domenica 17 giugno 2012

la spilla Camilla


Conosco Camilla
è solo una spilla,
ma vi giuro, brilla
come una scintilla.

C’è pure uno spillo
di nome Camillo,
mi spinge ed oscillo
che sembro un birillo.

Le vuole cantare
il sole ed il mare,
ma nella capocchia
un po’ si impastrocchia.
Perciò l’altro dì
cantava così:

“Camilla sei bella
come una stella
in una padella,
tranquilla però
non ti cuocerò!”

“Camilla sei brava
come una rava,
ti mangerò?
Certo che no!
(Magari ti assaggio
nel mese di maggio
ma giusto un pezzetto
e poi te lo rimetto)”

"Camilla sei bionda
Come una fronda,
e con una fionda
dall’altra sponda
del fiume Po’
ti lancerò.
(dall'altro lato
ti prendo al volo,
e se ti manco
rimango solo)"

Camilla lucente
ho il tartaro a un dente
ma per te giuro
che me lo curo
(vedrai che bello
dopo il dentista
passo il casello
e mi metto in pista)”.

Camilla all’inizio è un po’ orripilata
A ritrovarsi così corteggiata
ma poi brillando, vede un po’ meglio
che Camillino la ama sul serio
(che non è un fiume, ma grande amore
partono insieme, tra poche ore). 

sabato 16 giugno 2012

Ambaraqualcosa


Ambaracociccibabbà
Se sto a casa non son qua
Se sto qua non sono al mare
Dove imparerò a contare
Perché il mare ha un’altra età
Ambaracociccibabbà

Ambarabacciccicoccò
Il dottore ha detto “oibò!”
È guarito alle ore sette
E ha trovato 3 civette
A far cosa non dirò
Ambarabacciccicoccò.

argo pollo


Ho un amico che è un impiastro,
il colore è un po’ olivastro,
se lo chiami parte a nastro
ma farà qualche disastro.

Il suo nome è Pollo Argo,
se non dorme va in letargo,
se è in letargo non è qui
e non ci dirà “buondì!”

Di cognome fa Argo Pollo
ride poi fino al midollo,
il midollo è un po’ allungato,
se dell’acqua ci ha versato.

L’acqua sta sulla credenza
e gli mette sonnolenza.
Quando dorme, perlomeno,
di pasticci ne fa meno!

c'è bugia e bugia


C’era un tale non troppo sincero,
che camminava a mezz’aria nel cielo,
ma le bugie hanno un peso specifico
e cadde giù con un tonfo magnifico.

Bisogna dire, per buona fortuna,
che stava a mezz’aria sulla luna,
così che il tonfo non gli fece niente
e camminò fino al tempo presente.

Cammina cammina fin sulla terra,
gli capita un bollettino di guerra,
e cosa dire? Mica gli piace,
così dice a tutti che è giunta la pace.

Gli credono proprio tutti quanti,
e ai generali che gridano “Avanti!”
La gente risponde “mica ho suonato!”
e si rimette a giocare sul prato.

Così quel tale, nel passeggiare,
si è ritrovato di nuovo a volare,
perché non si mente coi paroloni
se erano buone le intenzioni. 

venerdì 15 giugno 2012

un merluzzo per amico (non un merluzzo per ogni amico, ma proprio un amico merluzzo)


Ho un amico che ha molto fegato, solo è che è fegato di merluzzo. Pertanto, il mio amico è un merluzzo. Lì per lì non l'ha mica presa bene, pensate che all'inizio era convinto di essere un semplice merlo e si stava già preparando a tuffarsi in uno spettacolare volo radente dalla cima del castello. 
Del castello, tuttavia, non riuscì ad essere nemmeno un semplice merlo, perché il ciambellano li aveva appena contati tutti e non ne mancava neanche uno.
Provò allora a farsi un po' più piccolo e a spacciarsi per mago Merlino, ma fu subito scoperto, non tanto perché gli mancava la mano negli incantesimi, quanto per la notevole assenza del cappello azzurro, o della soffice barba bianca indispensabile in queste circostanze.
Tentò altre vie ancora, ma si accorse presto che poteva andargli ancora peggio: nonna Palmira, difatti, stava già iniziando a cucirlo tra i mille merletti del suo ultimo centrino.
Così se la diede a gambe, non so quali poi, dato che nella fuga si tuffò in mare e proprio lì poté constatare, di fronte allo specchio dell’acqua, di essere definitivamente un merluzzo.
Neanche fosse tornato a scuola, fece amicizia con un banco di merluzzi che albergava di poco sotto la superficie dell’acqua. Ma entro poco tempo, decise di salutare tutti e partire alla volta dell’oceano, in un giro infinito di esplorazione degli abissi.
Di sicuro ci voleva un bel fegato, anche se era solo un fegato di merluzzo. 

