lunedì 31 dicembre 2012

Esercizi di guida


Per arrivare prima, sono salito in macchina. Poiché andavo a una festa anni ’70, scelsi una marcia un po’ retrò: inserii la retromarcia. Non sapendo dove inserirla, la infilai nel baule e la macchina non partì. Ritentai: poiché la prima l’avevo messa prima, optai per la vice-prima, ossia la prima in seconda, e misi la seconda. Ma poiché misi la seconda per prima, la macchina si confuse ed iniziò a tossire.
Fu così che, piuttosto che niente, per seconda misi la prima, ma a seconda che mettessi per prima la prima o la seconda,  scoprì che per la macchina faceva una bella differenza! Per manifestare il suo dissenso, si spense per qualche minuto.
Allora pensai di farle una sorpresa: al suo risveglio si ritrovò nientemeno che in quinta! Un solo anno per iniziare le medie e non pensarci più!
La macchina apprezzò il buon proposito, ma forse non aveva un grande interesse per la sua istruzione, perché ancora una volta non partì.
Allora, dato che aveva tutti i sedili crespi, decisi di farle una bella frizione. L’idea della frizione fu un vero toccasana: la macchina partì all’improvviso con un boato allegro. Le marce presero a ingranarsi una dietro l’altra, si ingranavano così tanto che parevano un campo di pannocchie! Una volta arrivato, le raccolsi una per una e, entro mattina, ci sfornai dell’ottimo pane di grano morbido!

Io e la mucca


Avanzavo verso Lucca,
a cavallo di una mucca,

si stancò e verso le 6,
volle cavalcarmi lei.

Cavalcando su di me,
degustava un po’ di the,

ma ad andar con sopra questa,
a me venne il mal di testa.

Lo curò Vincenzo il gallo,
con un bel bottone giallo,

lo premette piano piano
e comparve un aeroplano.

E con quello, io e la mucca,
arrivammo fino a Lucca.

venerdì 28 dicembre 2012

Una nota di merito


C’era una volta un re,
seduto sopra un fa, 
diceva sol fa re
e borbottava un la.

C’era una volta un sol, 
diceva sempre si
“Vuoi questo? Te lo do.”
Ma il telo era del mi.

C’era una volta un MI,
un poco provinciale,
difatti fa provincia
ma è molto musicale!


Verba volant


Le regole sono fatte x essere in Francia. Così Pierino andò in Francia e dettò un sacco di regole, solo che lui le dettava, ma nessuno le scriveva. Per giunta, dato che verba volant - le parole volano - e lui ne aveva dette un sacco, finì che volò via anche lui. Una volta in cielo, aprì il sacco con tutte le regole che aveva dettato, ma quelle se la filarono ancora più in alto, perché non volevano essere né lette, né scritte. Incontrarono poi una nuvola di pioggia, e piovvero parole pesanti su tutta la terra. Ma ancora una volta, nessuno le scrisse. Gli abitanti del mondo erano diventati saggi, così aspettarono con pazienza il sole che le fece evaporare una per una e lasciò al loro posto decine di arcobaleni colorati. 

giovedì 27 dicembre 2012

La faraona


C’era una volta un faraone che faraonava a tutto spiano, facendo baldoria e creando una certa faraonda. Durante la baldoria che era stata organizzata da una sua balda amica di nome Gloria, ebbe modo di innamorarsi perdutamente di una faraona.
Logico, direbbe qualcuno.
Naturale, direbbe qualcun altro.
Eppure la faraona era piena di piume, e il faraone no. La faraona aveva il becco, mentre il faraone non aveva il becco di un quattrino (avendo tutto speso per foraggiare la balda Gloria, che era anche una discreta allevatrice, tant’è che la faraona gliel’aveva presentata lei).
Ancora: questa faraona in particolare, aveva un’espressione arcigna, creando un paradosso perché è noto (anche se non sappiamo a chi) che tra cigni e faraone non corra buon sangue.
Ciò nonostante, il faraone coltivò imperterrito il suo amore: per coltivarlo, piantò la faraona nel giardino reale, ottenendone entro breve una piantagione di faraone che faceva invidia anche agli Assiri e ai Vandali, quando erano fuori di prigione.
Si dice anche che nel periodo della lunga primavera egizia, quando le faraone fiorirono tutte insieme, persino il fiume Nilo si increspò un poco e salutò con un'onda di inchino quello spettacolo allegro e colorato.

lunedì 24 dicembre 2012

Lisa dagli occhi blu


Lisa dagli occhi blu,
senza le scarpe non cammini più!

Lisa dagli occhi verdi,
fai attenzione se no le perdi.

Lisa dagli occhi gialli, 
calzale bene o ti vengono i calli,

Lisa dagli occhi arancioni,
pensa “è Natale!” e non darmi calcioni!



domenica 23 dicembre 2012

Un figlio minerale


Dopo circa 5 anni di tenera convivenza, Luca e Anna, che comunque si amavano parecchio, ebbero un figlio naturale. E fin qui tutto bene, solo che ebbero anche un figlio minerale e avere un figlio minerale non è semplice.
Innanzitutto bisognerebbe capire se è quarzo o masonite, ma anche fatto quello, è comunque difficile comunicare, il dialogo langue e il pargolo tende a rimanere un po’ statico sulle proprie idee ma, siccome non le ha mai dette a nessuno, non si sa neanche se fossero buone o piuttosto stupidaggini. Immaginate la preoccupazione di due poveri genitori che non sanno neanche cosa pensi il loro figliolo e si vedono privata persino la soddisfazione di litigarci un po' durante l’adolescenza.
Prima di concludere la storia, vorrei comunque fare un saluto al figlio naturale, che si chiama Giorgio, ha un dente dritto e uno storto e non sarebbe sicuramente giusto dimenticare, anche se non è né di quarzo né di masonite.
Tornando invece al secondogenito, bisogna dire non era un minerale come molti, ma un minerale come pochi, quindi un oligominerale: con questa fortuna, ebbe modo di trovare un impiego nella catena di distribuzione dell’acqua, dalle bottiglie ai rubinetti e, nei momenti più importanti della sua carriera, persino nell’acqua di fonte. 

La scarlattina


Oh povero povero Marietto malato!
Si è preso la scarlattina?
Ma come? Ma quale? Ma quando?
Era una scarlattina di coca cola, l’ha bevuta e si è ammalato, l’ha tirata sulla testa e ha tirato su la testa, per vedere se la testa che aveva mirato effettivamente l’avesse presa. Macché.
Per la delusione Marietto si è ammalato ancor di più, che è molto più che ancor di meno.
Perché non attaccasse il suo malanno a tutta la scuola, gli hanno cercato una varicella di isolamento, ma vedete da voi che così facendo le cose non hanno potuto che peggiorare.
Fortunatamente, Marietto aveva con sé varie chiavi, con cui ha aperto la porta della varicella e si andato a prendere una boccata d’aria. Dopo averla presa, però, non se l’è messa in tasca, non l’ha portata a casa e non l’ha conservata per farla odorare ai suoi amici. L’ha respirata e l’ha restituita al mondo con un’espiro di gioia, così che tutti potessero godersela. Ed è così che è guarito del tutto. 

venerdì 21 dicembre 2012

I prossimi alberi

Una volta il signor Rossi era in ritardo e piantò la macchina nel primo buco che trovò libero. 
Il primo buco era in campagna, e il signor Rossi, uscendo dal suo appuntamento, trovò l'automobile non solo assai più radicata di prima, ma anche sul punto di sbocciare. Il suo motore, adesso, andava a nuvole e il volante non si girava più, ma mica per un guasto: era puntato nell'unica direzione in cui era tempo di muoversi, e questa direzione era il cielo.

mercoledì 19 dicembre 2012

Un popo' di oca


Un tamburo di burro,
per gli amici un tamburro,
vide un popo’ di oca,
per gli amici un po’ poca.

“Sarai pure abbondante,
eppur mica bastante!”
Dice il primo e sghignazza
da di dentro a una tazza.

“Sono poca, mi dici,
ma è perché ho tanti amici!”
gli risponde l’ochetta,
mentre canta e cinguetta.

