lunedì 29 ottobre 2012

Il magone



Erika e Simone, fratelli per la pelle, del tutto indifferenti alla pelle che li affratellava (ovviamente questo vale per Simone: nel caso di Erika li assorellava), litigavano. Litigavano alla sera, alla mattina e anche a mezzogiorno. Litigavano di sotto, di sopra e anche a metà. Litigavano in tutte le lingue e in tutte le stagioni. Litigavano persino per chi doveva iniziare a litigare:
“Oggi tocca prima a me!” sbottava Erika con violenza, mentre la mamma ascoltava sospirando dalla finestra.
“Col cavolo!” gridava Simone, sostenendo che, siccome Erika il cavolo non ce l’aveva, spettasse a lui iniziare a litigare (stando a questo criterio, la mamma annotò che gli agricoltori dovevano essere litigiosissimi).
Un giorno, tuttavia, la situazione cambiò di colpo. Tutto accadde per un fattore inspiegabile: nessuno, difatti, avrebbe saputo spiegarsi cosa ci facesse un fattore della fattoria lì in piedi, in mezzo al giardino, a guardare con tanta dolcezza sia Simone che la sorellina Erika.
Eppure era lì. Colpiti da uno sguardo così buono e denso di interrogativi, i due fratellini smisero per un attimo di accapigliarsi e si guardarono in silenzio, sentendo arrivare il magone.
Il magone, un mago sorridente di due metri e trentuno, si sedette con la testa verso l’alto proprio di fianco al fattore e la magia che fece dev’essere stata gigante, perché da quel momento in poi Erika e Simone smisero di litigare.
Un mago suo amico, tempo dopo, gli chiese se avesse brevettato l’incantesimo della pace che aveva usato per i due fratellini.
Il magone proruppe con una bella risata e rispose: “Amico mio, la pace è di per sé una magia, ma richiede di fermarsi per qualche momento ad ascoltare il cuore. Erika e Simone non litigano più perché si vogliono bene!”

La farfalla


C’era una volta un bruco,
poggiava su un tartufo,

eppure c’è un però:
chi il tubero mangiò

trovò una gran farfalla
con un’aletta gialla,

quella altra era verdina,
e tutta la cucina,

dal tavolo al comò
tutta si illuminò. 

mercoledì 24 ottobre 2012

La motoambulanza


Avevo un amico di nome Pasquale
che andava in moto ma senza fanale,
in sella portava Rosaria e Giuditta
ma sulla sua moto non c’era marmitta.

Giuditta era in vero un poco più bella,
ma su quella moto mancava la sella.
Pasquale sognava di fare il dottore,
però difettava di carburatore,

filava cantando e contava le note
sul suo motorino senza le ruote,
da tutti i pazienti correva di cuore,
e sì che mancava persino il motore.  

Pasquale ha tre anni, in arte Danilo, 
dottore provetto di tutto l’asilo,
arriva, sorride, ti guarda sincero
e chi stava male guarisce davvero!

Il colore della storia


Vi racconto una storia che non è verde, che non è blu, che non è gialla canarino perché è passato un bianco imbianchino, ma poiché il bianco era troppo chiaro, ci è poi bastato poco denaro, per assoldare un bell’ingiallino, specializzato nelle tinture color luce del sole.
E mentre l’ingiallino, sereno sorrideva, passò anche un inverdino, a cui il giallo gli piaceva.
L’inverdino non dipinse nulla, ma seminò molto e si dotò di grande pazienza.
Poco lontano un arrossino li salutava a grandi gesti. Gli fecero cenno di avvicinarsi, ma quello non poteva spostarsi da quanto era indaffarato: il sole stava iniziando a tramontare e, per un'ora almeno, il cielo intero sarebbe stato nelle sue mani. 





Avete indovinato il colore della storia? Se sì, disegnatelo subito su un foglio. Nel farlo, immaginate per un attimo di essere voi il foglio: come vi sentireste se vi colorassero una storia sul naso? 

lunedì 22 ottobre 2012

La STRAADA


C’erano una volta tre bambini; il primo si chiamava Rino, il secondo Marino, il terzo Rosmarino.
Camminavano insieme per il bosco quando, indecisi se andare a destra o a sinistra, decisero di proseguire diritti, dove guardacaso c'era una bella strada.
Ma non appena fecero per poggiare il primo passo, si accorsero tutto in un colpo che quella innanzi a loro non era per niente una strada!
Una cosa in comune, a dir la verità ce l'aveva: se ne stava beatamente lì sul prato che pareva fosse ferma da 100 anni. Beatamente, si capisce, prima che Rino le calpestasse il ginocchio, Marino il malleolo e Rosmarino, fortunatamente, soltanto le stringhe della scarpa.
I tre fecero così la conoscenza della signorina STRA-ADA.

