sabato 31 marzo 2012

piero e la lira


C’era una volta, Piero si volta.
C’èra una lira, Piero si gira.
Senza una lira, Piero sopira,
di notte lava, di giorno stira.

Gira e rigira chiede a Palmira,
che gioca a palla senza la mira
se non le avanza una lira di tolla,
con cui comprare una pasta frolla.

“Ecco, Pierino!” e cede all’ometto,
una piano, una lira e un copriletto.
Il copriletto non vale tanto
ma è per Pierino motivo di vanto.

Motivo che poi, per tergiversare
Con la sua lira prende a suonare.
Col piano l’avrebbe suonato lo stesso
ma il piano era il terzo e lui solo all’ingresso.

il filobus


Un giorno, un filobus ebbe un inavvertito scontro con un AGOBUS, che se ne passava tutto puntuto sulla stessa traiettoria e non saprei dire perché.
I passeggeri dell’agobus, che se ne stavano stretti stretti sui sedili, sussultarono, mentre quelli del filobus, sussultarono anche loro. Fortunatamente, fu più lo spavento che altro: non ci furono feriti veri e propri, anche se un paio furono gravemente spettinati e a Luca cadde di mano la bottiglietta di plastica, proprio mentre stava per bere. 
Invece dallo scontro nacquero una serie di SCIARPEBUS, GIACCHETTEBUS e tanti altri INDUMENTIBUS che abbandonarono quasi subito la strada e si avventurarono in giro per il mondo, anche lontano lontano, ovunque qualcuno avesse bisogno di loro; ad esempio in quegli inverni molto freddi, dove alcune persone non hanno proprio nulla da indossare per scaldarsi.

venerdì 30 marzo 2012

imputare è lecito, assolvere è cortesia


Un giorno, a causa del brusco contraccolpo di una buca, il tribunale mobile di Milano e Tre Quarti, proclamò una sentenza alquanto originale: un tale che stava venendo assolto “per non aver commesso il fatto” si ritrovò assolto “per non aver fatto il commesso”.
“Che motivazione è?” si chiesero i primi.
“Che motivazione non è?”, chiesero i secondi ai primi e anche ad altri.
Soprattutto, l’ordine dei commessi fu molto risentito e per farsi perdonare il Tribunale mobile di Milano e Tre Quarti, dovette assolvere dieci di commessi di seguito, imputati per crimini minori.
Assolti quelli, il tribunale ci prese la mano e si iniziarono ad assolvere arrotini, architetti, lustrascarpe, professori di filosofia e filosofi di professione.
Forse per non rischiare di fare torto a qualcun’altro, forse per via della strada generosa di contraccolpi, le assoluzioni da quel giorno divennero così frequenti che i più insigni professori di legge si risolsero definitivamente a inguainare le penne d’oro e trasferirsi giù al parco a mangiare un gelato. I gusti erano: fragola, uvetta e frutta candita.

la casa del dito


Tra l’incudine e il martello,
soggiornare non è bello,
e perciò il mio amico dito,
in un attimo è sparito.

Prima stava, non vi dico,
tra una moglie e suo marito,
ma anche lì ha tolto le tende,
per decenza, lo si intende.

Si è trovato in una piaga,
ma girarsi non lo appaga:
sai che gran divertimento,
tormentar chi è già scontento!

Ora versa, senza casa,
tra la mia ed un’altra strada,
indicando a chi lo chiede,
quanto di più bello vede.

giovedì 29 marzo 2012

un piccolo a-ggiornamento


Mi ricordo l'altro giorno,
è stato giorno per tutto il giorno,

giorno per giorno si andava intorno
dalla mattina a mezzogiorno.

Passato il giorno, un altro giorno,
andavo col primo, con questo ritorno.

E andata e ritorno, se si ha pazienza,
portano sempre a una nuova partenza.

mercoledì 28 marzo 2012

l’ora dei salute


Volevo solo dirvi una cosa,
ma ve la dico alle nove e qualcosa.

Era una cosa che neanche so,
ma ve la dico alle nove e un po’.

Una cosina, mica un gran vanto,
però la dico alle nove e tanto. 

Quando la dico non ve la canto,
“Eccì!” “Salute!” “Grazie, altrettanto!”

invenzioni per le rime


Senza neanche accorgermi, stavo iniziando ad inventare la storia di un ricciolo di mare e di una scarpa di acqua dolce, due ragazzi che hanno tanto da dirsi e che probabilmente si incontreranno alla foce di un grande fiume d’argento.
Tuttavia mi sono accorto di colpo che troppo poche parole fanno rima con DOLCE.
Fortuna che, quando è successo, mi trovavo a passeggio coll’ingegner Dicapresto Unaparola, che me ne ha inventate su due piedi una bella decina! 
Ad esempio:

Per il prato com’è dolce
se a tagliarlo c’è una FOLCE. 
(una folce, infatti, di sicuro non taglia il grano, al limite gli da una bella pettinata)