Così guarda l’amico,
ma lo guarda e non sa
se lo chiede, vi dico,
come si suonerà.

Per suonarlo ha comprato
un cucchiaio d’argento,
lo vendevano a rate,
ne ho pagate duecento,

ieri mancava un euro,
oggi uno più uno
e se il sole lo scioglie,
non lo suona nessuno. 

martedì 18 dicembre 2012

I fiaschi per fischi


Ho un amico che prende fischi per fiaschi. I fischi li compra al mercato dei fischi e ne infila tre a fiasco. Per ogni fiasco, ossia un fischio che casca o comunque salta il fiasco (o salta il pasto, ma magari avrà più appetito per cena), non si perde d’animo, ma anzi ci si trova. Per farlo, si fissa allo specchio e si dice: “Ti trovo d’animo, bravo!” e si dà una pacca sulla spalla girando su se stesso.
Una volta si è confuso e, invece dei fischi per fiaschi, ha preso fiaschi per fischi, ossia dei fiaschi dentro cui soffiare per fare dei fischi. Così ha scoperto che, con un fiasco per fischi, può ammortizzare un fischio per fiasco ogni due fischi, perché uno lo fischia già dentro e così può evitare la fatica di infilarcelo.
Con questo sistema risparmia un giorno all’ora e, anziché metterlo in banca, lo regala a tutti quelli che passano, a volte con un sorriso, a volte con due, a volte dando una mano con entrambe le mani.

lunedì 17 dicembre 2012

Che cos’ho nel piatto


Ho nel piatto un piattello, 
un formaggio di pesche,
una mucca, un secchiello,
quattro bionde tedesche,

quattro piatti di arance,
cinque tondi di carta,
un orecchio, due guance,
un sorriso, zia Marta.

Se la zia mi fa cenno
Che laggiù c’è una festa,
dico, mica tentenno!
E mi tuffo di testa.

E così dentro al piatto
troverete un caffè,
un diamante scarlatto
e per giunta anche me! 

domenica 16 dicembre 2012

Il sommario


C’era una volta un sommario che si chiamava Mario. Giorno e notte diceva: “Sommario!”.
Gli rispondevano i capitoli, le terzine e le quartine (anche le quintine, quando qualcuno le scriveva):
“Lo sappiamo che sei Mario, ma che ce lo ripeti a fare?”
In realtà Mario il sommario viveva in un sussidiario, che non era il diario di Sussi, cugina di Sissi la principessa che aveva frequentato la quarta declinazione durante la fanciullezza, ma proprio il sussidiario su cui studiano i bambini a scuola.
In quel sussidiario spiccava, forse per il colore, il capitolo di Geografia, in particolare quello sui fiumi del mondo di pagina 36. Tra questi scorrevano il Rio delle Amazzoni, il Rio Bravo e il Rio Meno Bravo, ma in Compenso Tanto Buono.
In realtà il sommario, che era un ecologista, proponeva di sommare il corso di tutti i fiumi del mondo per ricavare un sacco di energia elettrica. Dove mettere questo sacco e chi si sarebbe sentito di maneggiarlo, non si sapeva ancora, ma intanto, ogni volta che leggeva un fiume gridava: “Somma-rio!” e si immaginava i corsi d’acqua che confluivano ridendo, dandosi schiaffoni di gioia e dissetando il cielo e la terra.
Non lo hanno capito i capitoli, che al massimo potevano capitolarlo, ma decisamente non era quello che lui aveva in mente. Non lo capivano le quartine, le cinquine e le tombole, che avevano fatto un capitombolo incontrandosi quasi per caso con i capitoli che capitolavano inavvertitamente da quelle parti e con cui ci scappò comunque una bella chiacchierata.
Lo capì però molto bene il sussidia-rio che, non solo - contenendo tutti - convinse gli altri uno a uno, ma riuscì anche a trovare una speciale sovvenzione per il progetto.

giovedì 13 dicembre 2012

Il piccione impiccione


C’era una volta un piccione un poco impiccione. Impiccia che ti impiccia, andò a impicciarsi di un picciolo. Non era un picciolo qualunque, ma un picciolo piccino picciò. Così scoprì che il picciolo era un poco impacciato, forse per via delle sue dimensioni, e stava sempre appiccicato a una simpatica mela che le dava sicurezza. Dove il picciolo mettesse questa sicurezza, noi non lo sappiamo dire, ma magari lo sappiamo cantare; il piccione invece no, perché chi pensa sempre a impicciarsi, difficilmente troverà il tempo di fare tante cose allegre. 

La gamba di Gianlucarlo


«Mi si è addormentata la gamba.»
«E tu svegliala!»
E Gianlucarlo, che non voleva essere invadente con la sua gamba, si precipitò a comprare una sveglia da coscia, o quantomeno da polpaccio, per ricominciare poco a poco a camminare.
Per precipitarsi, dovette per forza usare una scarpata, che però non sapeva a chi dare, anche perché la gamba ancora dormiva. Bel problema!
Per inciso: un bel problema è un po' meglio di un brutto problema, ma resta un problema. Non solo: se non restasse, ma andasse, sempre un problema sarebbe. Se non semprasse, ma maiasse, sarebbe assai meglio a meno che l’asse non ti servisse, o che l’asse non ti sembrasse, o che l’asse non ti semprasse, giacché l’asse è sempr un asse.
Tutto questo, però, giova poco alla gamba di Gianlucarlo, che tanto quanto dorme, è informicolata. Per liberarla, è stato chiamato il più importante formichiere del regno di Formichide, che però, disgraziatamente, è a dieta proprio da questo novembre in vista delle abbuffate natalizie.
Giancarlo, che alla fin fine doveva andare a scuola perché erano quasi le 8, lo sellò con un gesto elegante e con risoluta gentilezza convinse il formichiere a portarlo fino alla terza C.
E fu proprio lì che, un paio d’ore dopo, proprio a metà dell'ora di geografia, la gamba si svegliò da sola con un grande sbadiglio. 

lunedì 10 dicembre 2012

Il punk


C’era una volta un punk,
con i capelli in piè,
diceva «Sono stanc»,
faceva «Perepè!»

Piccola la sua amica,
di nome Bernadette,
insomma, una punkina
e lui ci si sedett. 

sabato 8 dicembre 2012

Il regno di Virgoland


Un giorno, gli abitanti del regno di Virgoland si resero improvvisamente conto che erano senza un sovrano. I suoi abitanti erano tutte virgole e virgolette, ma c’erano anche le virgoscritte, di cui si sente parlare meno ma che si vedono spessissimo senza neanche accorgersi. Entrambe poi si dividono in due categorie molto importanti: quelle aperte, che sono di mentalità più liberale, e quelle chiuse, spesso usate come dighe, per arginare ad esempio delle frasi eccessivamente irruenti.
Nella ricerca del regnante, decisero di rivolgersi al punto, che passava proprio in quel punto guidando una Punto.
Gli dissero: “Tu guidi una Punto?”  
Rispose: “Appunto.”
E scese dalla macchina, perché l’idea di fare il re non gli dispiaceva neanche un po’.
Poco prima dell’incoronazione, tuttavia, a una virgolotta (tipo di virgoletta poco conosciuto ma assai combattivo) scappò detto un dato editto che fu presto letto. 
Si diceva: «Il regno è splendido e sicuramente si andrà a migliorare ora che a capo vi è il punto.»
Sentita la frase, il punto non ci mise né uno né due, ma tre: e per tre volte se ne andò a capo, confermando agli abitanti del regno di Virgoland che, anche per quella volta, sarebbe toccato loro cavarsela da soli. 

La testa fasciata


Conobbi un tipo strano,
viveva in una grotta,
fasciava la sua testa
prima di averla rotta.

Un tale ancor più strano
nella grotta lì accanto,
vedeva nella fascia
un motivo di vanto:

correva contro il muro
per tutta la giornata,
per rompere la testa
ed averla fasciata.