UNA ZIA NON COMUNE
Ora quindi dovrò spendere due parole per spiegarvi la storia di Ada, la generosa zia di Luca, Oscar e Peppino (tra l’altro, compagni di scuola dei primi tre) che alcune cose non le sapeva fare, ma altre, ne sapeva fare di formidabili.
Per esempio: non sapeva giocare a rimpiattino, ma sapeva fare un verso strano con la faccia che faceva sbocciare il fiori.
Non sapeva pulire né i vetri, né sbattere le lenzuola, né fare gli scioglilingua (ci provò molto spesso da ragazza ma, per quanto li ripetesse, la lingua non si scioglieva mai); però sapeva saltare dieci volte più di un albero, gli uccellini si posavano sulla sua testa e tante volte le lasciavano delle uova in custodia. Erano uova d’oro, ma lei le restituiva sempre fino all’ultimo guscino, e non immaginereste che meravigliosi passerotti ne nascevano.  
Ancora: non ricordava mai una e dico una data di compleanno; in compenso il suo compleanno era tutti i giorni e per festeggiarlo, aveva l’usanza di fare dei regali agli altri.
“Ma Ada, non è il suo di compleanno?” si stupiva talvolta il droghiere quando gli raccomandava di tenere il resto della spesa.
“Via via, non lo sa che compio gli anni tutti i giorni?”, rispondeva Ada, “Se fossi io a ricevere i regali, dove mai pensa che potrei tenerli?”
Stando ai suoi compleanni, Ada aveva Tredicimiladuecentotrentacinquecentoventiquattromila e un anno, ma io vi garantisco che non ne dimostrava più di 31 (e già per dimostrare quelli non vi dico che calcoli doveva fare).
In totale, poiché Luca, ma soprattutto Oscar, ma ancor di più Peppino, la consideravano una strasupermegafantazia, e non una strasupermegafantazia quasiasi, ma una strasupermegafantazia Ada, per andare incontro proprio a Peppino, che era piccolo piccolo e a strento biascicava un trisillabo, venne chiamata Zia Stra-Ada – Stra-Ada e basta, per quelli di cui non era zia; e io vi garantisco che non era zia né di Rino, né di Marino né tantomeno di Rosmarino.
Benissimo. Ma cosa ci faceva StraAda lì per terra a farsi schiacciare il malleoli?
Capirete da voi che non era quella la sua idea, all’inizio. Cosa avreste fatto al suo posto in un bel boschetto, sul prato, tra la luce e l’ombra, in uno splendido pomeriggio primaverile? StraAda stava facendo un riposino (all’inizio, per la verità, aveva cercato di schiacciare un pisolino, ma aveva sbagliato mira e il pisolino era fuggito via dritto filato)!

Inutile dire che i tre piccoli la svegliarono tutta d'un colpo, difatti tirò un urletto mica da ridere. 
E a quel punto?
Rino prese a ridere per lo spavento, 
Marino finì in un cespuglio per il vento, 
Rosmarino disse solo “Tò!” e porse a StraAda una caramella.
“Grazie, piccolo!”, disse Straada massaggiandosi la stringa della scarpa, “ma non posso proprio accettare!”
E prese a cantare una canzone per spiegare a tre bambini, ma soprattutto a Rosmarino, che aveva il naso tondo con la punta rossa rossa, che oggi era un giorno speciale per lei: tra poche ore sarebbe stato il suo compleanno e doveva assolutamente fare un regalo a qualcuno!
Così i tre fanciulli si videro regalare nientemeno che una STRADA gialla gialla. Marino, sulle prime,  porse la mano per mettersela in tasca e farla vedere alla mamma prima che si impolveasse, ma era tardi: la cara StraAda l’aveva già appoggiata per loro già da molto tempo, e i tre non poterono che seguirla correndo. Corsero tanto che alla fine raggiunsero un paese incantato, dove tutto era sempre nuovo, e ogni colore una festa, e ogni sorriso una scoperta, e a loro sembrava un sogno fantastico, ma non era che la vita.  

domenica 21 ottobre 2012

Una vacanza sbagliata


Conosco un tale che tra il dire e il fare,
era felice che ci fosse il mare:
diceva e diceva senza sosta
e non faceva niente a bella posta,

certo com'era, tra le due parole,
di andar nuotando e prendere anche il sole. 
Sul capo aveva maschera e boccaglio
eppure aveva preso un bell’abbaglio,

perché in quel mare non ci trovi onde,
se vuoi tuffarti mancano le sponde.
È il mare di chi nulla vuol fare
e non è buono nemmeno per nuotare.

giovedì 18 ottobre 2012

Un tocco di colore

L' ingegner Giovanni entrò nel suo ufficio, doveva essere martedì mattina, e si accorse dopo 15 anni suonati che era tutto grigio. 
Per un po' se ne rimase perplesso guardando il soffitto, poi chiuse gli occhi e, appena li riaprì, la pesante scrivania di compensato era diventata di un bell'azzurro frizzantino. 
L'ingegner Giovanni ci appoggiò la penna soddisfatto. Chiuse e aprì gli occhi un'altra volta, ed ecco le vecchie tende diventare gialle come canarini che presero subito il volo, lasciando la stanza piena di sole. 
"Bene bene!" Esclamó l'ingegner Giovanni! Battè due volte le mani: alla prima i muri diventarono verde smeraldo, alla seconda il soffitto si colorò di rosso vivo come la lava del Vesuvio. Fu perfetto, dato che iniziava a far freddo e il riscaldamento non ancora acceso. 
Quando nel pomeriggio, il professor Sparachiodi, che era il capo di Giovanni, entrò di corsa nell'ufficio, non riconobbe niente e nessuno! Alzò gli occhi x chiedere indicazioni e si trovò davanti proprio Giovanni, con un sorriso raro e una bella camicia cangiante, che gli consegnava tutto il lavoro della settimana.