giovedì 31 ottobre 2013

L'uomo chiamato ventaglio

Un uomo chiamato ventaglio,
prendeva per sbaglio un abbaglio,
sbagliava sapendo di sole,
tra questa e duemila parole,

Al suo ventunesimo sbaglio
andò ad abitare in un baglio:
tra mille mazzetti di viole
faceva le sue capriole.

Un tale gli chiese però:
“Ti chiami ventaglio a che pro?”
E l’uomo chiamato ventaglio
ammise: era solo uno sbaglio! 

Un chiaro copione

PRIMA PARTE 
Luigi, che era un lupetto.

DOPO ARRIVA 
Loredana, che era una pecorella.

SE CON DA PARTE 
cento lire, cento lupi col senso del ritmo potrebbero suonare, lo stesso non si può dire di cento lupetti che hanno certamente delle ottime maniche blu cielo ma, sfortunatamente, non le mani.

Senza cento lire, o se Enza ha cento lire, però da parte, e invece in mano ha una bella forbicina, si potrà tosare Loredana e farci un cappellino pesante per l’inverno. L’inverno, dovete sapere, ha sempre freddo e dunque un cappellino non può fargli che bene. Inoltre non sarebbe carino che qualcuno pensasse un po’ a lui, quando normalmente, appena arriva l’inverno, tutti pensano all’estate?

FINE PRIMO ATTO
potrebbe essere, ad esempio, un primo atto di fine gentilezza, grande attenzione o un elegante sorriso. Donare il cappellino all’inverno o invitarlo in montagna coi nostri amici a sciare, tutto sommato, va benissimo. Sempre riguardo al cappellino:

SE CON DO ATTO,
magari do atto anche senza. Ma senza, fa più freddo.

FINALE Ligure, infine, potrebbe finalmente essere ligure e solo inizialmente un finale, è invece evidente che solo secondariamente è ligure, mentre primariamente un finale. Ecco l'orlo di un paradosso, o l'orso di un paraorlo, giacché gli orli, soprattutto a Finale Ligure, risentono drammaticamente dello sporco. I paraorli vanno quindi per la maggiore e, come ulteriore incentivo all'acquisto, per ogni confezione vi è un orso in omaggio. Un orso delicato e di buon cuore, che indossa un lupetto e un cappellino di lana di pecorella, che però ha appena regalato all'inverno. Che bravo orso! Generoso come non se ne vede spesso e, difatti, invece che spesso è 

FINE. 

mercoledì 30 ottobre 2013

Archigorico Pitamede

Archigorico Pitamede,
più sta in piedi più si siede,
tanto siede quanto inventa
con la faccia ben contenta.

E così che mi ha inventato:
un paiolo di gelato,
che una volta digerito,
diverrà riso bollito;

sempre in campo culinario,
un paté di dinosauro,
che a ben dire è un po’ stantio,
(se non altro, non è mio);

un bastone che non picchia,
lo stupor senza “accipicchia”
mille fiori senza serra
e un bel mondo senza guerra,

Per quest’opera di ingegno,
ci ha richiesto un po’ impegno: 
chi ne presta farà parte
di un pianeta fatto ad arte!


Il corso di scrittura contemporanea

Era la mattina della sera di mercoledì 18 novembre, giorno in cui, tra l’altro, era venerdì.
Quel venerdì – mercoledì per gli amici – si tenne un corso di scrittura contemporanea, di cui so per certo che l’iperprofessor Fanfaronio Cilecca, sua cognata Alda e il giardiniere Edward, immaginano di fare un’esperienza a livello nazionale.
Il corso funziona pressappoco così:
dopo una lunga e faticosa selezione, dieci fortunati vengono estratti a caso. A tutti viene dato un comodo supporto elettronico, che è però un foglio di carta, ed una penna laser, che però scrive con l’inchiostro. L’inchiostro si può trovare ai lati della stanza, che si trovano precisamente tra un angolo e l’altro. Se la stanza è tonda, si immagina la penna, l’inchiostro, l’iperprofessore e una nuvola di panna montata, notoriamente propiziatoria rispetto alle sessioni di scrittura contemporanea.
A questo punto viene dato un tema che non cambia mai, e questo tema è “il vagito del vitello, così caro così bello”, da elaborare in tre fasi:
1. Nascita del vitello, gioia dei parenti, comunione e battesimo (i vitelli, notoriamente, li invertono)
2. Apologia del vagito
3. Esclamazioni assortite, a volte anche sul tempo atmosferico che vira dal verde al celeste o viceversa. 
Per esempio: “Che cielo celeste! Che verde verdestre! Vedeste che verde nell’acqua si perde, ma l’acqua era il cielo che all’ombra di un pero di verde riveste quel cielo celeste.” e così via.