E tutti e due quei tizi
non dico non sian buoni,
ma a vederli pensavo:
che paio di zucconi!

venerdì 7 dicembre 2012

Tra un paio d'orecchie


Un giorno, non so perché, il signor Rino disse al signor Pino: "ci vediamo tra un paio d’orette."
Il signor Pino, però, che aveva difficoltà a sentire quello che diceva il signor Rino, intese "tra un paio d’orecchie". Lì per lì annuì, ma in seguito continuò a interrogarsi su quali potessero essere le orecchie in seguito a cui si sarebbero visti.
Potevano essere quelle a sventolina della signora Pina? O quelle a elica della signora Erica? Forse quelle a girella della signora Lorella, o quelle a spago di un signore vago, che ogni volta che si parlava di orecchie non si capiva di che orecchie si parlasse. Ma erano comunque due, e potevano certamente essere quelle a cui si riferiva il signor Rino.
Fatto sta che il signor Pino, intento com’era a sondare le orecchie del prossimo, due ore dopo non era più lì e il signor Rino dovette darsi un bel da fare a cercarlo!

giovedì 6 dicembre 2012

Un mondo splendido: questo

C'é un tale di Agrigento, 
che ha un dollaro d'argento, 
lo tiene sopra al naso, 
apposta, non per caso. 

Il caso l'ha portato
 a dare una nasata, 
sulla zecca di stato, 
che però é abbondonata. 

Un dollaro di carta 
per me non vale niente, 
se non lo garantisce 
il sudore della gente. 

Perché vale il lavoro, 
l'impegno, la fatica, 
non tanto la parola 
di gente poco amica. 

Allora venga fuori 
chi agisce di nascosto, 
chi predica star bene 
e fa tutto l'opposto. 

Perché nel nostro mondo 
ci sono dei privati, 
che con una parola, 
fanno più degli stati. 

Uscite allo scoperto, 
guardate il cielo aperto, 
un poco d'acqua e il sole
 fa fiorire il deserto. 

Noi siamo questo mondo, 
non solo lo abitiamo, 
riempiamo bene il petto, 
insieme, per la mano, 

diamo alla nostra terra 
un poco di altro amore, 
per renderla ospitale, 
per gli occhi e per il cuore.

mercoledì 5 dicembre 2012

Un po' di etimologia

Di un tale munito di asta, si può ben dire che sia astuto. Astuta, tuttavia, è anche quella signora che, per mettersi la tuta, mi ha chiesto se posso tenerle un attimo l'asta: mentre le tengo l'asta, dunque, mi astengo. Ma mi astengo anche se ho un'asta a cui tengo molto, o una a cui MI tengo molto, ad esempio x evitare di cadere e sbucciarmi il ginocchio. 
Altri casi strani: ad esempio, se le aste sono tante, abbiamo un astante, ma non si capisce perché uno solo! Queste aste sono mal distribuite! 
Non è tutto: nessuno si é mai neanche insospettito x il fatto che, quando le aste sono poche, nessuno parli di aspoche (una volta, quantomeno, ho fatto una partita a spoker, dove vince chi é più sincero). Ne parlavo proprio con un amico Astigiano, che vedeva l'asta da due fronti: innanzitutto sopra le sopracciglia; in secondo lungo, proprio qui bifronte. Qui bifronte, tra l'altro, tra un'asta e l'altra, dove c'é un'a-sta tale che le macchine ci passano agevolmente. Ma ci si può anche passeggiare soltanto, ovvero con tanto sole, ed é proprio quello che farò! 

domenica 2 dicembre 2012

Il bacio della buonanotte


Le mie gambe sono stanche,
doloranti son le anche,
le mie ossa tutte rotte,
voglio il bacio della buonanotte!

Il mio umore è un po’ scostante
ho finito anche il contante,
piove e ho le finestre aperte,
mi rimbocchi le coperte?

Lo chiedevo, lo speravo,
niente! Neanche Don Gustavo!
(...non è buono per contratto?
Non ha avuto mica tatto!)

E così, pensando ad Aldo
mi son fatto un bagno caldo,
innaffiando la ginestra
ho anche chiuso la finestra,

per i soldi in sovrappiù
mi ci impegno un po’ di più. 

E tutti coloro che han voglia di fare
la notte dei sogni li possa cullare. 

venerdì 30 novembre 2012

Il numero cinico

C'era un tale che era così antipatico che abitava a un numero cinico. Per curarlo lo portarono in un ospedale, che stava invece a un certo numero clinico. Non servì: così, con l'idea di farlo almeno svagare un po', lo portarono da un ciclista, che stava ad un numero ciclico. Tuttavia anche il signor Pino Pirin, beneamato costruttore di girandole, abitava ad un numero ciclico e così incontrarono lui: Pirin Pino consigliò, per risolvere il problema, di recarsi da un limone suo conoscente, che alloggiava poche vie più in là ad un preciso numero citrico. Il limone non c'era, ma al suo indirizzo trovarono il suo amico avocado che, a sorpresa, regalò la sua V al nostro amico. Fu un atto eroico, perché diventò un "Ahò! Cado!" e cadendo si graffiò il naso, ma me valse la pena: il numero cinico fu subito riparato e quel tale divenne molto, molto più simpatico.

giovedì 29 novembre 2012

Un francopollo


C’è un polletto per la strada
che ha sbagliato di contrada
e arrivando vede un pollo
con in mano un francobollo:

corre con il bollo in mano,
ma il fattore un poco strano,
è di ritorno alla fattoria
(mentre vi giuro, prima era via)

e indicandolo col dito
Pensa: “Come va spedito!”
Così gli attacca il bollo alla nuca,
trova la posta e quindi lo imbuca.

Indirizzo: "strada quell’altra"
e se vi sembra una cosa scaltra,
quell'indirizzo faceva rima
con la contrada del pollo di prima!

mercoledì 28 novembre 2012

Il pollice verde ma non solo!


C’è un tale che ha il pollice verde, con cui fa crescere un sacco di piante.
Però ha anche l’indice giallo, e dove indica si riempie di sole. Il mignolo ce l’ha arancione e lo usa per condire le carote, se per caso si sono sbiadite. Sia chiaro, prima che qualcuno lo addenti lo tira fuori e lo rimette in tasca così che la carota non è più condita, ma senza.
Il medio è azzurro e va bene per accendere la tv, o meglio ancora per spegnerla, ma anche per usare il cielo come teleferica, quando è bel tempo. In pratica si alza il dito finché non passi una nuvola particolarmente intonata al suo colore, quindi si fa un saltino ma piccolo e si può atterrare anche a Timbuctù! 
Rimane il dito anulare, che è bianco come il bianco degli occhi, come il bianco dell’uovo, come il bianco della luce abbagliante. Con questo dito ci può fare una promessa, ci può grattare la testa o usarlo come lampadina quando è buio. Una volta questo signore l’ha infilato nella presa e le centrali elettriche si sono caricate come delle super batterie che rullavano a più non posso. Quell’anulare ha velocemente sostituito il petrolio, il cielo si è fatto assai più azzurro e i viaggi fatti col dito medio sono in costante aumento.

Pensate un po’ che questa è soltanto la mano sinistra del mio signore. Quell’altra ce l’ha in tasca, e provate un po’ a dire che colori nasconde?

lunedì 26 novembre 2012

Lo stupendio

Un giorno all’ingegner Calogero Pippicchietta, per un inspiegabile errore, venne consegnata a fine mese, nel momento del compenso mensile, una busta un po’ diversa dal solito.
Era tutta d’oro, ma se guardavi dentro era azzurra, se ti guardavi in giro era chiaro perché c’era il sole e se chiudevi gli occhi era rossiccio, sempre perché c’era il sole.
Dentro la busta c’era uno STUPENDIO, che era veramente stupendio. Direi impagabile.
Con il suo stupendio ci comprò dieci barrette di cioccolata e tutti i bambini a cui le regalava si stupivano, da quanto erano deliziose.
Ma ci comprò anche dei fiori per sua moglie, che li arrossì quando li ricevette.
Ma li regalò anche a un signore col naso rosso e un vestito sgualcito, che lo guardò come se fosse arrivato volando (era arrivato volando?).
Ma contribuì anche al restauro di un vecchio museo.
Ma aiutò anche Gianluca, che era il suo nipotino, a studiare la storia, dato che non riusciva mai a ricordarla.
Ma indicò anche il cielo, e una rondinella che volava a un vecchio signore che faceva fatica a sollevare il collo, e lo aiutò a reggersi.
Ma fece anche pace con Tommaso, con cui aveva litigato da ormai 15 giorni per una questione che riguardava un piatto di fagioli. L’ingegner Calogero, nel presentarsi a casa sua, gli fece dono di una fantastica fagioliera, che consisteva in una scatola da cui sbucavano fagioli ogni volta che l’aprivi, salvo poi rientrarci ogni volta che la stavi per chiudere.
Ma sbatté anche gli occhi di meraviglia quando vide che il suo stupendio non era finito, ma stava appena iniziando. Che non era un compenso, ma un regalo. E non un regalo qualunque, ma il regalo più bello: un regalo da fare. 

