mercoledì 10 ottobre 2012

Che storia è questa?


Questa è la storia di un’altra storia, che però ho dimenticato.
Allora vi racconterò la storia di un omino di burro che era distrutto, e siccome era di strutto, non poteva essere di burro.
Per essere un po’ meno di strutto e recuperare la propria identità, dovette per forza di cose riprendersi d’animo.
Per riprendersi usò una cinepresa d’oro massiccio, per massiccio usò quello del monte bianco, per bianco usò quello dell’uovo, per uovo usò quello di Colombo, per colombo usò un piccione che si chiamava Cristoforo.
Il piccione, tuttavia, era tanto allergico al burro che volò via senza lasciare traccia.
Così finisce la storia che mi sono ricordato, che però forse non era questa!

martedì 9 ottobre 2012

Il buio pesto


Corre veloce il giovane Ernesto,
corre veloce, ma è buio pesto!
E qui si ferma perché, a ragione,
è necessaria una riflessione:

quel buio è pesto perché ha i pinoli?
Ci si condisce pasta e fagioli?
E questa pasta, ne sei sicuro,
che se la mangi poi si fa scuro?

E brancolando nell’incertezza,
il suo testone tosto accarezza,
quindi riparte filando a razzo,
contro il bel muro del palazzo!

Così che, neanche a farlo apposta,
ecco che ha avuto la sua risposta,
giacché non è buio pesto per caso,
ma perché a correre pesti col naso!

Lo sgabrutto


C’era una volta uno sgabello,
stava sopra un capitello.
Una volta, tempo addietro,
dietro una porta di vetro,

era solo uno sgabrutto,
che, bagnato o pure asciutto
non facea seder nessuno,
né coniglio né orso bruno. 

Figuriamoci gli umani,
ma poi ieri fu domani
e iniziò a lasciarsi usare,
per i monti e per il mare.

E chi a lungo passeggiava,
sul suo dorso riposava,
chi tornava dal lavoro,
ritrovava in lui ristoro.

E così servendo tutti,
tanto i belli quanto i brutti,
come dice il ritornello: 
divenuto è uno sgabello!

giovedì 4 ottobre 2012

La doccia di Dirindinda


La regina Dirindinda,
è caduta (l’hanno spinta).
Poiché stava nella doccia,
ha pestato la capoccia.

Ma lì sopra c'era un gatto,
che sostava quatto quatto,
travestito da geranio,
sulla punta del suo cranio.

Fu così che il duca Arturo
(che la spinse contro il muro)
si trovò così sorpreso,
che pensò ad un malinteso,

incontrando la monarca
con la giacca ed una scarpa,
che filava all'ospedale
miagolando per il male!

La nascita del vento


C’era un signore di nome Eolo
che si pestava sempre il malleolo.
Tanto più forte se lo pestava,
quanto più forte dopo gridava.

Finché una volta, mentre era in giro,
ci cadde sopra un ferro da stiro.
Per il dolore saltò fino a Udine,
dove ci cadde sopra un incudine.

Eolo gridò, ma così tanto forte,
che si sbatterono tutte le porte.
Lui non ne fu così tanto contento,
ma fu in quel modo che nacque il vento.

mercoledì 3 ottobre 2012

Il dentista Filomeno e il giorno in cui gli ammorbidenti furono sostituti con delle torte


