martedì 29 gennaio 2013

Il naso di raso


Avevo un naso verde,
ma del color del raso,
se sbucan dei peletti,
io subito li raso.

Hai reso rosa il raso,
e dopo me l’hai reso,
così col naso rosa,
insù mi son proteso.

Ma tanto mi protesi,
che fu protesi all’anca,
di giorno ho i panni stesi
ne cerco uno che manca:

un panno color panna,
la forma di una pinna,
ci scrissi sopra a penna,
la firma di zia Anna.

Così ho un capo firmato,
tra fronte e cervelletto,
di raso come il naso,
però color confetto.

lunedì 28 gennaio 2013

Lo scaccianoci


C’era una volta uno schiaccianoci che, anziché schiacciare le noci, le scacciava. Un bel problema, perché dopo averle scacciate non poteva più schiacciarne neanche una, con grande fame, per conseguenza, dei pargoletti golosi di casa Andersen (così si chiamava la magione dove abitava lo scorbutico schiaccianoci).
La storia si complicò quando arrivò un caccianoci, che non era un cacciatore di noci, ma uno che infilava le noci in tutti gli angoli. Un passatempo alquanto nocivo, infatti si sa bene, e sa bene la brava massaia di casa Andersen, che gli angoli sono i più difficili da pulire.
Tornò quindi in scena il nostro eroe che, per quanto di indole un po’ dura, aveva simpatia per la povera signora di casa Andersen. Lo schiaccianoci, che ormai si poteva chiamare a pieno titolo scaccianoci, si portò balzellonando all’angolo della stanza con l’idea di scacciare una noce e lasciare il pavimento bello pulito. Scoprì però con sorpresa che, essendo stata messa all’angolo, la noce non riusciva a scappare.
A questo punto tirò un sospiro e decise una volta per tutte di ritornare a fare il suo mestiere, schiacciando non solo noci, ma anche noccioline, arachidi e a volte anche qualche dito dei golosi bambini di casa Andersen.

La minestra


Ho cucinato una minestra alla zucca, ma la zucca non la voleva, per cui è saltata dalla finestra atterrando sulla zucca di Adelmo, che ha in testa un elmo. Un elmo a forma di colle. Un elmo colle. Dal peso di quell’elmo, Adelmo stava “felmo”, che non è proprio “fermo”, ma è fermo per un elmo. Come un elmo concepisca la fermezza, non glielo si può chiedere, ma si può imparare appoggiandolo e standolo a guardare. Per ingannare la noia, si può sottoporle uno scioglilingua, ma non è detto che la noia ci caschi, come non è detto che la lingua si sciolga, come non è detto che l’elmo stia fermo, o felmo, o Adelmo passi oppure vada via. In particolare, Adelmo non è passato, non è andato via, non ha capito un cavolo ma con quel cavolo, anche se Adelmo non l'ha capito, si è arricchita la minestra dandole un saporino niente male, come ci conferma la zucca con un sorriso soddisfatto. 

Il clavicembalo


“La verità è che non sono per niente organizzato” disse il clavicembalo all’organo.
Ma l’organo era un polmone, anzi due (c’era il due per uno: due) e entrambi i polmoni, o tutto l’organo, gli risposero:
“Caro cembalo, per chiarirti le idee, dovresti diventare un claricembalo, ma un claricembalo molto pulito – noi polmoni (o io organo, a piacere) siamo molto precisi con l’igiene – e quindi un clarinetto.
Ma il clavicembalo non voleva diventare un clarinetto. Dopo lunga discussione, trovarono comunque un accordo: un re minore. Fortunatamente, il re accettò melodiosamente di essere minore: poiché gli era invisa la divisa, non avrebbe mai sopportato di essere maggiore, né generale, né specifico.
E in re minore (e profondamente pacifista), si intonò una magnifica strofa:
primo esecutore: il clavicembalo.
Secondo esecutore: l’organo.
Ma poiché l’organo era un polmone, anzi due, si intonò un canto a pieni polmoni, che faceva così:

Non sarò proprio perfetto,
e non sono clarinetto,
se son disorganizzato,
prenderò il sole sul prato
e il calor mi aiuterà,
trallallero trallallà.