domenica 25 novembre 2012

Il volantonio



Un giorno, il signor Antonio stava distribuendo dei volantini nella sua città, che era Perugia.
Quello che c’era scritto sui volantini non lo possiamo dire adesso, ma era una cosa importante, a cui teneva, e li dava a ciascuno con il cuore.
Tanto che a un certo punto, proprio mentre stava per dare il duecentrentunesimo alla signora Pina, si ritrovò improvvisamente trasformato in un Volantonio!
Un volantonio è un Antonio volante: non un Antonio per guidare la macchina, ma proprio un Antonio che vola. Vola in mezzo al cielo, vola in cima al Duomo, vola nelle piazze e chi lo vede sorride e capisce.
Capisce il sorriso di Antonio, capisce il proprio e forse anche quello che Antonio voleva dire e magari non era neanche riuscito a scrivere.
Gira nel cielo Antonio, fa le capriole, guarda tutti con gli occhi dolci da cui piovono scintille che sono i suoi passi, i suoi volantini, i suoi “grazie”.
Vede da lontano il suo amico Otto, che mica sta per terra: è un Ottovolante! E allora come si fa a non fare un giro?
Così Antonio gira, gira in aria, gira nel cielo e gira sul marciapiedi. E ride.
Quando torna a casa la sera, dà un bacio alla moglie che gli chiede se è stanco. Antonio non tiene gli occhi aperti, è crollato sul letto eppure sta ancora volando, perché nessuna fatica è più dolce di fare ciò in cui si crede. 

sabato 24 novembre 2012

Le chiavi della savana


Filastrocca tutta gialla,
ho incontrato una sciacalla,
che passeggiando ha incontrato un leone
che camminava sul cornicione.

Gli chiede questa: “mio caro re,
ti sembra il posto più adatto a te?”
Rispose quello, un poco confuso:
“Alla savana ho trovato chiuso!

Senza le chiavi, giravo in centro
e mi si è chiusa la porta da dentro!
Così ora cerco, da qui su in alto,
di entrar da sopra con un bel salto.”

La filastrocca si è poi fatta viola
e chi ho incontrato tornando da scuola?
Proprio il leone, che è sì saltato
però è finito nel posto sbagliato:

da un falegname che taglia la legna
poi la consegna in pronta consegna,
e che tra un'asse e altrettante travi
porge al leone un mazzo di chiavi.

Non sono quelle della savana
(forse ne ha un paio la jena Guliana?)
ma sono quelle del buon sentimento
e quando arriva è un po’ più contento. 

venerdì 23 novembre 2012

Chi è stato?

Un giorno la maestra, scrivendo alla lavagna, sentì uno strano scroscio. 
Si girò é chiese "Chi é stato?" 
Subito l'Italia e la Francia alzarono la mano. La maestra però non era sicura che fossero state loro. Nella classe di terza, quella della maestra Giovannini, ricordava bene di aver sentito la piccola Asia che si vantava di essere continente, mentre il suo fratellino (per quanto non fosse poi così "ino"), a volte se la faceva ancora addosso! E in effetti, aprendo l'armadio dei gessetti colorati, trovò proprio il piccolo Nilo, nascosto lì da chissà quanto e che la salutava sorridendo!

mercoledì 21 novembre 2012

Il signor Soqualcosa de Nonsoché


Un giorno, il signor Nonsocosa si incontrò in cima al monte Altocosà con il signor Soqualcosa de Nonsoché.
Il signor Soqualcosa de Nonsoché  era un nobile, ma non ne ricordo il titolo. Il sottotitolo però suonava così: Sua Eccezione il Gran Dimenticatore di Corte, di Lunghe, di Cotte di Maglia e di Crude di Felpa, dal Lunedì al Mercoledì Chiamare Ore Pasti, Grazie.
Che volendo si poteva sintetizzare con la comoda sigla G.D.C.L.C.M.C.F.L.M.C.O.P.G., che tra l’altro corrisponde, in numeri romani, a una cifra che non verrà calcolata prima che il Sacro Romano Impero Germanico, con cui comunque il Signor Soqualcosa de Nonsoché non aveva già nulla a che fare, non venisse dimenticato del tutto.
(un signore di Piacenza, leggendo questa frase, mi fece i complimenti per le subordinate; così che, colto da crisi di coscienza, le assunsi tutte)

Dunque si incontrarono in cima a un monte e il dialogo che ne seguì fu il seguente (seguitelo bene, prima che vi semini, vi innaffi e vi guardi germogliare):

«Ha visto di là?»
«No! Però mi scusi, se anche avessi visto, cosa mi dovrebbe importare?»
«Non le dovrei importare nulla, ho chiuso da un pezzo con le importazioni. Una volta importavo pezzi di chiusa, con cui tappavano i fori delle dighe che si bucavano ...però se vuole le esporto dei calzini! Ne ha mica un paio che avanzano?»
«Ma si figuri: ne ho un paio che indietreggiano, pavidi che non sono altro! Le vanno bene lo stesso?»
«Purtroppo non è la mia taglia.»
«Lo spero bene! Cos’era, ricercato?»
«Ma no guardi che io sono uno molto alla mano. E lei?»
«Io sono molto all’orecchio: adoro bisbigliare, del resto le biglie mi affascinano da quando avevo cinque anni, che difatti ho barattato con un sacchetto di biglie e una tavoletta di marmellata.»
«Ma come una tavoletta di marmellata? Non era troppo molle?»
«Ma neanche per niente! Provi provi, non faccia il timido, la addenti!»
E il signor Soqualcosa de Nonsoché non fece il timido, provò provò, addentò e si fece una bella scorpacciata. 

martedì 20 novembre 2012

Lo sciacallo


Un giorno allo Scià di Persia venne un callo.
Un vero e proprio scia-callo, che guardacaso lo morse proprio sul callo.
Per morderlo sul callo, dovette mordersi da solo, un po’ come un cane che si morde la coda.
Ma lo sciacallo non era un cane e non aveva la coda, perché era solo un callo, anche se un callo dello Scià di Persia. E non aveva neanche i denti, dato che era solo un callo dello Scià di Persia.
Allora si fece crescere la coda, ma invece di farsi una treccia, la morse.
I denti se li fece prestare da nonno Pino, che tanto faceva la siesta e in quel momento non gli servivano.
Lo sciacallo fu molto pacificato, lo Scià di Persia assai meno, perché sentì parecchio male. In compenso un nuovo animale era nato, con grande festa della zoologia mondiale. 

Il paese del sì e del no


Un giorno il papà promise al piccolo Carletto che l’avrebbe portato al poligono.
Si trattava di fare un bel viaggio, che consisteva nell’attraversare quasi tutto il paese del Sì e del No, fino alla provincia di Volentieri. Partendo di buon’ora, arrivarono nel pomeriggio e visitarono uno splendido ottagono con tutte le facce colorate.
Lì dentro non c’era l’ombra di una pistola, ma non c’era neanche una pistola alla luce. Nel paese del Sì e del No, uno dei no è stato per tutte le armi. Alcune di esse sono diventati degli utensili, altre vivono soltanto nella memoria di alcuni vecchietti, un po’ pensierosi quando guardano per aria, più sorridenti quando appoggiano lo sguardo per terra e ci trovano i bambini che corrono.