giovedì 14 giugno 2012

una banda di parole


Ho sbandierato una bandiera, che non è una venditrice di bande, ma che è una banda dalla parrucchiera.
«Tutta una banda? Una banda colorata o una banda di liutai?»
«Mi scusi, liutai no, il liuto mi dà lo starnuto, inoltre liutai tutto ieri e oggi vorrei fare un po’ di pausa.»
«Una banda colorata, quindi. Di che colore? E cosa ci faceva dal parrucchiere?»
Comprava una parrucca, che è una mucca che voleva fare il parroco, ma fu misconosciuta dalla curia per via della sua incuria e dovette accontentarsi di una pannocchia, che non sarà una parrocchia ma è sempre meglio che non sgranocchiare niente.
La banda era molto verde (credevi che me ne fossi dimenticato?), di preciso verde foglia.
«E la foglia?»
Verde banda, con una venatura violacea, che è una viola un po’ coriacea ma che si va via via ammorbidendo.
Matematicamente si potrebbe dire che, cambiano l’ordine degli ammorbidendi, il bucato non cambia.
«Magari non cambia, ma rimane bucato?»
Rimane bucato finché qualcuno non ci mette una pezza. Bisognerebbe chiamare un pezziere, ma riesco a trovare soltanto tappezzieri, che sono pezzieri molto bassi. O almeno erano pezzieri, speriamo pezzoggino ancora (e non tappezzino invece Gino, come qualcuno potrebbe pensare). In ogni caso restano bassini, per cui c’è da sperare che il bucato non si sia cacciato troppo in alto, o almeno che sbuchi in mano a qualcuno con le mani bucate, da cui il bucato possa cadere a portata di tappezziere.
Ma se ci avete fatto caso, una volta che qualcuno SBUCA, il problema del bucato è risolto senza bisogno delle pezze, con buona soddisfazione di tutti i liutai che erano stati eliminati dalla storia ma con cui siamo rimasti in buoni rapporti, e che ci scrutavano da una collinetta sperando che tutto finisse per il meglio. 


mercoledì 13 giugno 2012

la lingua dei fiori


Ho un amico che si chiama Rodolfo ed è amico di un suo amico, che si chiama Rododendro. Insieme stanno cercando di imparare il linguaggio dei fiori. Meglio: Rododendro sta cercando di insegnarlo a Rodolfo, anche se, a dirla tutta, qualcosina da imparare la ha ancora anche lui.
Rodolfo impara, poco a poco. Ad esempio:
per contattare un girasole, non si può fare altro che parlare la lingua del sole. È una lingua strana, che esce dagli occhi. Per parlarla, dicono che si debba aver inspirato forte tutto l’amore del mondo. Rodolfo sostiene che ne basti anche meno, che basti anche solo un pensiero: "magari i girasoli faranno più fatica a sentirti", dice lui, "ma ti risponderanno in ogni caso con il loro sorriso cortese."
Oppure si può provare a parlare la lingua delle Violette. Per quella, sarebbe meglio chiedere alla mia amica Violetta, che però proprio oggi è fiorita in un prato un po' fuori mano. 
La lingua dei Rododendri è un po’ più semplice perché, come si poteva capire già da prima, questi fiori parlano il linguaggio dell’amicizia.
Ogni fiore parla una lingua diversa, ma ogni fiore scappa appena riesce verso una luce che è sempre la stessa, che è quella del sole. Il sole non si riesce quasi mai a guardare, finisce che bruciano gli occhi e per questo i fiori sbocciano senza nemmeno preoccuparsi di aprirli.
Se è per questo nemmeno il sole li apre, direte voi, o forse dice Rodolfo. 
Non li apre: sboccia ogni giorno ad occhi chiusi sopra tutti i prati, tutte le teste e tutti i pensieri, porta in dono tutti i colori del mondo senza nemmeno sapere chi li riceve.

In questo modo, Rodolfo e Rododendro stanno imparando la lingua dei fiori, e forse molte altre lingue.