Seguono applausi, strette di mano, il saluto commosso della mamma, gesti di solidarietà da tutti gli strumenti, ma proprio tutti, persino i cacciaviti e le pinze (questi ultimi, che suonano una musica diversa ma altrettanto nobile: quella del costruire).  

Il cormorano


Sulla strada x Cormano,
incontrai un cormorano,

proseguivo contromano
(se non altro andavo piano)

e il volatile mi disse:
"contromano cerchi risse

 o ti basta un incidente
 e il trapianto di un tuo dente?"

Gli risposi con un canto:
"se é già mio, cosa trapianto?

Io non cerco rissa alcuna,
ma quel dosso è più una duna,

io non cerco alcuna rissa,
però, lei, cos'è che fissa?"

È così che il cormorano
dalla strada per Cormano,

prese quella dello zoo
e si volatilizzò.

venerdì 25 gennaio 2013

La mucchite



Per ogni mucca che bruca c’è un bruco che mucca. Non solo: quel bruco ha la mucchite, malattia che viene indistintamente a tutti i bruchi che muccano. Nessuna mucca, invece, ha mai preso una bruchite nonostante bruchi a più non posso e se più non posso io, magari lei bruca ancora e anche molto, alla fine che ne sappiamo? E poi io che c’entro?
È quel che dice anche il bruco:
“Scusa che c’entri tu?” si lamenta, “Sono io che ho la mucchite! Chiamate un dottore, per dinci!”
“Signor bruco”, gli faccio notare con pazienza, “così si da la zappa sui piedi! Se lo il dottore lo chiamiamo per Dinci, nessuno curerà più lei!”
Ma il bruco ha ben altri problemi: si è dato la zappa sui piedi senza avere i piedi, e questo gli sembra ancora peggio della mucchite!
“Fossi stato almeno un millepiedi...” sospira il bruco.
“Fossi stato un millebruchi...” sospira il piede.
“Fossi stato un millezappe...”, sospira il millepiedi “avrei dissodato i campi da qui alla Pennsylvania, senza dimenticare le spiagge e i fondali.”
Nella terra dissodata si sarebbe poi seminato con cura, dalla cura mille piante verdi sarebbero nate, dalla loro nascita un sorriso per la terra e dalla terra dei bruchi il volo di mille farfalle. 

La sciarpa


Una volta, una suonatrice di arpa molto infreddolita, appoggiò la sua arpa su un paio di sci. Ed ecco che apparve una sciarpa che la metà bastava! Poiché la metà bastava, regalò l'altra metà ad un altro signore infreddolito. Questo signore, tuttavia, era un po' meno infreddolito della suonatrice di arpa e regalò metà della sua sciarpa a una signorina che coglieva, proprio in quel momento, un bel fiore arancione. Teresa, così si chiamava quest'ultima, non aveva proprio freddo, ma tenne metà sciarpa per simpatia e ne regalò metà al suo nipotino, che ne regalò un pezzo ad ogni suo amico della scuola materna. Ognuno di questi bambini, tornato a casa, divise il proprio dono in due parti e diede quella più grande alla mamma. Le mamme sorridevano intenerite e non sappiamo cosa fecero di quei minuscoli pezzi di sciarpa: di sicuro, piccoli com'erano, non potevano molto contro il vento dell'inverno, in compenso scaldavano il fondo del cuore.

Un cavaliere senza pari


C'era una volta un cavaliere senza pari, ma con molti dispari. Un giorno decise che era giunto il momento di dispareggiare i conti: iniziò così a contare al contrario ma, poiché era uno che contava, presero a contare al contrario anche tutti gli altri, così che il suo contrario divenne diritto. Il suo contrario, che non solo non era cavaliere, ma aveva così pochi dispari che li si contava solo se si voleva risparmiare tempo, divenne effettivamente bello diritto, mentre prima se ne stava un po' ingobbito enumerando i molti pari che gli si paravano di fronte. La volta però che gli si parò di fronte un dispari, disparve perla sorpresa. Come una perla potesse sorprendersi, dovremmo chiederlo al primo cavaliere, quello che conta al contrario ed é ancora convinto di avere molti dispari, non avendo capito che il cuore degli uomini, in fondo, é sempre uguale.