Lo snonno


Papparapà è il papà
del papà del papà.
Il trisnonno è un tris di nonni,
tutti nello stesso piatto
e neanche uno con la dentiera.
Il bisnonno, invece, è tutt’altro che un bis di nonni:
è un doppio snonno.
Ma cos’è uno snonno?
Non lo so, ma un nonno non è. Difatti se glielo chiedi: «scusa tu sei un nonno?»
La risposta è «No no!»,
che a un occhio disattento potrebbe sembrare qualsiasi cosa, ma dato che lui l’ha pronunciato e mica scritto, anche un occhio attento non avrebbe aiutato di molto.
Abbiamo allora consultato il professor Professori, grande professionista di professioni, chiedendogli:
«Ci scusi, esimio...»
«Dica dica! »
«Ha mica visto uno snonno?»
«Ce n’era uno poco fa con una mamma. Appena la mamma è smammata, indovinate un cos’ha fatto lui?»




lunedì 19 novembre 2012

Una storia piripicchia


Una storia piripicchia,
che di nome fa Accipicchia,
di cognome fa accidenti
e difatti picchia i denti! 

Per pagarcisi il dentista,
di orologi fa una lista:
6 cucù alla prima rata,
è così si è cu-curata!






Purtroppo, nella foga di curarsi, la storia piripicchia è divenuta un po' balbuziente. Fortuna che per l'altro po' invece no. 

domenica 18 novembre 2012

La musica idraulica


Luigi era un idraulico che voleva fare il musicista, solo che non sapeva suonare un tubo. Però ci si mise di impegno e, col tempo, imparò a suonare tutti i tubi, anche quelli dei lavandini, delle docce e persino quelli giganteschi degli acquedotti comunali.
Era così contento della sua nuova arte che insegnò al suo amico meccanico a suonare i tubi di scappamento (quando le macchine erano spente) e questi ci passava delle belle pause pranzo, facendo tintinnare l’officina di musiche leggere che facevano girare i passanti. Gli altri meccanici si riempivano il petto e raccontavano ai clienti della musica dei motori, dicendo che solo in pochi potevano capirla.
Un giorno il nostro idraulico passeggiava zufolando con un tubetto di dentifricio (abbiamo detto che i tubi li sapeva suonare proprio tutti, soprattutto quelli dei bagni) e rivide per caso un suo vecchio amico di infanzia. Scoprì così che questi era diventato un importante commerciante di strumenti musicali: la sua fortuna era iniziata pochi anni prima, quando aveva scoperto in cantina un vecchio clarino e l’aveva lucidato tanto da inventare il clarinetto.
Lo invitò nel suo negozio. Luigi fu molto ammirato, ma a un certo punto svoltò l’angolo e vide qualcosa di incredibile: il reparto dedicato alle tube!
I tubi della sua valigetta da idraulico iniziarono a fremere e alla fine scapparono fuori tutti insieme. Luigi li aveva suonati così tanto che avevano acquisito un certo portamento nobile. Iniziarono a tubolare delle splendide serenate, a cui le tube rispondevano con timide risatine d’ottone.
Fu un giorno memorabile, e l’amore tra tubi e tube mutò per sempre il volto dell’idraulica, che divenne un po’ meno aulica e molto più musicale.
Cambiò anche il volto della musica, che divenne decisamente più fluida.
Certo le rivoluzioni non sono tutte uguali e di alcune, anche se sono avvenute, se ne accorgono in pochi: in questo caso Luigi, il suo amico negoziante e una gentile coppia di colombi, che tubano da allora in ricordo di questa bella giornata.

sabato 17 novembre 2012

Sei quartine in folle rima, la settima i saluti


Se hai qualcosa da ridire
per il grande diradare
che fa il bosco delle lire
che poi ti dovrò ridare,

io ti resto ad ascoltare
come il gran tonfo del mare
quando Eugenio si è tuffato
e di sotto c’era il prato.

Ma com’è – mi chiederete
che ha tonfato pure il mare,
se per giunta neanche c’era
e la giunta è comunale?

Quella giunta non è giunta,
quella cinta non è cinta,
quella donna non è incinta
e la pancia la ha dipinta.

L’ha dipinta come quelli
che non eran pesci rossi,
non essendo tra gli uccelli
cantai come se lo fossi.

Questo canto va nel bosco
questo mare lo conosco
se son stanco c’è lì uno chiosco
se son bello non son losco,

non son losco e ti sorrido
uso tutti quanti i denti,
ti ringrazio, ti saluto,
porta un bacio anche ai parenti. 

Il mondo dei sogni


Questa è la storia dei bambini "volanti".
A chi poi sia venuta l’idea di usare dei poveri bambini per guidare, non posso immaginarlo. Non si potevano lasciare a giocare? E poi anche solo da un punto di vista pratico: per dove si giravano, per le orecchie?
Ma sciocco, mica li usavano per guidare le macchine! I bambini possono guidare i sogni, che è il loro vero mondo ed è anche il mondo vero per gli altri.
Certo per guidare fino a lì qualcosa bisogna cambiare, ed è per questo che si usa il cambio.
Con un po’ di sano cambiamento, si potranno iniziare a eliminare i vetri anteriori, posteriori, i finestrini, cose che finivano per sembrarci tutto il mondo. Andare con la faccia nuda incontro al vento del mondo dei sogni, invece, è tutta un’altra cosa. I bambini fanno strada, molti altri seguono e per arrivarci non serve dormire, ma svegliarsi del tutto.

venerdì 16 novembre 2012

Uno zio speciale


C’è un tale via di qua
fratello di un papà,
lo so non sono io,
di nome fa ORA-ZÍO!

È facile da dire
e più da digerire
fratello di un però,
di nome fa Bibò.

Successe che una volta,
la neve si era sciolta,  
parlando con Pancrazio
conobbi un certo STRA-ZIO,

Ma sarà lui, che dici?
È il primo degli amici,
lo zio così speciale,
che canta a carnevale,

lo zio sa di lillà
e gli hanno aggiunto “stra”!
Così succede poi,
che tra super eroi

passando per la strada
vede in terra STRA-ADA!
Le porge la sua mano,
lei si alza piano piano,

insieme vanno via,
con grande cortesia,
salutan zio Bibò
che ha messo il palettò. 

giovedì 15 novembre 2012

Il latte versato


Mi hanno versato del latte, ma non avevo più neanche un biscotto. Non sapendo dove piangere, optai per il latte versato.
Il latte allora, un po’ indispettito, prese a farmi il verso:
«Uè uè!», mi diceva, e muoveva tutta la tazza.
Allora mi offesi un poco e anch’io gli feci il verso. Scelsi quello della mucca:
«Muuuuuuuuuuuuuuuu», dissi con fermezza.
Successe però che al latte vene la nostalgia della sua mamma e, per non guardarmi più in faccia, si girò dall’altro verso.
Per scusarmi, provai con un altro verso; la mucca l’avevo già usata, per cui provai con un fiorentino del ‘400. Mai studiato, Perbacco! E perciò dissi così:

«Mentre viaggiavo in una selva oscura,
vidi poco lontano una radura,
che la diritta via parea smarrita
e invece era solo una salita.»

Sentendo parlare di salita, al latte venne in mente la montagna.
Sentendo parlare di montagna, alla salita venne in mente il latte.

«Ma io stavo parlando con il latte, non con la salita! Cosa mi importa adesso della salita!»
«Veramente il latte non ti stava guardando, si era anche appena girato.»
«Benappunto, dovrei sincerarmi di essere riuscito a fare pace! Dunque mi faccia la cortesia, con la salita parliamo dopo, che da quanto è lunga mi pare ci sia un sacco di tempo, ora sia gentile e mi passi il latte prima che vada a male.»

Il latte, nel frattempo, si era accorto che uno dei due versanti della montagna era proprio quello che l’aveva versato stamattina!
Non vi dico la gioia che gli venne quando si ricordò di essere un latte di alta montagna. Si versò di corsa in un paio di scarponi e in uno zaino, e partì subito alla volta dei pendii.
Mi salutò con calore, perché nel frattempo avevamo fatto pace.
Così gli regalai la foto di una mucca tale e quale a sua mamma e di una lattina tale e quale a sua figlia. E ne ebbi in cambio la foto di un coccodrillo finalmente a posto con la coscienza, e che non versava più lacrime da nessuna parte, tantomeno sul latte versato. 