Proseguendo nel bosco, mi ha poi parlato dell’OLCE, le cui corna sono di rara bellezza, ma solo di bellezza: infatti non vengono mai, dico mai, impegnate in un combattimento!
Quell’olce, tra l’altro, ha fatto amicizia con una tigre FEROLCE, che un pochino feroce lo è ancora, ma molto meno del solito.
Sopra di loro si intravede una VOLCE, una volpona così soave e vellutata che riesce persino a volare e la sua bella coda la usa come timone.
E ancora:
Tecnologia: nei grandi laboratori, per evitare che qualcuno possa farsi male, gli acidi più letali sono stati convertiti in ACIDOLCI.
Geopolitica: i FEUDOLCI sono quelle terre che i feudatari hanno regalato ai braccianti, e che sono diventate così fertili che ora si possono persino mangiare e sono buonissime.
Aggettivi: GELIDOLCE si può dire quando il freddo è incredibile, ma lo si sopporta volentieri per un motivo importante, come insegnare a Luchino a pattinare anche se siamo a meno 10, ma lui ci tiene così tanto e poi gliel’avevi promesso!
RITARDOLCI, che non sono dei ritardati affettuosi quanto piuttosto quei ritardi pieni di brividini, di cui gli innamorati a volte neanche si accorgono, impegnati come sono a sistemarsi i capelli intanto che attendono la loro bella. A dirla tutta, più che ai capelli dovrebbero stare attenti alla linea: ultimamente hanno preso un po’ di peso! Poco male, ecco inventata una FOLPA!
“E che cos’è?”
“Una felpa dolce, no?”
“ma Dicapresto, è tutto sbagliato! Forse intendevi una FOLCE?”
Un’altra? E va bene, ma attenti a non confonderla con quella da giardino.
Così ci siamo messi a terra a disegnare una FOLCE di stoffa azzurra e bianca, che serve ad assecondare anche le forme degli adulti più abbondanti e rivelarne l’infinita bellezza.
Siamo a 10?
“in punto!”
Allora al collaudo:

Un ricciolo di mare e una scarpa di acqua dolce,
si trovarono vicini proprio al centro di una folce.

“Come una FOLCE?”
"Sì sì, una foce dolce! Hai visto? Ne abbiamo inventata un’altra!"
“Ma non ci confonderemo?”
"Tutto lo fa pensare. Come continuiamo? Ah sì sì, così:"

Purtroppo si confusero per via di una locusta:
la folce in cui nuotavano, non era quella giusta!
Su una felpa di stoffa, se non altro bonaria,
si trovarono insieme, con la testa per aria.
Era un’aria cantata da una grassa cognata,
che vestiva la folpa senza sensi di colpa.
Data l’interruzione, che comunque fu dolce,
li guardò la signora, con lo sguardo ferolce.
Nel frattempo c’è un alce, che su un muro di calce
fa amicizia con l’olce, di colore agrodolce.

“O acidolce, per chi ama i sapori fortissimi!”
"Ok ok, ma ora la fine:"

Un consiglio dal cielo, gli arrivò dalla VOLCE,
che scoprì all’orizzonte, un gioso feudolce.
Tutti insieme ridendo fanno festa a palate,
per il giorno di sole e le rime inventate.


NOTA: le parole inventate sembravano 10 e invece forse sono 9, e questo perché l’ingegner Dicapresto è bravo con le lettere, mica con i numeri. Per rimediare, inventate subito la parola mancante e applicatela in un punto a piacere dello schermo. Volendo potete anche tenerla in tasca e lasciarla correre in volo appena fa un po’ di brezza. 

martedì 27 marzo 2012

a chiamarsi così


Avevo uno zio, si chiamava Così,
di umore stava così così,
diceva no ma più spesso sì
e ogni mattina intonava “buondì!”.

Aveva un collega dal nome Uguale,
dal portamento molto regale,
andava in moto senza un fanale,
vedeva il bene anche dove c’è il male.

Di cognome facevano entrambi "A Rossi" (erano romani) e, se li mettevi uno fila all'altro, erano Così Uguale A Rossi che il signor Rossi, che era già rosso per la vergogna e non si capisce perché, diventò tutto Gialli e cambiò paese.
Nel paese di fianco, conobbe un tipo che somigliava molto ai primi due, anzi era proprio uguale: Uguale Spiaccicato, per gli amici Spiaccicato Uguale.
Un simile cognome (o forse nome, come vi piace di più), che non voleva richiamare nulla più di un cordiale senso di somiglianza, si è rivelato nel tempo non esente da pericolose controindicazioni.
E infatti si sono appena spiaccicati:
il gelato per terra,
una banana nella cartella,
metà merenda dentro il gelato
e mezza cartella nel cioccolato (ce n’è un mare qui per terra, dove la cartella è appena caduta, e i bambini ci navigano come veri esperti).

In ogni caso, poteva andar peggio. Pensate solo se fosse stato Uguale Spiaccicato a Nonno Rinonno,
che aveva dieci, quindici e venti
denti da latte corrispondenti,
un naso girato a forma di mela
e canticchiava una tiritera.