domenica 20 gennaio 2013

Il dettato


Una volta, la maestra, durante il dettato, iniziò a dettare legge. I bambini presero a scriverla diligentemente, ma questo, dopo poco, generò un po' di confusione giacché la legge, come dice la parola stessa, la maestra la legge e non la scrive. Allora perché avrebbero dovuto scriverla loro? E poi diciamolo, le leggi non si dettano, al massimo si discutono. La maestra discusse così con i bambini e la legge che ne seguì prevedeva fontane di zucchero filato di fianco all'entrata della scuola, musica di violini (con tanto di farfalle che danzavano) durante l'intervallo, un pagliaccio personale per far saltare i bambini sulla pancia prima e dopo le interrogazioni, e tante altre cose del genere.
Non vi dico che leggi incredibili stabilirono per il mondo fuori dalla scuola!

La frutta bandita


"Posso avere un piattino di frutta candita?" ordinò Gilberto al Bar Lume, proprio qui all'angolo. 
Ma anziché della frutta candita, Pasquale, che era sordo da un orecchio e cieco dall'altro (quest'ultima cosa, molto meno grave), gli portò della frutta condita. Fu un problema, perché le dita non erano neanche sue, ma di un passante la cui igiene personale era tutta da verificare. 
"Ma io l'avevo chiesta candita!"
"Con tanto che i cani non hanno le dita nemmeno se ballano il can can!" esclamò Pasquale che aveva un braccio sordo e uno zoppo (quest'ultimo, un tantino più grave). Fu però con il braccio sordo che gli portò nientemeno che della frutta bandida, che, dal momento che l'avevano bandita, non c'era più. Pertanto a Gilberto rimase molto poco da mangiare. 
Ma non finisce qui: la frutta, che come abbiamo detto era diventata una terribile bandita, irruppe dalla porta col bavaglio sulla faccia e svaligiò il bar Lume. Gilberto non aveva alcuna valigia, Pasquale invece ne teneva una sotto il bancone piena di caramelle da regalare di tanto in tanto ai figli dei vicini. 
Fu così che la frutta, pur non essendo mai stata candita, divenne decisamente caramellata e Gilberto se la mangiò in un boccone, sventando la rapina, saziandosi per bene e ripristinando l'ordine al Bar Lume. 

venerdì 18 gennaio 2013

Gli uomini farfalla


Questa è la storia degli uomini farfalla
Che stavano al mondo in equilibrio su una palla.

La palla, però, a dirla tutta era un fiore
e a ogni filo di vento cambiava colore;

ogni colore alloggiava su un petalo
che a ogni raggio di sole cambiava secolo.

Così gli uomini farfalla ridevano di cuore
Sempre a spasso nel tempo senza mai un dolore. 

La monarchia


Il visconte Vaietorni
fu anche re per otto giorni, 
ma chi troppo amava la monarchia
lo mise in tasca e lo portò via! 

Il sasso (non uno qualunque: quello del visconte Vaietorni)


Il  visconte Vaietorni,
trova un sasso nei dintorni,
ma poiché teme la nostalgia,
non se la sente di darlo via.

Lo tiene in tasca e pesa parecchio,
lo porta al parco e nel bosco vecchio,
lo porta al lago e lo porta al mare,
e con quel peso ha un gran bel sudare.

Là sulla riva guarda i passanti,
a chi vuol bene? Ma a tutti quanti!
Poi pensa al sasso che è tutto solo,
lo prende in mano e lo lancia al volo.

Con cento salti tra le onde
la pietra saluta e lui le risponde,
infine sul fondo andrà a ritrovare
la sua famiglia di sassi di mare. 

