lunedì 29 luglio 2013

Da spalla a spalla

Una mio caro amico mi ha offerto una spalla, ma io non avevo neanche un po’ fame così mi ci sono appoggiato. Per farlo, mi sono improvvisato pappagallo, non tanto nel senso di un mangiatore di gallo, quanto in quello di mangime per il gallo stesso: mi sono trasformato in becchime, cioè in granaglia. E si noti, al proposito, che non era un’aglia piccolina, ma una proprio una gran-aglia.
Sull’altra spalla del mio amico, che offriva spalle a più non posso neanche avesse lavorato in un teatro, ci stava una mia amica. Per salirci, si improvvisò pappagalla. Ma questo, nel solo caso in cui la pappa venisse a galla. Se fosse rimasta invece sotto il ciglio dell’acqua, si sarebbe improvvisata mascara. Non un mascara qualsiasi e forse neanche un qualsiasi mascara. Ma un mascara con un mistero, un mascara in maschera. Un mascara mascherato da maschera, con tanto di mastice, in groppa ad un astice, con tanto di presenza della città di Asti: Asti c’è!
Volgendo al termine la digressione sugli abitanti fortuiti della spalla del mio amico, non vorrei che commettessimo l’inesattezza di dimenticare che non si trattava solo di un amico, ma di un amico caro. Caro! Direte voi. Dipende dal valore. Ma come si fa a dare il valore a un amico? Bisognerebbe trovare un tesoro e fare il conto, oppure chiudere l’amico nel baule sotterrato al termine dell’arcobaleno, quindi aprirlo e contare l’amico. Si domanda però: qual è il termine dell’arcobaleno? E dove vanno le frecce che in un baleno l’arco scocca? Hanno infiniti colori o soltanto quelli che potremmo contare in mille milioni di anni?
E su questa domanda risposi alla mia domanda: il valore di un amico, per quel che so io, è mille milioni di anni. Un tempo che non basta a separare davvero, né a dimenticare. Un tempo che basta a seminare e più volte a raccogliere. Ho così raccolto un fiore e lo regalo a chiunque, perché chiunque è un amico, chiunque voglia imparare ad accettare il mio fiore.

1 commento:

  1. Di spalle, già lo sapevo, ce ne son tante,
    così tante che non le si posson contare:
    son certa ch'è grazie a loro che ricominciai a volare.
    Ma a volare per davvero
    grazie a dolci di cioccolato e zucchero a velo.
    Andai su e giù per il mondo
    che non è poi così tondo
    che a volte diventa quasi un rombo,
    ma non certo un rombo da mangiare
    perchè il rombo,
    oltre che stare a galla,
    può anche pensare.
    Tutti abbiam almeno una spalla,
    su cui poggia un pappagallo,
    ma, visto che di spalle a volte ne abbiamo due,
    e che due più due fa ventidue,
    e che ventidue non è il numero perfetto,
    i pappagalli decisero di fare insieme il botto.
    Chiamarono ventotto
    e fecero una festa
    dove salti e piroette e capovolte tutti facevano
    mentre le spalle, anche loro, a cantare cominciavano.
    A cantare a squarcia gola
    con pochi squarci e tante gole
    gole aperte e sorridenti
    non c'erano scuse, non ci andavano lenti.
    Ai feriti vennero date caramelle
    per tutti gli altri tante girelle.

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