Ma Spiaccicato Uguale sarebbe stato anche dopo un maestoso volo orizzontale senza uno straccio di ala o con un’ala di stracci, o anche stracciando un’ala, alando uno straccio, stralando un accio, acciando uno strale e via dicendo. 
Questo esempio in particolare lo turbò molto e lo convinse a cambiare il suo cognome (o il nome, è Uguale) in Caduto Impiedi, così da potersi cimentare in tutta tranquillità in qualunque sconsiderato esperimento aviatorio. 

lunedì 26 marzo 2012

qualche anno fa


Per intendere un anno che non è questo, ma neanche un altro (almeno tra quelli recenti), si dice a volte:
qualche anno fa.
Ma cosa fa? Vallo a sapere, qualcosa farà!
Ad esempio: un anno + due o tre anni fa qualche anno. Ma qualche anno che cosa fa? Siamo daccapo.
Qualche anno fa bel tempo, qualche anno piove.
Che in termini musicali, si potrebbe dire: qualche anno fa sol, qualche altro fa la si, con la complicazione che se fa la si, sicuramente non piove.
Tra l’altro, non è un po’ troppo piovere per un anno? È troppo certamente. E gli agricoltori non sarebbero neanche contenti di un anno di sole senza una goccia d’acqua. Rifacciamo.
Qualche anno fa simpatia, qualcun altro, anche.
Benissimo. E in questi anni che tempo fa? Quello che desidera, purché il ritmo non lo si perda.
Difatti, il tempo può essere ben intonato anche quando piove: la pioggia disseta la terra, le bagna i capelli e la rasserena quando magari era tutta sudata. D’estate la pioggia è un trionfo, per questo cade così forte. E quando il sole si è ben bene sgranchito e vuole tornare al suo posto, lo saluta riempiendo il cielo di soffici arcobaleni.
Dirò di più: questi arcobaleni, sono di panna montata. Non ci credete? Assaggiateli!

domenica 25 marzo 2012

il ristoriante


Giovedì due signori si presentarono al ristorante, il secondo ordinò un primo, il primo un secondo.
Il ristoratore prese il primo signore e lo accompagnò al tavolo del secondo, poi prese il secondo e fece per accompagnarlo al tavolo del primo che, per qualche strano incantesimo, era diventato lo stesso del secondo.
Non mangiarono nulla ma nacque una bella amicizia. Risero tutta la sera e si fermarono solo per ascoltare la pioggia di favole che cadeva dai muri, dagli stipiti delle porte e dai piatti vuoti.
Perché, dite? 
Per una svista erano approdati in un RISTORIANTE, dove tutte le fiabe del paese si incontrano per scambiarsi i personaggi, prendersi in giro o inventare qualche canzone. È in queste serate che nascono le favole nuove. Quei due tizi, ad esempio, erano i protagonisti e neanche se ne sono accorti! 

il macinatore di chilometri


Francesco era il figlio del panettiere, ma quando nella bottega del papà si annoiava, usciva con la sua bicicletta fiammante e macinava decine e decine di chilometri.
Una volta macinati, era un bel problema per gli altri che passassero, perché un chilometro macinato di certo non si percorre facilmente: bisogna saltellare prima su un pezzo, poi su un altro e non si sa mai bene se si riuscirà a trovare quello successivo e a che distanza. A volte si trovano a pochi centimetri, ma spesso Francesco ha macinato anche quelli, così che l’incertezza rimane e i contachilometri impazziscono.
Ma ci sono anche altri chilometri, che magari nessuno percorreva più da tanto e Francesco li ha macinati lo stesso con la sua bicicletta a pedali verdi.
Una volta o due, dato che non servivano più a nessuno, ha provato a portarli al suo papà che li ha usati al posto della farina. La mattina successiva si sono sfornati decine di panini dai colori più strani, tutti buonissimi, che hanno fatto viaggiare lontano anche quei vecchietti un po’ stanchi, che scendono le scale di casa soltanto a comprare lo zucchero e il pane per la merenda dei loro nipoti. 