mercoledì 16 gennaio 2013

Valle a capire le H


Un giorno, Deborah e Chiara, si sono un po’ accapigliate, cioè, si sono pigliate un’H. In particolare, Debora ha preso la H di Chiara, che è diventata all’improvviso una Ciara senza neanche un dente, e se l’è messa in tasca. Ciara, che odia gli omogeneizzati, si è un po’ preoccupata e ha subito ha cercato di indossare la H di Deborah, solo che quella era una H finale, e così è diventata Ciarah. Una bella rogna!
Non diciamo neanche che la povera Ciarah, aveva pure l’R moscia, col risultato che quando si è presentata a Rino il galletto per chiedergli in prestito delle uova, Rino ha capito solo Ciaaah e l’ha presa per una cinese. Una cinese senza però gli occhi a mandorla. Da cui ha pensato che, in presa a una crisi di gola, si fosse pappata entrambe le mandorle rimanendo con degli occhi in perfetto stile occidentale.
Ma Ciaaah non demordeva, e ha ripetuto più volte il suo nome anche a Peppina la gallina - tra l’altro, legittima proprietaria delle uova –, col risultato che quest’ultima ha pensato che starnutisse e le ha offerto un fazzoletto di piume. Con le piume si è fatta il solletico al naso e ha starnutito davvero. Per il contraccolpo è finita addosso a Debora, che di tutta la scena non aveva capito un’H. Ma fu una fortuna, perché quella H era una H centrale, e dato che tanto Debora non la capiva, Ciaaah la inghiottì tutta d’un colpo. Usò poi la R di Rino per rafforzare la dizione del suo nome (il galletto divenne così Ino, e quindi un gallettino piccolo piccolo, ma che proprio per questo faceva più simpatia). Ritornò così la Chiara bella sana di sempre.

Avanza una H, direte voi, ma era una H finale e difatti l’ho tenuta per la 

FINEH

Il deragliamento


C’è un asino sul treno, che però ha deragliato. E qui casca l’asino. Vorrei vedere voi, quello mica ha la mano per tenersi alla maniglia in caso di deragliamento - anche se qui non deraglia il mento, ma il treno; ma deraglia anche l’asino, e questo complica tutto. Già prima ragliava, ora che addirittura deraglia, dico io, finirà per assordarci.
Per risolvere il problema, si è interpellato un asino istruito, Raglio De Raglis, pluriesperto in ragli e deragli, ritagli, tagli e abbagli, e difatti prese un abbaglio:
invece di curarsi del nostro asino, o ascoltare il macchinista che si lamentava per i danni alla carrozzeria della prima e della seconda carrozza, fece notare a entrambi che, treno o non treno, c’era un sole magnifico e la giornata restava splendida. 
Così finì la storia e di abbagli così, speriamo se ne prendano tanti da riempirci la casa, il giardino e ne avanzino ancora da regalare. 

martedì 15 gennaio 2013

Le stelle


“Dottore, dottore, non so bene che fare!”
“Mi dica, figliolo, mi dica.”
“Vede dottore, continuo a scrivere filastrocche e non c’è mai una volta che non ci cada dentro una stella. Io cerco, lo sa, di tenere i piedi per terra e forse lo faccio anche, ma quelle inesorabilmente mi cascano nella tazza, faccio per raccoglierle con la forchetta (per non tirare su anche il tè), ed ecco che si sono già spiaccicate sul foglio.
Ecco vede dottore, io non vorrei che si facessero male. Non solo: per tutte quelle che ti finiscono sul foglio, mi dico, non è che rimarrà un pezzettino di cielo più buio? Mi aiuti dottore, non so più che fare!”
E il dottore, che non era soltanto un dottore ma anche un dotto re, mi rese edotto del dato di fatto che:
le stelle non soffrono, ma brillano.
Chi le guarda, le pensa e le sogna, non soffre, ma brilla.
Chi se le trova sotto il naso sul foglio, tutto sommato io spero che non soffra, ma brilli.
In quanto al brillare di meno, le stelle brillano sempre ovunque dappertutto, ad esempio, in questo momento, nei vostri pensieri, eppure anche in tutta la volta del cielo. 

lunedì 14 gennaio 2013

Animaletti


Viveva un furetto
che prima fu retto
ma dopo deviò,
perché, non lo so.

Ed anche un castoro
Sì casto, ma d’oro
sua moglie salpò
per dove non so.

Così un maggiolino
che a maggio fu Lino
A giugno cambiò
In cosa non so!




Ma voi lo sapete, vero? Se sì, ditelo a voce alta a chiunque abbiate di fronte! Se non vi va di dirlo, provate a immaginarlo mentre ride.
Chi? Ma il giugnolino, no???

domenica 13 gennaio 2013

La rivoluzione


C’era una volta un despota
gli desputai in un occhio,
provai anche a segargli
le ruote del suo cocchio.

