoleranno la terra, e dentro di loro tutti gli altri potranno abitare, finché ogni uomo, che una volta era solo una persona piccina piccina, diventerà un’enorme città e la terra diventerà immensa, perché farà posto ad ognuno di loro.

lunedì 30 luglio 2012

una storia di 10 secondi


Pollettina aveva 10 secondi per inventare una favola intera:
Nel primo mise un bacio, che le parve un ottimo saluto.
Nel secondo strizzò un occhio, ma poiché un occhio non le pareva abbastanza, li strizzò tutti e due e andò a sbattere il naso sulla cassettiera.
Nel terzo si massaggiò il naso, con vigore, e lo mise sotto l’acqua fresca per attenuare il dolore.
Nel quarto secondo incontrò un pesce, che nuotava nell’acqua fresca, e le presentò la sua famiglia.
Nel quinto il cuginetto del pesce, che era un pesce pagliaccio, vide il suo naso tutto arrossato e la scambiò per una parente.
Nel sesto, Pollettina e il pesce pagliaccio montarono un circo di stuzzicadenti nel lavandino, per potersi esibire come si deve.
Nel settimo, Pollettina divenne piccina piccina, altrimenti nel lavandino non ci sarebbe mai entrata.
Nell’ottavo secondo, gli applausi e le grida di giubilo per l’esibizione sarebbero stati incredibili, ma il pubblico era fatto di pesci e non si sentì un bel niente!
Nel nono secondo, Pollettina chiuse l’acqua perché il naso non le faceva più male, salutò tutti i pesci e uscì a fare una passeggiata.
Il decimo lo impiegò per raccontare la storia alla sua amica Rosina. Fu una storia splendida, perché era vera come la fantasia. 

giovedì 26 luglio 2012

la regina Dindirinda


Dindirinda è una regina,
che ho incontrato stamattina,
sì regale, ma piccina,
sembra proprio una fatina!

Per sfamarla, quanto prima,
le ho comprato una tortina.
Ma era via la reginetta,
e il pacchetto più etichetta

l’ho lasciato al servitore,
che lo prese con stupore,
e leggendo la scrittina
esclamò: "Per Dirindina!"









La filastrocca della regina Dirindinda contiene in effetti uno splendido errore, probabilmente dovuto al fatto che Gennaro, il servitore, aveva dimenticato gli occhiali nel cassetto della sala del trono. 

Un sentito grazie a Gennaro per questo errore inaspettato con cui festeggiamo la duecentesima storia
dell'Accademia degli errori!
Un abbraccio anche a tutti quelli che fanno un salto ogni tanto a cercare un sorriso, per tutte le volte che lo trovano, dando un senso meraviglioso a quello che non sarebbe, altrimenti, che un ammasso di paroline senza vita.
Grazie di cuore,

Andrea

i piedi di piombo


C’era un tale che andava coi piedi di piombo.
Per sicurezza, una volta all’anno andava da un piombatore di piedi di Piombino a farseli controllare. 
“Come va la piombatura, signor Rinaldo, ha tenuto?”
“Ha tenuto, ha tenuto, giusto una passatina e siamo a posto per un altro anno!”
E in effetti, la piombatura era fatta così bene che il signore mica ci credeva; o meglio: non lo negava, ma per sicurezza, portava i suoi piedi di piombo da un altro piombatore di piedi poco fuori Piombino.
Per essere sicuro sicuro, però, si fermava anche, dagli altri piombatori lungo la strada per Varese (era lì che abitava il signore!). Ce n’erano in totale 118 e, quanto finalmente arrivava a casa e appoggiava i suoi piedi in piombo fiammante sulla sedia, un anno era quasi passato e di lì a poco era costretto a riniziare il giro.
Una volta, mentre rifletteva sull'opportunità delle sue riflessioni, fu distratto dal cinguettio degli uccelli, dalle foglie e dal sole. D’un tratto sentì un impulso fortissimo di lanciarsi su un prato e fare milioni di capriole. Certo, magari bisognava prima pensarci un attimo. Quel prato era sicuro? Il verde gli sarebbe rimasto sui pantaloni? Le scarpe di piombo gli avrebbero dato noia sulla terra umida?
Così se le tolse e, l’avreste mai detto? Da lì a un istante stava volando nel cielo infinito, di un blu più blu del quale c’erano solo i suoi pensieri. 

sabato 21 luglio 2012

il mulino a tempo


C’era una volta un mulino, ovvero un mulo piccolo piccolo, ma con delle pale enormi. Erano così grosse e pesavano così tanto, che il piccolo mulo scrisse una raccomandata spiegando al Ministero dei muli da giardino che lui non se la sentiva di andare avanti per molto a fare il mulino.
Per uno strano errore, tuttavia, la busta non arrivò al ministero, ma al MINISTEREO che stava sulla mensola: era così piccolo, pensate, che la musica intorno si sentiva a malapena, ma quantomeno non aveva pale giganti da sostenere! il ministereo fu molto comprensivo e rispose al mulino che, per quanto lo riguardava, poteva smettere già dalla settimana successiva.
Per qualche giorno il nostro eroe rimase così un mulino a tempo, ma la domenica stessa si trasformò in un robusto muletto, che trasportava energicamente pale, pali, polli, palle e ogni altro peso ci si potesse immaginare.
Fu una fortuna: poco lontano, dove molte case erano cadute dopo un furibondo terremoto, il nostro muletto trasportò la bellezza di centoquattordicimila mattoni, finché non fu ricostruito l’intero paese. 


il mulino


Viaggiavo su un mulo,
ma proprio un mulino,
mi sento un po’ matto
sarà che è mattino.

Sarà forse un caso?
Di certo un casino!
Non so se era Pinco,
di certo Pallino!