i bambini volanti


Ieri è piovuto a dirotto, ma oggi il sole splende che è un piacere. I bambini non possono trattenersi dallo scappare in giardino a rincorrersi, e questo la mamma lo sa bene, ma raccomanda loro di non imbrattarsi di fango: “Quando una pozzanghera si avvicina minacciosa, saltatela, e se è troppo lunga, prendete piuttosto il volo prima di finirci dentro!”
Povera mamma! È così preoccupata all’idea di rimettersi a spazzare le scale che ha appena pulito, che mica si è accorta di aver svelato ai suoi bimbi che sono capaci di volare!
A capirlo non ci voleva molto:  i pensieri dei bimbi, soprattutto in giornate come questa, sono tanto leggeri che basta una brezza lieve per portarli dappertutto insieme ai loro piccoli proprietari. Fortuna che oggi non c’è vento, ma solo un sacco di sole!
Intanto, in giardino, Marco ha starnutito guardando un bruco e si è ritrovato sospeso a un metro e mezzo da terra! Sarà stato lo starnuto?
“Ma certo che no, stupido, sono stata io!” lo prende in giro Luisina, che lo ha appena sollevato dall’elastico del pantaloni. Maurizio nuota a rana tra le fronde del ciliegio, pensando se staccare un rametto e portarlo alla mamma non rischierà di far troppo male all’albero. E proprio mentre si prepara a chiederglielo, ripassando a mente la lingua degli alberi, Rossella lo agguanta per un piede e quasi lo fa cadere nella pozzanghera! Che rischio, ragazzi!
“Ma come, sai volare anche tu?” le chiede Maurizio (Rossella è la figlia dei vicini, ma in giardino giocano tutti insieme).
Ovviamente! Quando il papà le ha tolto le rotelle dalla bicicletta le ha detto che ora può anche volare, e lei non se l’è fatto ripetere! Per la gioia si è dimenticata la bicicletta, e ora nuota in cielo da sola senza neanche i braccioli.
Il piccolo Gigi, invece, che ha solo 3 anni e mezzo, vola ancora col salvagente e i suoi fratelli lo prendono un po’ in giro prima di scoprire che, soffiando nella valvola, è riuscito a salire più in alto di tutti!
“Scendi di lì!”, gli grida il nonno che sta facendo l’orto proprio lì sotto “non lo sai che passano gli elicotteri?”
Ma Gigi, mica scende. È estasiato dalla vista sul parco di Gavirate e per recuperarlo bisogna aspettare che arrivi la sorella maggiore che, anche se ha già 15 anni, si è appena innamorata e vola come un fringuello.
Il papà intanto si affaccia al balcone perché è pronta la merenda; alza gli occhi e scopre che i bambini non si sono sporcati col fango, ma sono tutti per aria impigliati tra i rami.
“Serena, hai detto tu hai bambini che possono volare tra gli alberi?”
La mamma si ferma di colpo e lo guarda con un’espressione costernata.
Lui ride, e la bacia! Ha capito tutto, ma mica vuole farla preoccupare!
“Scherzavo, sciocchina!” e grida dal balcone “Forza ragazzi, tutti in cucina!”
Intanto chiude la finestra. per essere sicuro che entrino tutti dalla porta e non planando da chissà dove, e sorride pensando a quando queste cose le faceva anche lui qualche anno fa, e che una volta o l'altra dovrebbe proprio riniziare!

venerdì 23 marzo 2012

tra un buco e una ciambella (può nascere l'amore)


Non tutti i buchi escono con le ciambelle: quelli meno schizzinosi, anche con le ciambrutte o con le ciammedie. Queste ultime, che una volta si ritenevano essere delle pinte di ciambirra (da cui il luogo comune che siano tutte bionde), oggi sono state riconosciute cittadine a tutti gli effetti del comune di Ciambellide, dove, oltre alle ciambelle, si trovano un sacco di ciambellani che le accompagnano di qui e di là.  
Parlando poi di USCIRE, ai tempi in cui la monarchia andava per la maggiore, si intendevano gli USCI del RE (non per forza del re degli usci, ma anche di altri re). Mentre nell’accezione meno desueta, un uscio viene mediamente sostituito da una porta, sempre del re, da cui il verbo PORTARE.
Per questo, quei buchi che pensavano di USCIRE con le ciambelle, le possono PORTARE un po’ dove vogliono, magari di qui e di là, proprio dove le accompagnavano i ciambellani.
A questo punto, taluni potrebbero pensare a un dura faida tra buchi e ciambellani. Assolutamente no: lungo le assolate colline della Ciambellide, ciambellani, ciambelline, ciambrutte e ciamdiciamocheèuntipo (ma comunque a me piace) passeggiano insieme serenamente, come se fossero amici da una vita.

giovedì 22 marzo 2012

il vicino in erba


il mio vicino è sempre più verde, anche se il suo prato ingiallisce. Come fare?
Si potrebbe utilizzare il vicino per innaffiare, anche se, al senso comune, sembrerebbe più facile innaffiare il vicino. Ma se è già verde, che lo innaffio a fare?
Diversa situazione si avrebbe se il poverino fosse verde di rabbia, o di invidia.
In quel caso, si potrebbe pensare di utilizzare il giardino per innaffiare il vicino - purché da vicino, giacché le innaffiature a distanza lasciano sempre un senso di incompletezza. Utilizzando il giardino giallo, non siamo tuttavia certi che il vicino ne avrebbe un effettivo beneficio.
Per questo, ci siamo risoluti a sommergerlo con l'azzurro del cielo, le risate dei bambini e la luce del sole a strapiombo sul prato (che tra l'altro, farà certamente bene anche all'erba).
Per vestirlo, potremmo avvalerci di un mucchio di biancheria, ma anche di gialleria e di rosseria fiammante, così da non dimenticarci mai che con un poco di luce e dei colori, si può fare praticamente qualunque cosa.

l'occo chi?

Avevo un impegno ma mi è saltato, saltato dove non si sa, ma saltato come, quello sì: saltato come riso, che abbonda sulla bocca degli stolti, cioè quelli che non vengono tolti, ma messi. Messi dove? E lo chiedete a me? Forse nello stesso luogo dove il mio impegno è saltato, che io non conosco di certo. E voi?
Dalla regia (una regia assai nobile, una règia regìa) mi si fa inoltre notare che quelli sulla cui bocca il riso abbondava erano sciocchi, e non stolti.
Da cui una diatriba che prende 6 settimane e un albero di Natale (era stagione), su cosa distingua veramente uno stolto, cioè un messo, da uno sciocco, sulla cui definizione mi consento di aprire un’altra diatriba, ovvero una DIALTRIBA.
È infatti vero che, se un messo è probabilmente quello del re e immaginiamo debba abitare nella stessa reggia della règia regìa, lo sciocco resta un argomento meno noto. Al suo interno, troviamo degli SCI, che conosciamo tutti, ma anche un OCCO.
Su quest'ultimo, fondate ragioni ci inducono a credere che si tratti di uno oco (magari anche giulivo) appassionato di sci, la cui C si sia inavvertitamente sdoppiata durante l’impatto contro un albero; altri parlano di una rara specie di albero di un'isola del pacifico, il cui frutto è la OCE di OCCO. 
Ma si sente anche dire: 
Per stavolta, chiuderemo un occo
Occo per occo sessantocco
Molla l'occo!
Mi sono sbucciato un ginocco (e oltretutto neanche mi andava)