NOTA
In totale, la salita si è un po' offesa. Due parole anche con lei:
«Buongiorno cara salita, non è ora di scendere?»
«Buongiorno caro Andrea, se è tanto caro chi se lo compra?»
«Non so chi se lo compri, ma più che caro mi sembra un po' nuvolo. Però danno sole per stasera a neanche mezzo emisfero da qui.»
«Bene caro Andrea, se gliene danno un po' di più me ne tenga un pezzetto, ecco le lascio anche il sacchetto così non ne sprechiamo uno nuovo.»
«Ma certo signora salita. Il sacchetto però lo tenga, riposi bene stanotte e vedrà che sorpresa domani!»




mercoledì 14 novembre 2012

Il vento di sciroppo


Il vento di sciroppo
è molto curativo,
non ne prendi mai troppo,
non è neanche cattivo.

È un rimedio leggero
che quando non stai bene,
ti cerca in tutto il cielo...
Arriva! Eccolo! viene!

E alla gente malata
canta tutto contento:
“La tua cura è arrivata:
è un cucchiaio di vento!”


martedì 13 novembre 2012

Il paracanute


Ho un amico che fa il paracanutista. Ogni volta che vede una vecchietta canuta, che sorride ma tutta tremante e fa per attraversare la strada mentre un tir da 50 tonnellate arriva suonando disperatamente il clacson, e lei non lo sente perché sta ascoltando la musica con le cuffiette, il mio amico si toglie di spalla il paracanute e con un gesto da prestigiatore lo interpone tra la vecchia e il camion, salvando la vecchia.
La vecchia non si accorge di niente, ma il mio amico sì perché per l’onda d’urto viene scagliato in orbita tra Venere, Plutone, Plotino (il cui fantasma passava di lì), Plutarco, Plufrecce, Pluto, Minni, il commissario Basettoni, Venere (stava girando in tondo) e quindi, piano piano, ecco che ritorna sulla terra, in cerca di un’altra bianca signora da salvare.

Il paradosso


Ho scoperto un paradosso,
l'ho lanciato al paracane,
ma per sbaglio ci ho colpito
quattro vecchie carampane.

Sopra queste ci ho spalmato
caramburro e marmellata,
che con l'osso non si accosta,
però sa di cioccolata.

Ne sa tanto ma davvero,
come un grande luminare,
io l'ho appeso sul soffitto
e l'ho fatto dondolare.

Don Dolare era anche un prete,
che sta appeso al parapetto,
e ci vuole così bene
che il suo cuore ci ha protetto.

lunedì 12 novembre 2012

La cascata di pere

Conosco un asinello
che sa di cioccolata,
siccome è un po’ monello
 si è preso una scarpata.

Dopo che se l’è presa,
l’ha messa sopra un monte:
ci son volati dentro
due capre ed un bisonte.

Vi dico meno male,
che erano bestie alate, 
se no dritte sul fondo,
sarebbero cascate.

“Se fossero cascate,
sarei tutto bagnato!”
proruppe l’asinello
ridendo a perdifiato.

Purtroppo la cascata
gli arrivò per davvero,
da un bel motociclista
che cascava dal pero.

Il pero era raggiante,
perché aveva sfornato,
per farne dono al mulo,
sei pere al cioccolato!

venerdì 9 novembre 2012

Dirindinda e la neve


Dirindinda è una regina,
sulla testa ha la sciolina
è regina delle piste
su cui fa cose mai viste.

La duchessa che la affianca
corre sulla neve bianca,
tutt’e due fanno uno sci
chi lo indossa fa così:

quando curva ritto a destra,
pensa forte a una ginestra,
quando curva dritto e a manca,
prende il sole su una panca.

Se la panca è verde e gialla
prende il sole su una spalla
Se la panca è verde è blu
prende il sole anche di più.



I vestiti di Dirindinda


Dirindinda è una regina
con le scarpe di farina,
con i guanti di gelato,
con gli occhiali al cioccolato,

Le calzette son di fiori,
tutti buchi e niente fori,
la sottana è di lillà,
e un altr’anno sboccerà,

sboccerà con mille fiori, 
Dirindinda ha sei colori,
l’altro spunta in un baleno
e ecco qui l’arcobaleno!


mercoledì 7 novembre 2012

Due rapidi conti


Quanto contano i sogni? Quanto sognano i conti! E i conti quanto sognano, e se sognano dei conti, quanti se ne contano? Non so quanto sognino i conti, ma so quanti sognano i conti! Difatti, li ho contati: erano trentacinque l’anno venturo, 18 l’estate prossima e quarantaquattro più due la prossima estate. Benissimo. A conti fatti (ovvero, se i conti sono diventati adulti), dove passeremo le vacanze d’estate? In fin dei conti – ovvero, se i conti sono vecchi e iniziano a non stare bene – li assisteremo e gli vorremo bene fino all’ultimo, anche se non si sa cosa avessero sognato e per quante volte.

A quel palese


"Ma vai a quel palese"
mi disse a fine mese
un tizio assai cortese.

"Perché quel mese é fine?"
chiesero le mondine
con l'abito di trine.

"Che vuoi che gli risponda?"
ci chiese quella bionda
da questa all'altra sponda.

Rispondi quel che vuoi,
e se son fatti tuoi
non raccontarli a noi!

La risposta della bionda rimane quindi sconosciuta. Molti sostengono che le sia stata suggerita, ma noi non sappiamo da chi, né perché né a che ora.

martedì 6 novembre 2012

Il bucatore di ciambelle


C’è un tale sopra un monte,
che ride a crepapelle,
è un grande venditore
di buchi per ciambelle.

Chi è in sorte sventurato,
si trova una pagnotta
che è senza neanche un buco:
insomma, mezza rotta.

Allora il mio signore,
si affaccia dal portone,
lo guarda, lo saluta,
ride con convinzione,

sorride coi suoi denti
a forma di scodella,
un morso ed ecco pronta
la sua nuova ciambella!


Canti stellari


C’è un signore che strimpella
dalla cima di una stella.

Un suo amico bonaccione,
dalla cintola di Orione,

canta un canto che produce
5 note in tre anni luce.

Quando il primo gli risponde,
cinque note sono bionde,

altre quattro sono more
e sapeste che sapore! 

Quando il canto è terminato
e ciascuno si è saziato,

vanno entrambi a riposare
sull’aurora boreale.

lunedì 5 novembre 2012

Fiori di mucca


Ho una mucca che non mungo,
ho un bel fiore però è un fungo,
se però fungo da mucca,
non ti do latte di zucca,

sulla zucca ti darò
un bel fungo che non ho
sempre meglio che la mucca
che mi sciupa la parrucca.

domenica 4 novembre 2012

Quanto (o quanti) contano i sogni?


Quanto conta un contadino?
Conta quanto l’imbianchino,

quanto il prete o l’affarista,
quanto il re o l’equilibrista.

Se chi conta chiude gli occhi,
conta mille e più balocchi,

sei cavalli e mille selle,
cinquecento pecorelle,

che salutano dal prato,
presto saltan lo steccato!  

Se le conti di preciso
sono mille e un paradiso,

Se le conti più di fino,  
sono mille e un sonnellino,

chi le conta, chiunque sia, 
con un sogno vola via! 

sabato 3 novembre 2012

Un ritardo di consegna


Nel mezzo del camin di nostra vita
trovai Babbo Natale che inveiva.
difatti era rimasto lì incastrato
con mille consegne in arretrato!

Dal tetto una miriade di folletti
saltavan sbattendo i copriletti
convinti che lo spostamento d’aria
potesse la cosa straordinaria

di liberare un vecchio ‘sì bonario,
e far volare i pacchi via in orario.
Chi non credeva allora si stupì,
perché finì che andò proprio così! 

giovedì 1 novembre 2012

Giocondino Scaldasonno


Celestino Scaldasonno
si traveste da suo nonno,
che però si è travestito
da cognato di un suo amico.