Ma quello andava avanti
con gran soddisfazione,
sulle schiene degli altri
cantando una canzone.

Parlai per più di un’ora,
parlavo a tanta gente,
parlai e parlai ancora
ma non ne ottenni niente.

Triste, passavo al porto,
dove trovai il monarca,
remavano quegli altri
e lui poltriva in barca.

Allora in fronte a tutti
parlai con gran coraggio,
il cuore un po’ tremava,
ma fece un ampio raggio

ed ogni mia parola
colpì il cuore degli altri
e i cuori, se li tocchi,
si fanno un po’ più grandi.

Così funziona il mondo:
chi parla per parlare,
ricordi che l’esempio
non si può raccontare.

E lo ricorda bene
colui che fu un tiranno,
ora ride con gli altri
e ha dato via lo scranno.

I pescatori


Tre pescatori di Girgenti,
navigavano a fari spenti
e se quei fari avessero accesi
sai quanti pesci avrebbero presi?

Uno soltanto, ma tutto d’oro,
che avrebbe portato loro un tesoro,
precisamente un pesce pagliaccio
e quel tesoro era un bacio e un abbraccio. 

venerdì 11 gennaio 2013

Il battibaleno


“Ti spiego”
Disse Jonah alla vela. La vela però non c’era, perché Jonah non navigava in barca, ma nella pancia della balena. Per farla andare più in fretta, non occorreva tanto spiegare qualcosa quanto trovarle un bel baleno affascinante, sfidarlo a qualcosa e batterlo: ecco così un battibaleno, la misura del tempo che a Jonah sembrava più appropriata per proseguire.
Sfidò così il baleno a rimpiattino, ma non avendolo mai impiattinato prima, non poté neanche rimpiattinarlo. Allora la sfidò a rialzo, ma non aveva il rialzo: per giocarci si sarebbe dovuti andare a fondo, ma andare a fondo non è un’ottima idea neanche per un uomo che naviga nella pancia di una balena. Metti ad esempio che la balena sbadigli? L’acqua potrebbe entrarle dalla bocca e bagnare i piedi di Jonah, che tanto tiene all’igiene.
Qualcuno potrebbe obiettare che se la balena non sbadiglia sul fondo, ma a mezz’acqua, sia la stessa cosa, invece non lo è. Per esserne sicuro, però, Jonah decise comunque di interpellare un dizionario. Non essendoci dizionari nella pancia, dovette uscire a cercarne uno. Essendo uscito a cercarlo, però, non navigava più nella pancia della balena, anzi non navigava più del tutto!
Avrebbe comunque potuto accelerare, direte voi, trovando finalmente una disciplina a cui sfidare il baleno. 
Niente di più sbagliato: i baleni chiacchierano volentieri con le balene, mica con Jonah. Non che siano razzisti eh, semplicemente una balena va di buona lena, e questo piace ai baleni, che non sono altrettanti certi né che una lena vada di buona balena, né tanto meno che ci vada Jonah, che non ha neanche più un’imbarcazione per navigare.
Jonah è così rimasto senza balena, senza barca, senza la possibilità di accelerare, ma ha letto e riletto il dizionario, facendosi una cultura coi fiocchi alla faccia della fretta. 

giovedì 10 gennaio 2013

Le ballerine

Sono andata in un negozio di scarpe e sono uscita con un paio di ballerine, ma dopo poco mi accorsi che erano tutte scollate. Non vi dico la gente come le guardava. Un signore distinto, agendo d'istinto, ne invitò una a bere un tè. Mi ritrovai così con un piede bagnato e uno asciutto. Poiché piove sempre sul bagnato, iniziò a piovermi su un piede. Sull'altro invece, c'era il sole. Poiché entrambe le ballerine amavano il sole, e entrambe seguivano senza esitare ciò che amavano, mi ritrovai con un piede in due scarpe. 
"Sempre meglio che una scarpa in due piedi", fece notare il signore del tè, "nel qual caso sarebbe stata costretta a saltellare a su una gamba!". 
Era vero; le ballerine però non saltavano, ma danzavano; danzavano tanto e così lievemente, che iniziai senza accorgermi a danzare con loro e, da allora, non mi sono mai più fermata.

