mercoledì 3 ottobre 2012

Il dentista Filomeno e il giorno in cui gli ammorbidenti furono sostituti con delle torte


C’è un dentista di nome Filomeno. Prima ce n’era certamente di più, ma ora ne è rimasto un Filo meno. Il filo di Filomeno, è ovviamente del filo interdentale e, come dice il nome stesso, Filomeno lo utilizza per menare i suoi pazienti. I pazienti non fanno così fatica ad essere pazienti: essere menati con il filo interdentale non è certo molto doloroso e spesso costituisce un piacevole diversivo rispetto a certe feroci trapanate.
Un giorno Filomeno incontrò un sarto pentito: anche lui si chiamava Filomeno, ma per ragioni del tutto diverse.
Il secondo Filomeno, sicuramente filava di meno, in compenso lavava e stirava quanto prima e anche di più: i suoi bambini stavano crescendo e sempre più spesso tornavano a casa tutti infangati.
Spesso lo sentivi dire:
 “Giovannino, come sei conciato! Dove ti sei andato a infilare? Su a lavarti dritto filato!” (pensare che lui che voleva filare di meno!)
Oppure: “Lucia, ma su che prato sei mai stata per macchiarti il sedere di azzurro?”
E Lucia si era seduta a testa in giù proprio nel cielo, che le aveva sporcato i pantaloni e anche tutti i pensieri, ma questa è un’altra storia.
Successe invece che, distrattamente, chiacchierando col primo Filomeno, il secondo Filomeno si lasciasse scappare che, per evitare di infeltrire troppo i maglioni, faceva un certo uso di AMMORBIDENTI!
Il primo Filomeno saltò in piedi come un matto: “AMMORBI I DENTI! Ma allora sei tu che fai cariare tutti i canini dei miei pazienti! Ogni molare che devo molare, ogni incisivo  che devo incidere, ogni premolare che devo premolare, potrebbe essere salvato eliminando questi mefitici ammorbidenti!
Sull’onda di questa frase, un dentista mannaro che passava di là (si chiamava anche lui Filomeno, perché era un filo – ma direi anche una corda – meno intelligente della media), fece notare ai Filomeni che, se non ci fossero state più le carie, lui e tutti i dentisti del mondo non avrebbero più avuto di che guadagnarsi da vivere.  
Il Primo Filomeno rispose con sdegno che eliminare in un colpo tutti i problemi dei suoi pazienti sarebbe valso qualunque sacrificio e anche di più. Tra l’altro lui aveva sempre avuto anche il pallino dei puzzle e poteva vivere tranquillamente vendendo quelli, che nei mercatini vanno fortissimo all’interno di certe cornicette.
Il Filomeno mannaro fu radiato dall’albo dei dentisti e anche da quello dei medici. Per l’occasione, fu chiamato un famosissimo radiatore e gli fu dato sulla testa.
Il Primo Filodemo fece una crociata per eliminare gli ammorbidenti dagli armadi di tutte le donne di casa e ottenne, infine, che questi fossero sostituiti con delle torte.
Tutt’ora non è chiaro come utilizzare le torte sul bucato. In compenso queste torte hanno una dote speciale: i bimbi possono mangiarne quante ne vogliono e i loro denti non si carieranno mai, perché nascono dall’amore di Filomeno il dentista, che magari non era tanto bravo con le parole, ma aveva un cuore grande come un continente.  

martedì 2 ottobre 2012

l'oltretromba


C’era una volta un flauto che si ostinava a dir le frasi tutte d’un fiato. Anche i suoi amici erano ostinati, e difatti facevano gli osti. Gli dicevano: vieni a fare l’oste con noi, invece di ostinarti a dire le frasi tutte d’un fiato. Ma avevano fatto i conti senza l’oste, cioè li avevano fatti giusti, dato che il flauto non andò mai a fare l’oste.
Invece rimase senza fiato tutto d’un tratto. Fu un momento fatale: vide tutto dissolversi e in un attimo si ritrovò nell’OLTRETROMBA.
Nell’oltretromba, oltre alla tromba, c’erano un clavicembalo e un paio di maracas del Portorico.
Cercò subito la complicità dei suoi compagni e mostrò tutta la sua decisione: “Per andarcene di qui, ci vuole un piano!”.
Il clavicembalo indicò un piano a coda, che si trovava su un forte poco distante, dove era arrivato piano piano (forse per via della coda). Il pianoforte salutò in Do maggiore, una nota molto grave che la maestra gli aveva dato per via di una sviolinata fatta a una tastiera. Il violino né era rimasto tanto contrariato che per il resto della lezione non aveva più preso appunti, ma solo cocenti disappunti.
Per inciso, per cuocere un disappunto, bisogna innanzitutto lavare col sapone l’espressione torva di chi lo prova, beninteso che se, dopo averlo provato, non gli piace, può benissimo lasciarlo lì. Con un po’ di mira lo lascia proprio a noi, che volevamo per l’appunto cuocerlo.
Per ancora più inciso, non so perché dovessimo cuocere il disappunto per l’appunto e non piuttosto, l’appunto per il disappunto, forse perché non eravamo disappuntiti e per questo si sarebbe dovuto temperarci. Per farlo prendemmo esempio dal clima: chi ha temperato la primavera, ci chiedemmo? Che si sia temperata da sola? Incuriositi, andammo dalla primavera a chiederglielo.
Per errore, prima della primavera, incappammo in una dopofalsa, che però era falsa. Dunque una falsa dopo falsa, ovvero una vera dopo vera, ben distinta da una vera dopo falsa, o moto falsa, che neanche si accende, o topo sfalsa, e a dirla tutta un topo che faceva lo sfalsario una volta l’ho conosciuto. Lo sfalsario, per capirci, è un tale (un topo in questo caso, ma magari anche in altri) dotato di un’enorme gomma, che cancella le banconote false fino a trasformarle in splendidi bloc notes.
Tornando al flauto, il cembalo (prima era un clavicembalo, ma ora aveva smarrito le clavi) gli spiegò delicatamente che non sentivano alcun bisogno di andarsene perché nell’oltretromba, oltre alla tromba, c’era tutta gente simpatica e si respirava un’atmosfera molto armonica: si trattava in effetti di una fisarmonica satellitare. Di preciso un’armonica a bocca, che quella volta però non abboccò e nondimeno (anche perché non so poi cosa avrei dovuto dimenare) tutti la respiravano lo stesso.
Il flauto capì e accettò di buon grado la nuova collocazione. Per sicurezza, tuttavia, rimase sempre un po’ in campana e, col tempo, divenne molto amica del batacchio.