Vedete da voi che, sci a parte, i tipi di sciocchi possono essere molti, gli uni più simpatici dei dui. Anche i trei si dice siano gioviali e molto amici dei secondi. Difatti non c'è secondo senza primo, quantomeno se hai fame. Ma se la fame è tanta, si consiglia un primo al secondo per parecchi secondi e un totale di molti più primi di prima. 

mercoledì 21 marzo 2012

una pila di stelle


Un giorno un architetto, decise che un pilastro dovesse per forza essere un astro in cima ad una lunga colonna di stelle. 
“Potrebbe trattarsi” argomentò Renato “del pilo, felice sposo della pila, ritratto in un ignoto atteggiamento disdicevole (a volte capita, ai pili) che gli sia valso l’appellativo di pilastro”.
Il biprofessor Duetrestella, ipotizzò invece che le stelle andassero a pile, a volte sapessero di verdura, e il compito ultimo dell’astronomia fosse controllarne la durata residua ed eventualmente provvederle di batterie ricaricabili (quantomeno, attaccarle alla presa).
Nel dubbio, addobbarono la cima del pilastro con uno splendido vaso di fiori. Ci stava così bene che ci adornarono anche tutti gli altri, una finestra verde canarino e persino un signore che si era perso ricevette il suo vaso di violette e lo regalò alla moglie non appena ricordò la strada di casa.

lunedì 19 marzo 2012

un giro alla volta


C’era una volta una giravolta,
sembrava poca e invece era molta.
Sembrava messa e invece era tolta,
e cavalcava via a briglia sciolta.

Aveva un cugino, un calamaro,
sembrava un pollo ma era un somaro,
sembrava giallo e invece era verde
e andava via dove il cielo si perde.

Un terzo amico, un sottaceto,
soleva nascondersi sotto un tappeto
ma quando la scopa lo andava a scovare
filava via sulle tracce del mare.

EPILOGO

La giravolta girò un’altra volta,
e il calamaro fu un po’ più chiaro
il sottaceto si fece faceto
e neanche uno ritornò indietro. 

venerdì 16 marzo 2012

fuga in re fa sol la si


Sugli spartiti di Gigina Pianolina, non si capisce più un acca!
Il sol è andato al sol, perché era una bella giornata e non se ne parlava di rimanere in casa. Il la è andato là. “Ma là dove??”, tutti si chiedono, persino la mamma e il nonno Arcimatteo, che Gigina ha coinvolto per l’occasione.
Il fa non si sa cosa fa, mentre il re e il mi si sono sposati, divenendo dei magnifici remi per la barca dell’ingegner Pollacchieri che, almeno quando è al mare, non si spaventa mai.
Le è rimasto soltanto un do, e difatti è da tutto il pomeriggio che suona sul pianoforte solo quella nota (capirete perché la mamma e il nonno si danno tanta pena a cercare di acchiappare almeno un la), ma ormai si è stancata. Sapete che ne ha fatto? Lo ha lasciato a me. E io? Ovviamente ve lo do!

giovedì 15 marzo 2012

la legge del contrabbasso


Secondo la legge del contrabbasso, quando fai una cattiva azione, Michelino ti si presenta in soggiorno e ti suona per 8 ore il “Lamento in re maggiore dell’ascoltatore” con il suo contrabbasso di cristallo fiammante. Fiamma così tanto, che per non scottarsi ha rinunciato a suonarlo con l’archetto, e utilizza al suo posto una pinza da un etto. Una pinza ignifuga, si intende.
Delle lezioni che Michelino ha preso dal suo istruttore, Contrabbasso La Scuola, non ne ha ascoltata neanche una. Le pause per la merenda, invece, le ha seguite tutte con grande diligenza.
Quando vi si piazza nel centro del salotto con la sua pinza gialla tra le mani, mica potete alzarvi e andare via: rimarrebbe troppo male! Per questa ragione il suo pezzo di bravura viene ascoltato fino in fondo da tutti i malintenzionati del mondo.
Anche se si dice che le intenzioni non si dovrebbero processare, Michelino, che è molto sensibile, è in grado di mobilitarsi anche solo per un cattivo pensiero, come rubare la dentiera del nonno o fare lo sgambetto al vicino di casa per vedere se cade davvero.
In quel caso, non si fa in tempo a girarsi che ce lo si trova davanti che lucida la pinza e si prepara il bicchiere dell’acqua sul tavolo come se fosse un grande artista.
Nella sua innocenza è convinto che quella magnifica nenia, ascoltata fino in fondo, sia in grado di far sparire i cattivi pensieri con lo stupore con cui scoppia una bolla di sapone.