Forti di queste tre fasi, una volta che le hanno pensate per bene o che le hanno pensate per male o che non le hanno pensate per niente, e proprio per questo sono pronti a scriverle, con lo sbianchetto verde o con quello celeste o direttamente col cielo, gli invitati, o i partecipanti, o i loro amici quando i partecipanti o gli invitati non fossero potuti venire, si prodigano con piccoli salti o voletti leggeri fino a raggiungere il soffitto. In questo modo la carta viene risparmiata, ma non l’inchiostro, che comunque era ecologico. Si scrive dunque sul soffitto, ognuno secondo il proprio estro.
Si lascia decantare il soffitto per circa 10 minuti, dopodiché, a partire dai lati, o dagli angoli, o dai lati degli angoli, si inizia a smontare la stanza in pezzi a volte esagonali, a volte no. Il sole intanto riempie del tutto quello che prima era la stanza, ma ora è il cielo. I pezzi di tetto vengono quindi mischiati a mo’ di puzzle nella costruzione di una storia che a voi sembrerà surreale, attaccata con lo scotch e tutta piena di spifferi, invece sarà divertente, solare e reale come una vita intera, che non è mai di uno solo ma in cui ognuno lascia la sua piccola e imprescindibile impronta.


martedì 29 ottobre 2013

Un amico esemplare!

Feci un salto da Gianluca,
gli centrai però la nuca,
ripiegai su zia Serena,
ma le caddi sulla schiena.

Mi sfogai con Manuelito,
ma anche a lui pestai un dito.
Piansi poi da nonna Ernesta
(che si riparò la testa)

ma inciampai in nonno Evaristo,
giusto giusto sul menisco.
Poco dopo incontrai Livia:
le distorsi un po’ la tibia,

mentre invece a Ganimede,
col tallone andai sul piede.
Forse sono un po’ maldestro,
ma seguendo un certo estro

mi son fatto tanti amici
che mi inseguono felici:
qualcheduno ha le stampelle,
qualcun altro va a rotelle,

io sicuro corro forte,
(non sfidando la mia sorte):
se mi prendono è uno smacco 
ma per l’ospedale Sacco! 

lunedì 28 ottobre 2013

La zucca sotto sale

Se la zucca in basso sale,
ma quel sale non è in zucca,
va a finir che pensi male
e la scambi per parrucca.

Se la scambi con il sale,
te ne devon dare molto,
e se molto o poco è uguale,
dimmi tu a chi hai dato ascolto.

E se quegli a cui l’hai dato
ti pareva un tipo sveglio,
si ritenga fortunato:
chi più ascolta impara meglio! 

domenica 27 ottobre 2013

Il borlotto

È la storia del borlotto,
che guardava sopra e sotto,
che guardava anche di lato,
salutava suo cognato.

Suo cognato era un pisello,
che sostava in un bacello,
ma indicava con la destra
dove stava la minestra.

La sinistra invece, è chiaro,
soppesava quel che è amaro,
come un foglio di radicchio,
o il mio umore se ti picchio.

E fu un picchio fortunato,
di minestre interessato,
che ingoiò così, bel bello,
il gentil messer pisello.

Non contento, proseguì
e il borlotto lasciò lì,
separando in quel frangente,
il fagiolo dal parente.

L’avventura del borlotto,
di lì a poco, bello cotto,
proseguì senza saluti,
ma con suono di liuti,

ma in memoria del parente
(or nel tubo digerente)
il borlotto ancor si adopra
a guardare sotto e sopra.