Il cognato gioca a palla,
e è vestito da farfalla,
la farfalla, per passione
si traveste da aquilone,

l’aquilone taglia il filo
perché vuole andare in giro,
quando incontra, in mezzo al cielo,
Giocondino, ma davvero?

Vola alto e vola basso,
niente ali, un vero spasso!
Vola proprio come il nonno
Celestino Scaldasonno.

mercoledì 31 ottobre 2012

Titolo a piacere


Avevo un amico, stava in collina
andava in discesa senza benzina,
a tracollina teneva i gioielli,
trenta li dava ai suoi 3 fratelli,

trenta e ritrenta, nel trentativo,
e diventato un tantino Giulivo,
che è nome proprio di lieta persona
e devo dire che proprio gli dona.

Cosa gli dona, non saprei dire,
ma ve lo dono per mille lire,
lire che suonano, arpe e chitarre,
suonano forte da dietro le sbarre.

Tutte le sbarre son fiori del prato
chi soffia forte è allegro e beato,
con un accento sarà un bea-tò
che dà a Beatrice un bel palettò. 

Mi palettò proprio un vigile urbano
perché gli facevo ciao con la mano,
con Manu ciao mi son messo a cantare,
con un manubrio provo a guidare,

guida e riguida, trovo il tuo nome,
fila in colonna, con precisione,
con precisione leggo e decanto
decanto tanto che poi mi vanto,

canto per dieci, e dieci son tante
per diventare un bel decantante,
e se l’armadio è un poco speciale,
con due cant-ante è assai musicale.

Musica tanto che non gli passa
ed è caduto nella melassa:
ossia una mela grassa abbastanza
da non restare dentro una stanza.

In questa stanza, allora vi invito,
con chi è arrivato e neanche partito,
perché il partito che vuol fondare
è il mondo intero, il cielo e anche il mare. 

I colori dei bambini


C’è una bimba gialla e bianca,
fa una sosta su una panca,
ma la panca è bianca e gialla
e diventa una farfalla.

Suo fratello è verde e rosso,
si è seduto in cima a un fosso,
ma quel fosso è rosso e verde,
e chi cade ci si perde,  

chi si perde è azzurro e blu
guardi bene e non c’è più,
tutto blu ma poi azzurro
è svanito in un sussurro.

Il sussurro era un sorriso,
per chi ha visto un fiordaliso
e dal fosso si è trovato
dentro il cielo blu stellato.


martedì 30 ottobre 2012

Si può fare?


Ce la faremo. E se ce la fa Remo, perché non dovremmo farcela noi?
Vi dirò di più: non solo ce la fa Remo, ma ce la fa anche Rina, e se c’è la farina ci si può fare del buon pane e mangiarlo intero o a fette.
Dopodiché magari scopriremo (ma chi è che ha coperto Remo? E sì che ce l’aveva anche fatta!) che il pane che aveva fatto Rina, e che noi ci siamo mangiati di gusto, era in realtà un panegirico.
Assimilato quello, potremo prendere coi nostri cuori forti le posizioni dei mari, dei monti, dei fiumi freschi che irrompono sulla terra e di una terra di cui DOBBIAMO tornare a prenderci cura. Si può fare? La risposta è alla prima riga. 

lunedì 29 ottobre 2012

Il magone



Erika e Simone, fratelli per la pelle, del tutto indifferenti alla pelle che li affratellava (ovviamente questo vale per Simone: nel caso di Erika li assorellava), litigavano. Litigavano alla sera, alla mattina e anche a mezzogiorno. Litigavano di sotto, di sopra e anche a metà. Litigavano in tutte le lingue e in tutte le stagioni. Litigavano persino per chi doveva iniziare a litigare:
“Oggi tocca prima a me!” sbottava Erika con violenza, mentre la mamma ascoltava sospirando dalla finestra.
“Col cavolo!” gridava Simone, sostenendo che, siccome Erika il cavolo non ce l’aveva, spettasse a lui iniziare a litigare (stando a questo criterio, la mamma annotò che gli agricoltori dovevano essere litigiosissimi).
Un giorno, tuttavia, la situazione cambiò di colpo. Tutto accadde per un fattore inspiegabile: nessuno, difatti, avrebbe saputo spiegarsi cosa ci facesse un fattore della fattoria lì in piedi, in mezzo al giardino, a guardare con tanta dolcezza sia Simone che la sorellina Erika.
Eppure era lì. Colpiti da uno sguardo così buono e denso di interrogativi, i due fratellini smisero per un attimo di accapigliarsi e si guardarono in silenzio, sentendo arrivare il magone.
Il magone, un mago sorridente di due metri e trentuno, si sedette con la testa verso l’alto proprio di fianco al fattore e la magia che fece dev’essere stata gigante, perché da quel momento in poi Erika e Simone smisero di litigare.
Un mago suo amico, tempo dopo, gli chiese se avesse brevettato l’incantesimo della pace che aveva usato per i due fratellini.
Il magone proruppe con una bella risata e rispose: “Amico mio, la pace è di per sé una magia, ma richiede di fermarsi per qualche momento ad ascoltare il cuore. Erika e Simone non litigano più perché si vogliono bene!”

La farfalla


C’era una volta un bruco,
poggiava su un tartufo,

eppure c’è un però:
chi il tubero mangiò

trovò una gran farfalla
con un’aletta gialla,

quella altra era verdina,
e tutta la cucina,

dal tavolo al comò
tutta si illuminò. 

mercoledì 24 ottobre 2012

La motoambulanza


Avevo un amico di nome Pasquale
che andava in moto ma senza fanale,
in sella portava Rosaria e Giuditta
ma sulla sua moto non c’era marmitta.

Giuditta era in vero un poco più bella,
ma su quella moto mancava la sella.
Pasquale sognava di fare il dottore,
però difettava di carburatore,

filava cantando e contava le note
sul suo motorino senza le ruote,
da tutti i pazienti correva di cuore,
e sì che mancava persino il motore.  

Pasquale ha tre anni, in arte Danilo, 
dottore provetto di tutto l’asilo,
arriva, sorride, ti guarda sincero
e chi stava male guarisce davvero!

Il colore della storia


Vi racconto una storia che non è verde, che non è blu, che non è gialla canarino perché è passato un bianco imbianchino, ma poiché il bianco era troppo chiaro, ci è poi bastato poco denaro, per assoldare un bell’ingiallino, specializzato nelle tinture color luce del sole.
E mentre l’ingiallino, sereno sorrideva, passò anche un inverdino, a cui il giallo gli piaceva.
L’inverdino non dipinse nulla, ma seminò molto e si dotò di grande pazienza.
Poco lontano un arrossino li salutava a grandi gesti. Gli fecero cenno di avvicinarsi, ma quello non poteva spostarsi da quanto era indaffarato: il sole stava iniziando a tramontare e, per un'ora almeno, il cielo intero sarebbe stato nelle sue mani. 





Avete indovinato il colore della storia? Se sì, disegnatelo subito su un foglio. Nel farlo, immaginate per un attimo di essere voi il foglio: come vi sentireste se vi colorassero una storia sul naso? 

lunedì 22 ottobre 2012

La STRAADA


C’erano una volta tre bambini; il primo si chiamava Rino, il secondo Marino, il terzo Rosmarino.
Camminavano insieme per il bosco quando, indecisi se andare a destra o a sinistra, decisero di proseguire diritti, dove guardacaso c'era una bella strada.
Ma non appena fecero per poggiare il primo passo, si accorsero tutto in un colpo che quella innanzi a loro non era per niente una strada!
Una cosa in comune, a dir la verità ce l'aveva: se ne stava beatamente lì sul prato che pareva fosse ferma da 100 anni. Beatamente, si capisce, prima che Rino le calpestasse il ginocchio, Marino il malleolo e Rosmarino, fortunatamente, soltanto le stringhe della scarpa.
I tre fecero così la conoscenza della signorina STRA-ADA.