Il lupo in sella


Questa è la storia di un lupo di un'altra storia, che x presentarsi a una lupina niente male, di cui era tutto innamorato, decise di saltare in sella. 
Il perché non lo saprei dire, forse per quella strana idea che hanno a volte i lupi innamorati, di voler sembrare un tenero principe azzurro dimenticandosi che, in quel caso, la lupa deciderà probabilmente di addentargli una coscia. 
In ogni caso, in difetto di animali da soma (figuratevi che lì vicino, a parte un'upupa e un uovo, non c'era proprio nessuno) il lupo tentò con costanza di salirsi in sella da solo; la qualcosa tuttavia era impossibile finché c'era Costanza, per cui dovette spiegarle delicatamente che il posto sulla sua groppa era già prenotato (mostrò x l'occasione un segnaposto con scritto "me"). 
Senza più costanza, il lupo non poté che arrendersi dopo pochi tentativi. In quei pochi, tuttavia, girò su se stesso così vorticosamente che ne nacque un piccolo uragano. 
La lupa, che era un'aspirante meteorologasi mostrò molto interessata a quel fenomeno e, di lì a poco, i due poterono finalmente conoscersi.

la lupupa

"Guarda guarda quella lupa!"
disse il lupo "È una gran pupa!"

"Ehi LUPUPA!" la chiamò, 
ma L'UPUPA disse: "ohibò, 
sono al terzo ramo e sto, 
chi mi chiama non lo so, 
perciò me ne sbatterò. 

E si sbatte come un uovo, 
tra le piume fa un frastuono, 

che in accordo col fraslampo, 
fanno al lupo un bello shampo, 

così il lupo, fiero in sella*, 
può tornar dalla sua bella. 







* per maggiori informazioni sulla sella del lupo, non vi rimando né a settembre né a quel paese (non avendovici ancora mai mandati), bensì alla fiaba adiacente: "Il lupo in sella"

lunedì 1 ottobre 2012

Il tiro assegno


Un tale giocava al tiro assegno. Ma tira che ritira, l’assegno si ruppe in due.
Se non altro, avete visto una riga fa, l'assegno era stato appena ritirato. 
In banca, direte voi? 
Neanche: l’aveva bagnato tutto e per quello si era ritirato. 
Per asciugarne almeno metà, smise di tirarlo, anche perché non sapeva se qualcuno l’avrebbe preso al volo e, anche in quel caso, se l’avrebbe asciugato. 
Iniziò così a asciugarlo lui. 
E fece bene, perché certe cose, se non le facciamo, nessun’altro le farà per noi. 

Il verbo orsare


“Corso” è un verbo che va a dorso
E per giunta implica un orso:
inventando il verbo “orsare”,
potrei anche andare al mare.

Vado al mare e trovo un orso
e una mela con il torso.
“C’orso” è un verbo riflessivo
Che mi rende assai giulivo.

“Vola solo chi ORSA farlo”,
come disse l’orso Carlo.
Non sapendo cosa farci,
tutti insieme andiamo a ORSARCI.

Però ORSARCI che vuol dire?
Lì per lì non lo so dire.
Per saperlo ho interrogato,
tutti gli orsi del creato.

Son finito a Yellowstone,
e non senza del bon ton,
Yoghi e Bubu ho interpellato,
così mi hanno accontentato:

la risposta, mi hanno detto,
sta nel miele: un chilo o un etto.
Ma or che tutto l’ho mangiato,
me la son dimenticato!

La distrazione


C’era un tale distratto di Fidenza,
che era distratto ma solo in apparenza.
Provai a verificare questo fatto
nel farlo però mi son distratto. 

Mi distrassi un poco per scherzare,
mentre provavo a rastrellare il mare.
Mi chiese di scoparlo un vecchio amico
(a dire il vero un poco spazientito);

per fare un lavoro più di fino
cercai di procurarmi un rastrellino.
Lo chiesi a quel il signore di Fidenza,
che lo teneva sotto la credenza.

ma quello era tanto disattento
da darmi un rasaerba per il mento.
Usai lo stesso quello, soddisfatto,
di ritagliare un mare un po’ più piatto.