mercoledì 9 gennaio 2013

La G di congegno


Ho un amico dalla mentalità un po’ contorta. Meglio così, almeno in tanta confusione si mangia un po’ di dolce. Una volta, per fargli uno scherzo, gli preparai una torta di creta. L’avreste mai detto? Iniziò subito a ragionare in maniera più concreta! A furia di ragionare concretamente, ebbe alcune idee geniali, che gli erano congeniali.
Un giorno poi, per ospitare una G che era rimasta senza casa, le sue idee presero la forma di uno strano congegno che prendeva le stelle, i sogni, lo zucchero filato e li usava per aggregare i “con” in maniera assai più libera, ma molto più utile: con amore, con speranza, con un sorriso di comprensione. 

martedì 8 gennaio 2013

Il traffico

Ho avuto un problema col traffico dati, col traffico presi invece andò molto meglio, infatti presi subito a smaltire il traffico. Per farlo, utilizzai un apposito smaltitore. Dovetti trafficarci un po', soprattutto per applicarci lo smalto che non era smolto, ma neanche smorto, infatti aveva un bel colorito giallo turchino. E, se già non mi sarei aspettato di vedere un turco così piccolo, figuriamoci poi quando scoprii che era giallo giallo come un canarino, come disse Rino alle nozze di Cana, mentre prese un asta e giocò a canasta, ma era un'asta di paglia e si scoprì una canaglia, e chi l'avesse coperta rimase all'oscuro. Non all'oscuro di tutto e neanche del tutto, difatti l'ombra ha da sempre le ore contate, quando il sole sorge e anche quando tramonta, perché la notte non può durare che poche ore. 

giovedì 3 gennaio 2013

Il copione


Pieretto doveva fare un provino per una parte importante in teatro. Il copione era molto impegnativo e, per sicurezza, lo teneva sempre in tasca. Ma come fidarsi di un copione? Non sai né da chi copi né tantomeno se ti suggerirà davvero. Così che, per sicurezza ulteriore, si mise un tasca anche un secchione: Angelo Vitalini, della prima C: mai un’insufficienza in tutto l’anno e la media del dieci e tre quarti.
La situazione si complicò perché il secchione, ben più ampio di un semplice secchio, era così capiente che il copione ci saltò dentro allegramente credendo di farla franca. La Franca, capirete da voi, si indispettì perché odia i mistificatori (soprattutto quando, al posto dei tori, mistificano lei). Presa dall’ira, mise in dubbio anche la capienza del secchione: "Se davvero capisse quel che legge, non avrebbe bisogno di studiare tanto!"
Pieretto, che in fondo credeva all’improvvisazione, non si sa cosa credesse in cima, ma da cima a fondo decise di togliersi il secchione di tasca e di appenderlo al chiodo, magari quello di un pozzo che lo aspettava a bocca aperta con tanto di corda e acqua sul fondo (non quello dove Pieretto credeva, ma un altro).
Si scoprì così per caso che, che Pieretto ci credesse o no, quel pozzo era un pozzo dei desideri: tirò su il secchio e ce ne trovò dentro quattro o cinque almeno:
uno era della signora Gina, che sperava in una vasca da bagno con le ruote per poter girare il mondo da dentro l’acqua calda.
Un altro del signor Carlo, che voleva due nasi per respirare meglio e una retina per i raggi del sole: “essendo tutta bucherellata”, pensava “li prenderò al volo senza togliere luce a nessuno!”
Da ultimo, il desiderio di Pierdario. Pierdario era un caro amico di Pieretto e il suo unico desiderio era che il suo amico superasse il provino.
Pieretto si commosse così sinceramente che colpì gli istruttori per la sua sincerità ed ebbe tutta la parte che voleva.
Volete sapere che cosa fece?
Ne regalò una parte a Pierdario in segno di affetto e gratitudine. 
Gliela donò quasi tutta, in realtà, eppure gliene rimase gran parte, e questi sono gli scherzi dell’amore.