C’è un dentista di nome Filomeno. Prima ce n’era certamente di più, ma ora ne è rimasto un Filo meno. Il filo di Filomeno, è ovviamente del filo interdentale e, come dice il nome stesso, Filomeno lo utilizza per menare i suoi pazienti. I pazienti non fanno così fatica ad essere pazienti: essere menati con il filo interdentale non è certo molto doloroso e spesso costituisce un piacevole diversivo rispetto a certe feroci trapanate.
Un giorno Filomeno incontrò un sarto pentito: anche lui si chiamava Filomeno, ma per ragioni del tutto diverse.
Il secondo Filomeno, sicuramente filava di meno, in compenso lavava e stirava quanto prima e anche di più: i suoi bambini stavano crescendo e sempre più spesso tornavano a casa tutti infangati.
Spesso lo sentivi dire:
 “Giovannino, come sei conciato! Dove ti sei andato a infilare? Su a lavarti dritto filato!” (pensare che lui che voleva filare di meno!)
Oppure: “Lucia, ma su che prato sei mai stata per macchiarti il sedere di azzurro?”
E Lucia si era seduta a testa in giù proprio nel cielo, che le aveva sporcato i pantaloni e anche tutti i pensieri, ma questa è un’altra storia.
Successe invece che, distrattamente, chiacchierando col primo Filomeno, il secondo Filomeno si lasciasse scappare che, per evitare di infeltrire troppo i maglioni, faceva un certo uso di AMMORBIDENTI!
Il primo Filomeno saltò in piedi come un matto: “AMMORBI I DENTI! Ma allora sei tu che fai cariare tutti i canini dei miei pazienti! Ogni molare che devo molare, ogni incisivo  che devo incidere, ogni premolare che devo premolare, potrebbe essere salvato eliminando questi mefitici ammorbidenti!
Sull’onda di questa frase, un dentista mannaro che passava di là (si chiamava anche lui Filomeno, perché era un filo – ma direi anche una corda – meno intelligente della media), fece notare ai Filomeni che, se non ci fossero state più le carie, lui e tutti i dentisti del mondo non avrebbero più avuto di che guadagnarsi da vivere.  
Il Primo Filomeno rispose con sdegno che eliminare in un colpo tutti i problemi dei suoi pazienti sarebbe valso qualunque sacrificio e anche di più. Tra l’altro lui aveva sempre avuto anche il pallino dei puzzle e poteva vivere tranquillamente vendendo quelli, che nei mercatini vanno fortissimo all’interno di certe cornicette.
Il Filomeno mannaro fu radiato dall’albo dei dentisti e anche da quello dei medici. Per l’occasione, fu chiamato un famosissimo radiatore e gli fu dato sulla testa.
Il Primo Filodemo fece una crociata per eliminare gli ammorbidenti dagli armadi di tutte le donne di casa e ottenne, infine, che questi fossero sostituiti con delle torte.
Tutt’ora non è chiaro come utilizzare le torte sul bucato. In compenso queste torte hanno una dote speciale: i bimbi possono mangiarne quante ne vogliono e i loro denti non si carieranno mai, perché nascono dall’amore di Filomeno il dentista, che magari non era tanto bravo con le parole, ma aveva un cuore grande come un continente.  

martedì 2 ottobre 2012

l'oltretromba


C’era una volta un flauto che si ostinava a dir le frasi tutte d’un fiato. Anche i suoi amici erano ostinati, e difatti facevano gli osti. Gli dicevano: vieni a fare l’oste con noi, invece di ostinarti a dire le frasi tutte d’un fiato. Ma avevano fatto i conti senza l’oste, cioè li avevano fatti giusti, dato che il flauto non andò mai a fare l’oste.
Invece rimase senza fiato tutto d’un tratto. Fu un momento fatale: vide tutto dissolversi e in un attimo si ritrovò nell’OLTRETROMBA.
Nell’oltretromba, oltre alla tromba, c’erano un clavicembalo e un paio di maracas del Portorico.
Cercò subito la complicità dei suoi compagni e mostrò tutta la sua decisione: “Per andarcene di qui, ci vuole un piano!”.
Il clavicembalo indicò un piano a coda, che si trovava su un forte poco distante, dove era arrivato piano piano (forse per via della coda). Il pianoforte salutò in Do maggiore, una nota molto grave che la maestra gli aveva dato per via di una sviolinata fatta a una tastiera. Il violino né era rimasto tanto contrariato che per il resto della lezione non aveva più preso appunti, ma solo cocenti disappunti.
Per inciso, per cuocere un disappunto, bisogna innanzitutto lavare col sapone l’espressione torva di chi lo prova, beninteso che se, dopo averlo provato, non gli piace, può benissimo lasciarlo lì. Con un po’ di mira lo lascia proprio a noi, che volevamo per l’appunto cuocerlo.
Per ancora più inciso, non so perché dovessimo cuocere il disappunto per l’appunto e non piuttosto, l’appunto per il disappunto, forse perché non eravamo disappuntiti e per questo si sarebbe dovuto temperarci. Per farlo prendemmo esempio dal clima: chi ha temperato la primavera, ci chiedemmo? Che si sia temperata da sola? Incuriositi, andammo dalla primavera a chiederglielo.
Per errore, prima della primavera, incappammo in una dopofalsa, che però era falsa. Dunque una falsa dopo falsa, ovvero una vera dopo vera, ben distinta da una vera dopo falsa, o moto falsa, che neanche si accende, o topo sfalsa, e a dirla tutta un topo che faceva lo sfalsario una volta l’ho conosciuto. Lo sfalsario, per capirci, è un tale (un topo in questo caso, ma magari anche in altri) dotato di un’enorme gomma, che cancella le banconote false fino a trasformarle in splendidi bloc notes.
Tornando al flauto, il cembalo (prima era un clavicembalo, ma ora aveva smarrito le clavi) gli spiegò delicatamente che non sentivano alcun bisogno di andarsene perché nell’oltretromba, oltre alla tromba, c’era tutta gente simpatica e si respirava un’atmosfera molto armonica: si trattava in effetti di una fisarmonica satellitare. Di preciso un’armonica a bocca, che quella volta però non abboccò e nondimeno (anche perché non so poi cosa avrei dovuto dimenare) tutti la respiravano lo stesso.
Il flauto capì e accettò di buon grado la nuova collocazione. Per sicurezza, tuttavia, rimase sempre un po’ in campana e, col tempo, divenne molto amica del batacchio.