UNA ZIA NON COMUNE
Ora quindi dovrò spendere due parole per spiegarvi la storia di Ada, la generosa zia di Luca, Oscar e Peppino (tra l’altro, compagni di scuola dei primi tre) che alcune cose non le sapeva fare, ma altre, ne sapeva fare di formidabili.
Per esempio: non sapeva giocare a rimpiattino, ma sapeva fare un verso strano con la faccia che faceva sbocciare il fiori.
Non sapeva pulire né i vetri, né sbattere le lenzuola, né fare gli scioglilingua (ci provò molto spesso da ragazza ma, per quanto li ripetesse, la lingua non si scioglieva mai); però sapeva saltare dieci volte più di un albero, gli uccellini si posavano sulla sua testa e tante volte le lasciavano delle uova in custodia. Erano uova d’oro, ma lei le restituiva sempre fino all’ultimo guscino, e non immaginereste che meravigliosi passerotti ne nascevano.  
Ancora: non ricordava mai una e dico una data di compleanno; in compenso il suo compleanno era tutti i giorni e per festeggiarlo, aveva l’usanza di fare dei regali agli altri.
“Ma Ada, non è il suo di compleanno?” si stupiva talvolta il droghiere quando gli raccomandava di tenere il resto della spesa.
“Via via, non lo sa che compio gli anni tutti i giorni?”, rispondeva Ada, “Se fossi io a ricevere i regali, dove mai pensa che potrei tenerli?”
Stando ai suoi compleanni, Ada aveva Tredicimiladuecentotrentacinquecentoventiquattromila e un anno, ma io vi garantisco che non ne dimostrava più di 31 (e già per dimostrare quelli non vi dico che calcoli doveva fare).
In totale, poiché Luca, ma soprattutto Oscar, ma ancor di più Peppino, la consideravano una strasupermegafantazia, e non una strasupermegafantazia quasiasi, ma una strasupermegafantazia Ada, per andare incontro proprio a Peppino, che era piccolo piccolo e a strento biascicava un trisillabo, venne chiamata Zia Stra-Ada – Stra-Ada e basta, per quelli di cui non era zia; e io vi garantisco che non era zia né di Rino, né di Marino né tantomeno di Rosmarino.
Benissimo. Ma cosa ci faceva StraAda lì per terra a farsi schiacciare il malleoli?
Capirete da voi che non era quella la sua idea, all’inizio. Cosa avreste fatto al suo posto in un bel boschetto, sul prato, tra la luce e l’ombra, in uno splendido pomeriggio primaverile? StraAda stava facendo un riposino (all’inizio, per la verità, aveva cercato di schiacciare un pisolino, ma aveva sbagliato mira e il pisolino era fuggito via dritto filato)!

Inutile dire che i tre piccoli la svegliarono tutta d'un colpo, difatti tirò un urletto mica da ridere. 
E a quel punto?
Rino prese a ridere per lo spavento, 
Marino finì in un cespuglio per il vento, 
Rosmarino disse solo “Tò!” e porse a StraAda una caramella.
“Grazie, piccolo!”, disse Straada massaggiandosi la stringa della scarpa, “ma non posso proprio accettare!”
E prese a cantare una canzone per spiegare a tre bambini, ma soprattutto a Rosmarino, che aveva il naso tondo con la punta rossa rossa, che oggi era un giorno speciale per lei: tra poche ore sarebbe stato il suo compleanno e doveva assolutamente fare un regalo a qualcuno!
Così i tre fanciulli si videro regalare nientemeno che una STRADA gialla gialla. Marino, sulle prime,  porse la mano per mettersela in tasca e farla vedere alla mamma prima che si impolveasse, ma era tardi: la cara StraAda l’aveva già appoggiata per loro già da molto tempo, e i tre non poterono che seguirla correndo. Corsero tanto che alla fine raggiunsero un paese incantato, dove tutto era sempre nuovo, e ogni colore una festa, e ogni sorriso una scoperta, e a loro sembrava un sogno fantastico, ma non era che la vita.  

domenica 21 ottobre 2012

Una vacanza sbagliata


Conosco un tale che tra il dire e il fare,
era felice che ci fosse il mare:
diceva e diceva senza sosta
e non faceva niente a bella posta,

certo com'era, tra le due parole,
di andar nuotando e prendere anche il sole. 
Sul capo aveva maschera e boccaglio
eppure aveva preso un bell’abbaglio,

perché in quel mare non ci trovi onde,
se vuoi tuffarti mancano le sponde.
È il mare di chi nulla vuol fare
e non è buono nemmeno per nuotare.

giovedì 18 ottobre 2012

Un tocco di colore

L' ingegner Giovanni entrò nel suo ufficio, doveva essere martedì mattina, e si accorse dopo 15 anni suonati che era tutto grigio. 
Per un po' se ne rimase perplesso guardando il soffitto, poi chiuse gli occhi e, appena li riaprì, la pesante scrivania di compensato era diventata di un bell'azzurro frizzantino. 
L'ingegner Giovanni ci appoggiò la penna soddisfatto. Chiuse e aprì gli occhi un'altra volta, ed ecco le vecchie tende diventare gialle come canarini che presero subito il volo, lasciando la stanza piena di sole. 
"Bene bene!" Esclamó l'ingegner Giovanni! Battè due volte le mani: alla prima i muri diventarono verde smeraldo, alla seconda il soffitto si colorò di rosso vivo come la lava del Vesuvio. Fu perfetto, dato che iniziava a far freddo e il riscaldamento non ancora acceso. 
Quando nel pomeriggio, il professor Sparachiodi, che era il capo di Giovanni, entrò di corsa nell'ufficio, non riconobbe niente e nessuno! Alzò gli occhi x chiedere indicazioni e si trovò davanti proprio Giovanni, con un sorriso raro e una bella camicia cangiante, che gli consegnava tutto il lavoro della settimana.

martedì 16 ottobre 2012

Nella e il volo


C’era una volta una piccola uccellina di nome Nella.
Da quando era nata, era sempre stata chiusa in una gabbietta azzurra.
Quando guardava in alto, la gabbietta le ricordava il cielo, ma i raggi del sole li poteva vedere solo dalla finestra.
Il piccolo Tommaso, che abitava nella stessa casa in cui si trovava la gabbia, ogni giorno, tornando da scuola, la salutava contento e lei rispondeva con un bel fischietto, che però non era mai allegro del tutto.
Svolacchiava qua e là nella gabbia, è vero. Non faceva nessuna fatica a procurarsi il cibo, anche questo era vero.
Eppure si sentiva sempre un poco triste, perché il desiderio di spiccare il volo al di là della gabbia era vasto e profondo.
“Oh Marina, quanto è il mio triste destino!” si lamentava spesso con la tartaruga Marina, che albergava in una vaschetta poco distante. “Eppure pensa, persino di cognome mi chiamo Gabbia, che destino fatale! Nella Gabbia! Che altra fine avrei mai potuto fare?”
La tartarughina aggrottava la rughina che aveva sulla fronte e continuava a nuotare nella vaschetta, guardandola teneramente.
Passarono le stagioni e la piccola Nella, per non rendere triste Marina, smise a poco a poco di lamentarsi. Imparò a essere contenta del sorriso di Tommasino, che le urtava la gabbietta quando era pronto in tavola e si precipitava in bagno a lavare le mani; dello sguardo premuroso della signora Pina che ogni mattina le scaldava il becchime;
dei raggi di sole che vedeva di lontano, che entravano dalla finestra e andavano a cacciarsi dappertutto.
La sensazione del volo non l’abbandonò mai, ma la malinconia diventò sempre meno, man mano che imparò a volare con il cuore.
Un volta poi, durante una splendida primavera, un raggio di sole urtò sullo specchio, lo specchio scintillò per il contraccolpo, il contraccolpo luccicante iniziò a saltellare per la stanza e, non sapendo dove altro infilarsi, si gettò tutto intero tra le piume di Nella.
Nella si guardò le zampette, sentendosi un po’ strana. Poi fece un voletto tutto emozionato e finì per sbattere di proposito contro la porta della gabbietta. 
Così scoprì una prima notizia sensazionale: era aperta!
Ma la notizia davvero speciale, fu che lei non era mai stata Nella Gabbia, ma era da sempre una splendida Gabbia Nella, e spiccò il volo in un cielo più azzurro di qualunque altro pensiero.