"Guarda guarda quella lupa!"
disse il lupo "È una gran pupa!"
"Ehi LUPUPA!" la chiamò,
ma L'UPUPA disse: "ohibò,
sono al terzo ramo e sto,
chi mi chiama non lo so,
perciò me ne sbatterò.
E si sbatte come un uovo,
tra le piume fa un frastuono,
che in accordo col fraslampo,
fanno al lupo un bello shampo,
così il lupo, fiero in sella*,
può tornar dalla sua bella.
* per maggiori informazioni sulla sella del lupo, non vi rimando né a settembre né a quel paese (non avendovici ancora mai mandati), bensì alla fiaba adiacente: "Il lupo in sella"
Il blog di Filastrocche su misura. "Sbagliando s'impara è un vecchio proverbio, il nuovo potrebbe dire che sbagliando s'inventa" [G.Rodari]
martedì 2 ottobre 2012
lunedì 1 ottobre 2012
Il tiro assegno
Un tale giocava al tiro assegno. Ma tira che ritira, l’assegno
si ruppe in due.
Se non altro, avete visto una riga fa, l'assegno era stato appena ritirato.
In banca,
direte voi?
Neanche: l’aveva bagnato tutto e per quello si era ritirato.
Per asciugarne almeno metà, smise di tirarlo, anche perché
non sapeva se qualcuno l’avrebbe preso al volo e, anche in quel caso, se l’avrebbe asciugato.
Iniziò
così a asciugarlo lui.
E fece bene, perché certe cose, se non le facciamo,
nessun’altro le farà per noi.
Il verbo orsare
“Corso” è un verbo che va a dorso
E per giunta implica un orso:
inventando il verbo “orsare”,
potrei anche andare al mare.
Vado al mare e trovo un orso
e una mela con il torso.
“C’orso” è un verbo riflessivo
Che mi rende assai giulivo.
“Vola solo chi ORSA farlo”,
come disse l’orso Carlo.
Non sapendo cosa farci,
tutti insieme andiamo a ORSARCI.
Però ORSARCI che vuol dire?
Lì per lì non lo so dire.
Per saperlo ho interrogato,
tutti gli orsi del creato.
Son finito a Yellowstone,
e non senza del bon ton,
Yoghi e Bubu ho interpellato,
così mi hanno accontentato:
la risposta, mi hanno detto,
sta nel miele: un chilo o un etto.
Ma or che tutto l’ho mangiato,
me la son dimenticato!
La distrazione
C’era un tale distratto di Fidenza,
che era distratto ma solo in apparenza.
Provai a verificare questo fatto
nel farlo però mi son distratto.
Mi distrassi un poco per scherzare,
mentre provavo a rastrellare il mare.
Mi chiese di scoparlo un vecchio amico
(a dire il vero un poco spazientito);
per fare un lavoro più di fino
cercai di procurarmi un rastrellino.
Lo chiesi a quel il signore di Fidenza,
che lo teneva sotto la credenza.
ma quello era tanto disattento
da darmi un rasaerba per il mento.
Usai lo stesso quello, soddisfatto,
di ritagliare un mare un po’ più piatto.
domenica 30 settembre 2012
La barba dello zio Fabio
La barba dello zio Fabio è di tutti i colori, ma il più delle
volte esce in incognito, travestita da barba qualunque.
La barba dello Zio Fabio è gialla di lunedì, arancione
quando le va e la domenica è azzurra per tutto il giorno.
La barba dello zio Fabio è tutt’altro che una barba, difatti
è simpatica da morire e ride e scherza con tutte le barbe del circondario,
persino quelle dei monumenti.
La barba dello zio Fabio sa milioni di barzellette ma, non
avendo la bocca per raccontarle, le tiene tutte a mente, col risultato che
le scappa sempre da ridere, ma dove scappi dovete scoprirlo voi.
La barba dello zio Fabio ama l’ordine e, la mattina, si sveglia
presto e si stira fino all’ultimo pelo.
Si stira anche lo zio Fabio, perché è appena suonata la
sveglia.