E se fosse vero?


la sposa in bianco


In via della Pausa Pranzo, le spose in bianco sono passate di moda. Però vanno molto quelle al sugo, oppure alle zucchine.
A inizio anno, poi, è scoppiata una vera passione per le spose integrali: molto meglio di quelle raffinate (chissà poi con che metodi) o dal gusto troppo delicato, che si confonde un po' con questo un po' con quello. Si è teso così a recuperare la semplicità ed i sapori schietti che sono alla base di ogni matrimonio ben riuscito!

martedì 13 marzo 2012

la nonna di beethoven


La nonna di Beethoven è sorda da un orecchio, ma con l’altro ci sente bene, purtroppo. Con tutta questa musica da camera, non riesce mai a uscire anche se c’è il sole. Quel suo nipote, sempre al pianoforte! E dire che lei, da bambino, gli aveva regalato delle maracas. Ma non c’è niente da fare, mica lo distogli da questa "musica moderna".
Dove saranno finiti i bei tempi in cui si sentivano semplicemente i cori di chiesa oppure la musica pop?
Se farà qualcosa di buono, questo giovanotto, non è mica chiaro. È anche vero che poteva andar peggio, già tanto che non si droghi, e poi ha uno sguardo così pieno di sogni, e gli vuole un bene ma un bene da matti, che lo voglia o no!  

viandando


Il viandante vianda, cioè va via.
Il viastante vi sta, ma se vi sta sulle scatole non è colpa mia. Io l’avevo presentato con cura e fatto tutto il possibile.
Ora fate pace, per l’amor del cielo, prima che viandi con il malumore e lo sparga senza accorgersene per tutte le strade.
Bene così, ancora un altro po’, stringetevi la mano, ora fate anche un sorriso dai, esatto, che spavento mi avete fatto prendere! Anche se in fondo potevo capirlo da lontano che, al di là del carattere, un cuore buono lo avete tutti e due. 

il nonnostante


Un volta, mentre contraddicevo garbatamente un tizio incontrato per strada, mi uscì per sbaglio, invece che un nonostante, un NONNOSTANTE.
Di preciso mi uscì dalla borsa, dove faceva troppo caldo. Uscì con la sua barba bianca color delle perle del mare. Era un NONNO magnifico. Essendo però uscito, non poteva più chiamarsi NONNO-STANTE. Si sarebbe dovuto chiamare, che so, Nonnuscito, o NONNANDANTE. E infatti andava che era un piacere: con uno zaino sulle spalle si era deciso a girare il mondo, e partì sotto i miei occhi con un sorriso cordiale da cercare sotto la barba. Era finito, per lui, il tempo della tracolla in attesa di improbabili errori di dizione!
Mentre si allontanava, diverse volte cercarono di ostacolarlo; poco prima della decima, di fronte al NONO OSTANTE, con un sol colpo il nonno ne fece una parola unica e me la restituì per il corretto inserimento nella frase.
Quella frase, però, l’avevo dimenticata da tempo. 
Chi di voi se la ricordi, anche se ha una dizione perfetta, dovrebbe ripeterla sbagliata: un nonno potrebbe sonnecchiare in una tasca e, ora che è quasi primavera, è arrivato il momento di liberarlo. 

venerdì 9 marzo 2012

il pelato immaginario


C’era una volta, tra capo e collo,
un uomo alto come un francobollo.
Forse per la sua altezza non distinta,
forse perché la giacca si era stinta,

si disse con un discorso proprio bello,
di non avere più neanche un capello.
Peccato che gli abitasse sulla testa,
un bosco intero e tutta una foresta!

Gli animali, con grande convinzione,
fecero coi capelli un minestrone,
convinti che una nuotata sopra un cranio
valesse più di un vaso di geranio.

Geranio era anche il nome di un bambino,
all'apparenza un poco birichino:
prese l’omino dalla parte giusta,
lo leccò e lo mise su una busta. 

mercoledì 7 marzo 2012

la maglia di Battipaglia


C’era un ragazzo di Battipaglia,
prediligeva il lavoro a maglia,
ma poiché presto arrivò l’estate,
con quella maglia, sai che sudate?

A volte contava fino a otto,
e in un torrone di panbiscotto,
rideva forte, come chi sbaglia
ma quantomeno ha tolto la maglia.

Venne l’estate, l’inverno e un pollo,
gli consigliò di allungarsi il collo,
una giraffa ne aveva troppo
perché lo allungava con lo sciroppo.