mercoledì 2 gennaio 2013

Il sicobiondo


C’era una volta un sicomoro che voleva diventare un sicobiondo. Per diventare sicobiondo, decise di farsi i colpi di sole: una volta che ne ebbe presi cinquantatrè decine e un quarto di per sempre, non divenne un sicomoro, ma un sicoverde che la metà bastava!
Dato che la metà bastava, un passante ne prese metà della metà (era un passante che amava la frugalità) e lo mise sulla metà della sua testa.
Il passante era tanto buono di cuore che aveva un’aureola gialla gialla e sulla testa la metà della metà del sicomoro diventò effettivamente sicobionda.
Su un altro quarto, che tra l’altro era diventato sicoverde, sbocciò una splendida viola che intonò una canzone che parlava di mare e di terre in cui i sicomori erano tutti sicorossi.
Così il sicomoro, che era già diventato sicoverde grazie ai raggi generosi del sole, si trovò anche sicobiondo per via della bontà del passante, ma anche sicoviola per una fortunata coincidenza e anche un po’ sicorosso, forse per la nostalgia.
Ancora oggi i nonni portano spesso i loro nipoti fino ai piedi della grande pianta: raccontano ai loro nipoti questa storia e le altre mille avventure che avevano reso l’albero di tutti i sicolori.

Il fortunio


Ho un amico che ha avuto un FORTUNIO.
Un fortunio è come un infortunio, però al contrario.
Il mio amico, ad esempio, si è fortunato la gamba e ora ha una gamba fortissima e con un solo salto riesce a arrivare sul tetto. Quando salta già per la merenda, deve stare ben attento a dove atterra, perché l’altra gamba non è mica così forte.
Ma non è mica finita:
Il signor Gigi si è fortunato la testa stando ben in equilibrio sulla scala e ha inventato un’equazione di centoquattordici cifre, di cui, per comodità, pronuncia solo il risultato: sette quarti e un mezzo cavoletto di sedici).
Infine, so di molte persone che si sono fortunate il cuore: invece del by pass, si sono ritrovate un “dai rest!” e hanno accettato. Sono restate e hanno fatto amicizia tra di loro, poi con altri, infine con altri ancora.
E il telegiornale delle otto meno cento, proprio questa mattina, ha annunciato tra un sacco di risate che il numero dei fortunii è in costante aumento. Perché le risate, vi chiedete? Fatalità ha voluto che, usando perfettamente il microfono per dare notizie tanto belle quanto vere, il conduttore si sia fortunato la bocca!

Sull’origine della ciribiciaccola – Lezione 1


Della ciribiciaccola, quasi tutto è ignoto.
Abbiamo solo una vaga informazione, ovvero: gira. O forse si perde? Cosa si faceva con la ciribiciaccola, ve lo ricordate? Ecco, direi che ci siamo capiti, nel senso che non abbiamo capito, ma se non abbiamo capito il senso, possiamo cercarlo, penso.
Il mio amico Verbonio Chiacchierottis, noto cercatore di sensi, specializzato in olfatto e Fiuto (che era il suo cane anche prima che ci si specializzasse), mi ha presentato un’importante spiegazione che vorrei sottoporvi:
per capire questa spiegazione, bisogna tornare al principio, perché in principio la ciribiciaccola era un verbo, ovvero il verbo “ciribiciaccolare”, opportunamente coniugato con una terza persona (una persona singolare, ma comunque educata e gentile).
Ora che siamo al principio, facciamo un passo indietro e, anziché cadere nel nulla, scopriamo che tra amici, soprattutto in Trentino, si parlava del “chiacchiericcio” con l’espressione dialettale “ciaccolare”, che nulla ha a che vedere con il cioccolato, né con il ciaccolato che è cià colato, ma colato dove non è il caso di chiederselo, soprattutto per non rischiare di scoprire che invece qualcuno ci ha colato, e oltre che dove dovremmo chiederci chi, perché, se per farci un favore e se aveva le mani pulite.
Chiusa parentesi, e riprendiamo a ciaccolare, cioè a chiacchierare, ma a voce bassa, in Trentino, ma anche in Veneto e soprattutto in dialetto.
Allora, stando alla spiegazione di Verbonio, qualcuno che per ragioni confidenziali non ha voluto apparire in questa riga ma che per comodità chiameremo Martino, non solo chiacchera, ma chiacchiera doppio ovvero biciaccola (e non ciaccola in bici, sia chiaro). Non basta: non contento di biciaccolare, decide di biciaccolare un’altra volta. Una consuetudine dell’altopiano di Asiago, che non è un altopiano quindi figuratevi che consuetudine, ha stabilito che in questo caso non si quadribiciaccoli, ma invece, per venire incontro alle mentalità semplici dell’altipiano che non c’è, si ribiciaccoli. Siccome Martino ci casca ogni volta, si dice che ci ribiciaccoli, e così eccovi una ciribiciaccola fatta e finita.
Eh sì, perché vedendo Martino, molti altri suoi amici e a poco a poco tante persone per il mondo hanno iniziato a ciribiciaccolare fino a perdersi, e così ecco che si è persa la ciribiciaccola. Qualcuno l’ha trovata?
Se sì, inseritela in busta aperta, così che se la goda un poco anche il postino, ed inviatela al seguente indirizzo:

Martino per modo di dire
Presso Accademia degli errori
Via dei cercatori di ciribiciaccole, da 0 a 100
CAP: Ito o devo ripetere? - Grazie (frazione di Noncèdiche)





Se qualcuno, dopo aver letto questa prima spiegazione, volesse obiettare che nelle forme dialettali più strette “ciaccolare”, forse per la fretta, diviene “ciacolar”, è liberissimo di prendersi tutte le C che avanzassero e farci dell’ottima insalata. 

Messaggio sociale


Che al mondo qualcosa vada o non vada, ci sono comunque i belli e i brutti. 
Quando qualcosa va bene, i meno belli scoprono che se sorride il cuore, tutto il mondo sorride. Così diventano belli e, quando qualcosa non va, se vogliono, possono diventare belli due volte, cioé ribelli.
Oggi le ribellioni non hanno più bisogno di armi, ma di coraggio sì. 
Chi non sa dove trovarlo può cercare accanto a sé, negli occhi delle persone o dei bambini che domani saranno grandi e cammineranno sulla terra che gli lasceremo.

NO alla geoingegneria a fini bellici, 
NO agli esperimenti climatici, 
NO alle scie chimiche che nascondono il sole, 
NO alle bombe nucleari nascoste in Italia, 
NO alla mafia, al servizio del governo.

Che questo NO scorra come vento su tutta la terra, che sia un SI' gridato con tutto il cuore, con tutte le forze, a tutta la vita che soffia leggera nel nostro bel mondo.




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Due attaccabrighe


Un attaccapanni ed un battipanni, 
attaccarono a battere i panni, 
ma poiché i panni li avevano persi,
presero a batterne altri diversi.

Per un errore di trascrizione, 
scelsero Gianni, un gran dormiglione, 
che si sveglio per la bella battuta,
pur non essendogli molto piaciuta. 

Per migliorare un po' il suo umorismo, 
lo rimandarono a catechismo, 
così che imparasse dal bimbo Gesù, 
a ridere giusto un pochino di più.

Il buonumore ha poi ritrovato, 
ma é diventato molto ordinato, 
ed evitando qualunque scompiglio, 
quei due li ha messi nel ripostiglio.

A bagnomaria


Un giorno, mentre Maria faceva il bagno a bagnomaria, incontrò nella vasca Orlando, che ne stava orlando i bordi in vista di un concorso di bellezza per vasche da bagno. 
"Questa vasca non é una vasca, é una pentola!", obiettò Maria. 
"Quel coperchio non é un coperchio, é un pollo!", rispose Orlando che ne sapeva un coperchio più del diavolo. 
"Ma che diavolo di coperchio stai dicendo?" Riprese Maria un po' stizzita.
"Non é un coperchio, é una frase! Ma stando alla sua logica stringente mi sento di affermare che questa frase non é una frase, ma un parmigiano. 
Il parmigiano in realtà era lui, ma Maria non lo sapeva e fu una bella fortuna per Orlando, dato che ne era molto ghiotta. Il compenso convenne che la sua logica era effettivamente un po' stringente e forse per quello nella vasca (o nella pentola, o nella vascola, che é una vasca a tracolla, o nella pencola, che é una pentola da cui cola tutto) si stava un po' strettini. Decise così di compensare questo dato di fatto con una grande ampiezza di vedute, così da godersi appieno il bagnomaria mentre Orlando finiva con ogni cura la sua decorazione.