Si alza contento, mette la barba, infila i vestiti (credo in
una busta), pettina bene il sorriso ed esce di corsa perché è domenica, e va a
giocare con le sue nipotine.
venerdì 28 settembre 2012
La mia testa
Conosco un mini-matto,
che vive sempre in festa,
è proprio un mattarello,
mi arriva sulla testa.
La testa è ancora intera,
la forma di una pera,
il gusto di un tartufo
e vola come un ufo.
Vola come un aereo,
canta come uno stereo,
salta come un canguro
e a volte becca il muro.
Ma neanche li si è rotta,
sembra una pera cotta,
la cotta è medievale,
e infatti è carnevale.
La mia testa ragiona,
la picchi e ti perdona,
a spicchi è un po’ più buona
e se la batti suona.
Suona però non canta,
canta però non suona,
la assaggi ed è una santa,
infatti e tanto buona.
giovedì 27 settembre 2012
Il francobello
Ho un’amica con i piedi all’insù, la testa di lato ed il
braccio girato. Ma questa è un’altra storia.
Riguardo a questa storia, vi racconterò invece di quella
volta che la mia amica spedì una lettera a suo zio ereditato.
PARENTESI
Forse pensate a uno zio ereditario. E invece no. Oppure che
ereditò DA uno zio, magari d’America, una fantastica Cadillac e una bella casa
galleggiante. Ancora: no!
Se veramente non vi è mai capitato di ereditare uno zio, sappiate
che lei ne ereditò uno: dopo una vecchiaia gioiosa e una serena dipartita, sua
nonna lo incluse nel testamento a favore di Ornella (così si chiamava la mia
amica): lo zio fu collocato ordinatamente tra le cose della nonna e spedito a
casa della sbilenca ereditiera in un sontuoso pacchettino verde.
Ornella pensò a lungo a dove collocare lo zio, ma in anticamera
c’era già l’attaccapanni, in camera da letto c’era già il letto, in cucina c’era
già la cucina. Così lo zio ereditato venne spedito nella casa in montagna, dove
c’era una stanza per gli ospiti.
Mi piacerebbe raccontarvi di un’avventura impensabile che
accadde una volta allo zio in questa casa, ma siccome non posso pensarla, per oggi
mi limiterò a dire che non c’era il telefono e che per questa ragione, due volte
al mese, Ornella scriveva una lettera allo zio. Quella volta, in particolare,
gli scrisse la lettera A.
CHIUSA PARENTESI
Arrivata di fronte alla buca delle lettere, giunse il
solenne momento dell’affrancatura (perché solenne non saprei, dato che non si
trattava di SOLE ENNE ma, come già detto, di una A).
Accadde però che, per una particolare svista del tabaccaio
da cui Ornella stava acquistando il francobollo, le venne venduto un
FRANCOBELLO.
Francobello, che era alto 1.80, biondo e con un sorriso
bellissimo, in quel momento dormiva per cui non fece nemmeno in tempo a
presentarsi. La ragazza, dal canto suo, presa dalla solennità del momento, non
si accorse minimamente dell’errore, leccò una spalla di Francobello e lo
appiccicò alla lettera da spedire allo zio.
Non vi dico a imbucarlo: non c’era modo di inserirlo nella
fessura e per essere sicura che la sua missiva non venisse smarrita, legò la
lettera con tanto di Francobello alla buca delle lettere con una serie di
elastici che le spuntavano dalle tasche. Quindi se ne andò a casa serena.
La mattina dopo, fu una postina a trovare Francobello e se ne innamorò perdutamente. Perduta che ebbe la mente, tuttavia, non assunse un aspetto molto intelligente: il giovane dovette aiutarla parecchie ore a cercarla prima di potersi a sua volta innamorare della postina (che non era Tina, ma quella che viene dopo). Insieme, partirono alla volta delle cascate del Niagara.
E la lettera?
Arrivò puntuale, anche se lo zio ereditò una bella multa.
Tuttavia ne valse la pena: la A era una delle sue lettere
preferite. Rientrato a casa, la collocò
sullo scaffale in bella vista subito prima di una H, fece una doverosa risatina
e si sedette soddisfatto a fumare la pipa.
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