Ora che ha un collo di sette piani
non può coprirselo con le mani,
ma ha utilizzato una calzamaglia
quel ragazzotto di Battipaglia.

martedì 6 marzo 2012

un pensiero per volare


Ci siamo trovati pochi giorni fa, io e un gruppo di amici. Erano amici d’oro, che brillavano come la luce del giorno. Uno di loro, tuttavia, era un po’ cupo. Aveva un problema, e in questo problema ci si era impigliato in modo tale, che a risolverlo non ci riusciva.
Così ci siamo messi tutti d’impegno, e abbiamo cercato nel giardino dei nostri ricordi, sfogliando i petali di ogni fiore a caccia dei ricordi felici. L’idea era che, un petalo dopo l’altro, il problema si sarebbe visto da lontano e facilmente risolto.
Di ricordi felici, gliene abbiamo regalato uno ciascuno.
Vi dico il mio:
c’è un bimbo che ha due anni e mezzo precisi, una montagna di riccioli e due occhi che scintillano come la punta dell’arcobaleno.
Uno dei suoi giochi preferiti inizia prendendo la ricorsa e correndo per tutto il corridoio; in fondo al corridoio ci sono io, che siedo per terra a gambe incrociate spalancando le braccia. La corsa finisce con una risata matta, mentre lo abbraccio forte. A volte fingo di cadere all’indietro per il contraccolpo, così ride ancora di più; ma questo capita solo qualche volta.
Il gioco dura all’infinito, o finché non mi fanno male le ginocchia.
Quel piccolino ha a disposizione tutta la gioia del mondo, e la cede per un abbraccio che a te sembra minuscolo, ma forse a lui gigantesco.

Una storia bellissima, penserebbero i più gentili. Ma ora vi dico un segreto che dovete promettere di dire a tutti: questa storia non l’ho inventata, la vita è davvero così. 

lunedì 5 marzo 2012

non c'è due senza treno


Non c’è due senza treno. Ma ora che c’è il treno, e che c’è il due, mi chiedo dove sia l’uno su cui appoggiare sia il due che il treno. Perché fosse per il due, dico io, ce la si potrebbe anche fare, ma un due con un treno sulla capoccia, prova tu a sostenerlo. La situazione si aggrava perché il treno è in orario, e non sappiamo dire se un treno in orario pesi di più o di meno di uno in ritardo. Secondo alcuni di più, perché è proprio il peso a conferire quella serietà che impedisce il ritardo, ma secondo altri non pesa niente, perché pesa meno dei ritardi  che non sono poi così pesanti  e se li mangia in un sol boccone.
Nella corsa tra il treno e il ritardo, entrambi con una buffa pettorina, vinse la tartaruga, quella che andava piano, sano e lontano mentre la lepre dormiva sotto l’albero. Non si sarà svegliata per il fischio del treno? E quel treno, sarà stato in orario o in ritardo? E in entrambi i casi, sarà poggiato su un 2 o su un 17?
L’unico modo per scoprirlo, è interrogare il lettore. Lettore?
Lettore?
Che fai lì? Parla, diccelo tu! Tu lo sai, e se non sai di saperlo, conta fino a tre con le dita e dimmi se non ti trovi tra le mani almeno un vagone. 

bisunto e trisunto


Unto, bisunto e trisunto.
Ma trisunto che vuol dire? Unto come tre, oppure unto anche come due più uno. Ma attenzione: Marietta ha confuso un trisunto con un riassunto, e la maestra si è ritrovata con le mani così sporche che per poco non sveniva.
Come si fa a svenire? È come venire, ma al contrario. Quindi bisogna andare via?
Dipende se eri stanco di star lì. La maestra, ad esempio, si sarà sentita stanca?
Ho sentito anche sostenere, o forse era scritto sul riassunto che è tutt’ora in bella mostra sotto il banco di Marietta, che il termine stanca sia nato proprio come le montagne, da un grande scontro tra due zolle di terra. Le zolle in questo caso si chiamavano STORTA e ANCA, per questa ragione la maestra quando è stanca sembra anche che zoppichi un po’. Zoppicava andando via, cioè svenendo, per un riassunto bisunto che le ha dato un sussulto. “Su, su!” le dice il bidello, “c’è una lezione da finire qui, lo sa? Guardi la classe come la guarda.”
E la classe la guardava come se questa giostra di parole fosse la cosa più naturale del mondo. 

il teletrasporco


Un giorno il pluridecorato inventore Archigorico Pitamede, si ingegnò notte e giorno per inventare il teletrasporto.
Non gli venne certo in mente, nel momento in cui montava l’ultima vite che lo separava dal successo, di non essersi lavato le mani quantomeno dalla mattina precedente.
Il risultato fu che, senza quasi accorgersene, inventò il TELETRASPORCO, una trovata che avrebbe potuto anche rivoluzionare la storia dei trasporti del mondo, MA:
durante il giro primo giro di prova, Gigetto Gigetti, che si era fatto teletrasporcare dal bagno alla cucina per la cena, arrivò con le mani così nere che la mamma gli diede una strigliata che se la ricorda ancora.
Nel secondo caso, Gigliola Alogigli, una bambina che era sempre stata bionda come il sole, arrivò a scuola con una particolare sfumatura biondo cenere. La particolarità era che se le davi una pacca sulla testa, un tremendo sbuffo nero si diffondeva per tutta la classe facendo tossire la maestra.
Non solo: il papà di Peppino, che faceva l’astronauta, fece il suo primo viaggio interstellare in meno di un istante ma, all’arrivo su Marte, la sua tuta sembrava un puzzle di macchie di pomodoro, così che i marziani si precipitarono a cercargli del sapone (che su Marte non esiste), rinviando per chissà quanto l’occasione di una bella chiacchierata.
Forse per questa ragione, forse per altre,  il teletrasporco se ne è volato via. Nelle notti di luna piena, se vedete la luna diventare di colpo mezza, o addirittura sparire, potete immaginare che si tratti del teletrasporco, che atterra tra enormi nuvole grigie per riposarsi un attimo mentre cerca qua e là tra le stelle un popolo meno fissato con l’igiene. Che io sappia, non l’ha ancora trovato. 

domenica 4 marzo 2012

pulizie di primavera


Polverino Svonciacchini sta discutendo con la sua mamma per la seguente ragione: sostiene che le pulizie nella sua cameretta vadano fatte esclusivamente in aprile, perché pulire per benino nella stagione sbagliata significherebbe di sicuro contravvenire all'etichetta. 
“Se così non fosse”, argomenta Polverino, “nessuno avrebbe mai parlato solo delle pulizie di primavera, ma anche di quelle d’autunno, delle gelide pulizie d’inverno e di quelle allegre dell’estate, prima di partire per le vacanze. Invece, niente!”
La mamma, dal canto suo, ritiene che le altre pulizie esistano eccome, anche se sono meno famose. Inoltre questa etichetta non l’ha vista attaccata da nessuna parte, ma se la trovasse, finirebbe certamente nel cestino, primavera o estate che sia!
Dopo un animato confronto, hanno convenuto che gettare l’etichetta nel cestino senza una coerente spiegazione ad alcune persone che ci tengono tanto, rischierebbe di offenderne qualcuna e che, in attesa di incontrarle una per volta e farle ragionare, si opererà nel modo seguente:  

!) procurarsi un’etichetta di un bel colore, possibilmente fragola o azzurro (il color fragola sarebbe rosso, ma coi puntini neri)

!!) appuntarci a penna una serie di giorni, – ma mica tutti! – in cui la stanza si dovrà pulire per forza, per evitare che i vetri si sporchino al punto di non riconoscere l'arrivo della nuova stagione

!!!) appendere l’etichetta a una certa distanza dal cestino, magari sulla porta, in una posizione in cui possa venire considerata e rispettata da tutti gli abitanti della camera. 

un altro come un albero


Oltre a quell’albero, ce n’era un altro. Ma poiché si era detto che quell’albero, il primo, era un albero come un altro, non fu mai più possibile distinguerli.
Ovviamente se li conoscevi bene, ci parlavi e magari ci facevi insieme qualche serata, imparavi a distinguere dei dettagli piccolissimi, come il taglio delle foglie o l’espressione della corteccia.
A quel punto sorgeva il problema: a quale dei due volere più bene?
All’uno o all’altro?
All’altro o all’albero?
Al papà o alla mamma?
Alla gallina Cesarina o a suo nonno Vitellone di Mangiacaspoggio Calabro?
E la soluzione è: per sicurezza, facciamo a tutti un regalo, un regalo prezioso, e non pensiamoci più.
Io, per esempio, ho regalato ai due alberi delle palline di Natale, anche se non sono abeti, perché il Natale è per tutti, mica solo per gli abeti. Al papà e alla mamma una cravatta, un centrino per il tavolo e tutto l’amore che ho trovato. Alla Gallina Cesarina una confezione di brodo vegetale e a suo nonno un rasoio per l’estate, quando fa caldo e il troppo pelo potrebbe dargli un po’ di affanno. Il rasoio l’ho trovato in cantina e di lamette non ce n’erano più, ma tanto ve lo vedete voi un vitellone di Mangiacaspoggio Calabro in agosto che si rade la schiena?

un albero come un altro


Un giorno, crebbe su un albero un albero di alberi. Si chiamava Albero, una pazienza disarmante e rigogliosa. Persino quando  tentarono di tagliarlo, o quando alcuni dei suoi rami, che in realtà erano alberi, andarono persi, non si inalberò. La sua pazienza era grande come quella degli alberi.
Ogni sua foglia era un albero, ogni suo albero una foglia, ogni sua foglia un granello di vento, ogni granello un seme per diventare brezza, ogni brezza un vento di infinita speranza, come la vita, come la nascita, come l’infanzia. 

giovedì 1 marzo 2012

il re bussa


Ragazzi, questa volta mi dovreste aiutare.
A Gigetto, che ha soli 7 anni, è venuta la mania dei rebus, ma ha in testa un po’ di confusione
                                   
Per far indovinare la parola TERAPIA, ha disegnato una Terra stretta stretta, schiacciata sui lati anziché sui poli (una “tera”, sostiene lui!) e la signora Pia mentre ramazza la veranda.

Per il sostantivo FISCHIO, ha semplicemente fischiato, e sul foglio non è rimasto niente. La nonna non ha indovinato e lui ci è rimasto abbastanza male.

Per il termine PORTE, ha scarabocchiato un ponte che non arrivava neanche alla metà del fiume, sostenendo che quello fosse un “Po”; subito di fianco una R che la corrente ha quasi portato via, mentre per il “te” credete che abbia disegnato una bustina, una teiera o roba del genere? Certo che no! Ha disegnato una freccia che indica il lettore, ma che indichi il lettore, ovviamente, lo sa solo lui.

Quando vi viene un'idea su come aiutare Gigetto, dovreste dirmela.
Per aiutarvi a pensare, ecco qui il suo ultimo rebus. Mettetevi seduti, vi assicuro che non sarà la solita